Polemica di Medicina Democratica

Riproponiamo una vecchia mail di Lino Balza per l’attualità dei contenuti.

Ho lanciato un allarme sui rischi del polo chimico di Spinetta Marengo (Alessandria) ma i giornali non l’hanno pubblicato, convinti che non è loro compito concorrere a prevenire i disastri semmai di fare poi, quando i buoi sono scappati, titoloni indignati e moraleggianti su disgrazie e morti. In compenso, ho trasmesso l’intervento via internet ad alcune migliaia di persone. Così Mauro Gambetta, sindacalista CGIL, mi ha replicato con veemenza sostenendo che la Solvay di Spinetta non è una bomba ma una bomboniera, e chiedendomi una risposta. Che non può che essere al fulmicotone.
Per coloro che vogliono farsi un’idea propria sull’azienda ad alto rischio della Fraschetta, qui di seguito riproduco in sequenza:
1) Il mio allarmato intervento
2) La replica di Gambetta
3) La risposta di Medicina democratica al sindacato

1) L’INTERVENTO DI LINO BALZA

E’ un fatto strano che da quando sono uscito dalla fabbrica Solvay (ex Montefluos-Montedison) non è successo più nulla di allarmante. Prima i giornali parlavano di incidenti, fughe di gas, spighe di grano vuote, criticità continue degli stabilimenti chimici di Spinetta Marengo (c’è anche la contigua Arkema, già con due esplosioni mortali ai Perossidi). Ora intervistano direttori e sindacalisti entusiasti dei livelli di profitti e di soddisfazione dei dipendenti. Colpa dei giornali che nascondono le magagne? Non credo. Quando facevano titoloni a piena pagina i motivi c’erano: c’era chi li informava del notturno o festivo scarico di veleni in Bormida o su Castelceriolo che ARPA e ASL ignoravano, con le foto dei bidoni nascosti, degli sversamenti; c’era chi faceva scioperi della fame, incatenamenti, processi su processi per difendersi dalle rappresaglie per aver svelato questi attentati all’ambiente e alla salute. I giornali registravano tutto, le televisioni mostravano.
E i motivi, ora, ci sono per il silenzio. O veramente non succede più niente di nocivo perchè la fabbrica è diventata un salotto, sana e sicura. Ne dubito, non mi vanto il merito di aver imposto con quelle azioni clamorose miliardi di investimenti ambientali che l’abbiano resa addirittura perfetta. Più sicura, sì, ma non perfetta. Oppure il motivo è che in fabbrica vige la paura e l’omertà. In effetti, sparita la vecchia guardia, non ricevo più informazioni riservate, semmai richieste di aiuto e consiglio per controversie individuali. Difficile sapere in tempo reale cosa succede in fabbrica. Non si espone più nessuno, i sindacati non contano niente, anzi, svolgono un ruolo speculare alle direzioni.
Sono anch’io molto preoccupato, come Giuseppe Parola. Perché, se nessuno dopo di me fa più sentire il fiato sul collo a Solvay e Arkema, i rischi sono veramente grossi. Non è una fabbrica dove avvengono tanti infortuni in quanto la meccanica è ridotta al minimo (e scaricata sugli appalti), è invece uno stabilimento ad alto rischio chimico, dove gli incidenti possono determinare una rilevanza terribile su territorio e popolazione: ne basta uno per cancellarci.
Per trenta anni ho dedicato dossier, denunciato, scritto fino alla nausea di catastrofe industriale possibile, di piani di sicurezza ed emergenza inadeguati, di record di tassi per mortalità e malattie, di insufficienti controlli pubblici e indagini epidemiologiche storiche, e soprattutto dell’Osservatorio ambientale della Fraschetta come unica garanzia autogestita della popolazione per controllare il rischio. Come hanno risposto i politici? Con un finto Osservatorio e con il progetto Linfa per la compiacenza di pseudo ambientalisti, cioè con sprechi di denaro pubblico in operazioni di mera facciata, fumo negli occhi, musica alle orecchie di chi non vuole ascoltare. Sono molto preoccupato. Spero di sbagliarmi una buona volta.
Lino Balza – Medicina democratica

2) LA REPLICA DI GAMBETTA (RSU e RLS Solvay Solexis)

Bene. E’ un piacere rilevare che quando uno, anche rispettabile, non sa cosa dire e non conosce le situazioni, la butta li, spara nel mucchio per vedere che cosa succede. Tacere non sia mai e informarsi è troppo faticoso anche per chi, avendo vissuto anni in fabbrica sa perfettamente quale numero telefonico chiamare per avere notizie di prima mano. E’ troppo farsi venire il dubbio che dopo, la sua “buonuscita”, azienda e oo.ss. si siano impegnati con idee soldi risorse per eliminare o ridurre ai minimi termini ogni possibilità di evento accidentale che abbia attinenza con un’industria chimica? Se una multinazionale belga, particolarmente oculata nel gestire il denaro, decide di investire centinaia di migliaia di euro in un sito (anziché spendere un decimo e produrre in Cina) è perché ha assolute garanzie che tutto il possibile per garantire la salute e la sicurezza è stato fatto. E questo, aggiungo io, grazie magari anche all’impegno di tutti coloro che lavorano in questa fabbrica, dal personale di produzione, ai tecnici, ai quadri, ai responsabili aziendali per la sicurezza, agli attuali RLS-RSU, e certamente anche grazie alle lotte dei sindacalisti della “vecchia guardia”. Ma Balza non può scrivere che “è difficile sapere in tempo reale cosa succede in fabbrica” stando su un cippo come un eremita e aspettando che siano gli altri ad andarlo a cercare, quando sa benissimo che compilando il numero interno 5302 può comunicare con il “consiglio di fabbrica” e parlare con un delegato sindacale. Ma lui sostiene, e questo non gli fa certamente onore perche non sa e parla anzi accusa, che i delegati sindacali all’interno dello stabilimento (ma di conseguenza anche le organizzazioni sindacali di categoria alessandrine) non contino niente anzi, siano succubi alla direzione e quindi non meritino una telefonata per confermare o smentire quello che lui ritiene o che gli imboccano quei pochi che ancora si rivolgono a lui per “aiuti e consigli” in merito a controversie individuali. Se si fanno delle accuse (contro l’azienda, gli istituti, i delegati sindacali), vanno fatte con ragione di causa e motivate, altrimenti è aria fritta che, ripeto, non fa onore a chi alza la bandiera dell’integrità e della salute. Attendo risposte.
Mauro Gambetta RLS e delegato FILCEM-CGIL Solvay Solexis – Spinetta Marengo

3) LA RISPOSTA DI MEDICINA DEMOCRATICA AL SINDACATO

Quella replica è firmata “Mauro Gambetta”, ma potrebbe essere firmata dalla Solvay o, se preferite, da Veltroni. Secondo loro, non esistono più lavoratori e padroni, pardon: imprenditori, con interessi contrapposti. Gli uni tesi al massimo profitto e a risparmiare su sicurezza e salute, gli altri sfruttati nel salario e nella sicurezza-salute. No, dice Gambetta/Solvay/Veltroni, non c’è più conflitto: noi, attenzione a quel “noi”, noi azienda e sindacati ci siamo impegnati con idee e soldi per eliminare o ridurre ai minimi termini ogni possibilità di inquinamenti e rischi sanitari. Siamo tutti sulla stessa solida barca, tutti una bella e felice famiglia. Spinetta Marengo non è più una bomba, oggi è una bomboniera. Ve lo garantiamo noi Gambetta/Solvay/Veltroni. “Tutto il possibile per garantire la salute e la sicurezza è stato fatto”
Noi. “Noi” una volta voleva dire cogestione, termine e pratica aborriti dal sindacato, in primo luogo dalla CGIL (Gambetta è CGIL!). Ma cogestione vorrebbe dire quanto meno la presenza di un sindacato forte, autorevole, rappresentativo, responsabile. Chiunque vive in fabbrica (Solvay) sa invece che il sindacato non conta nulla, chi decide è sempre e solo la direzione, il capo del personale fa il bello e il cattivo tempo.
Non esiste più un consiglio di fabbrica che, creando partecipazione, rappresentava veramente i lavoratori (partecipavano alle riunioni fino a 60 delegati di gruppo omogeneo in rappresentanza non solo dei chimici ma anche degli edili, dei metalmeccanici, del commercio, cioè dei lavoratori degli appalti, con pari dignità). Oggi esistono le RSU: piccole oligarchie condizionate e ricattabili dalla direzione, che hanno inventato perfino la figura del leader, impersonata magari da individui che ai tempi del Consiglio di fabbrica erano imboscati o ultima ruota del carro.
Non esiste più la democrazia in fabbrica, la forza dei lavoratori che faceva forte il sindacato, in grado di produrre conflitto e obbligare l’azienda a spendere (le assemblee dei giornalieri erano partecipate da un numero di lavoratori che la mensa non riusciva a contenerli, al punto da aprire la seconda parte della mensa, con tanto di presenza di giornalisti e telecamere; le assemblee dei turnisti si tenevano in mensa, non in una stanzetta). Oggi alle assemblee non ci va più nessuno, tanto non decidono niente.
Non esiste più la partecipazione dei lavoratori, la non delega, l’elaborazione dal basso, la costruzione di rivendicazioni basate sul sapere diffuso (nel ’78, solo per fare un esempio, quasi 100 assemblee di gruppo omogeneo prepararono una piattaforma composta di un migliaio di rivendicazioni ambientali piccole e grandi che, dopo giorni e giorni di trattative e scioperi -e scioperi!- si concluse con un accordo alto come un vocabolario; accordo che nei mesi seguenti i lavoratori, direttamente, protagonisti, secondo il principio della non delega, controllavano nell’attuazione degli impegni. Oggi esistono i RLS (responsabili sindacali della sicurezza) che dialogano solitariamente condizionati e ricattabili dalla direzione.
Avendo escluso completamente la partecipazione, non esiste più l’apporto professionale di tecnici e operai alle competenze sindacali (apporto che consentì, ad esempio, l’elaborazione di un vero e proprio segmento di piano di settore della chimica italiana -la famosa piattaforma dei 5 consigli di fabbrica- che arrivò fino a Bruxelles; apporto che consentiva al sindacato di costruire a Spinetta convegni nazionali sulla ricerca, allo svolgimento dei quali partecipavano tutti, sottolineo tutti, i lavoratori). Oggi esistono RSU e RSL: è tutto detto.
Non esistono più le Brigate rosse, che sconfiggemmo grazie alla partecipazione dei lavoratori. Oggi non esistono più le BR, che non servono nemmeno più ai padroni.
Abbiamo ricordato il passato quando i capi del personale dell’epoca erano più a sinistra di certi sindacalisti di oggi. Abbiamo ricordato il passato non per nostalgia o autocelebrazione, perché anche allora era dura e le sconfitte sindacali sono state cocenti, a cominciare dagli anni ’80. L’abbiamo ricordato per rimarcare che il presente sindacale è assai più difficile e brutto: il sindacato è sempre più debole e molle, le condizioni dei lavoratori arretrano sempre più, un circolo vizioso. Il sindacato è più impegnato a sostenere il PD (ex centrosinistra) che a difendere i lavoratori, non ha difeso il potere d’acquisto e i posti di lavoro, né la qualità del lavoro, né la sicurezza sul posto di lavoro, né l’ambiente sul territorio. C’è sempre più gente che fa fatica ad arrivare a fine mese, c’è sempre più precariato, più paura, più soggezione, più sfiducia. Le condizioni dei lavoratori sono progressivamente peggiorate, padronato & politici si stanno rimangiando tutte le conquiste operaie. La classe si frantuma, fabbrica si corporativizza (chi avrebbe immaginato la crescita di fascisti e leghisti in mezzo agli operai?).
Ebbene, in questo contesto sociale e sindacale, Gambetta/De Laguiche/Veltroni ci viene a raccontare che la belga Solvay (arcinota per i disastri di Rosignano) è sbarcata a Spinetta come babbo natale che dispensa soldi e carezze ai lavoratori, è il filantropo che riduce i profitti a favore delle popolazioni a rischio. E chi è che garantisce (per telefono, al 5302) questo bengodi? Il carneade Mauro Gambetta. Il quale ha il coraggio di scrivere: “Tutto il possibile per garantire la salute e la sicurezza è stato fatto”. Una affermazione enorme, irresponsabile, da parte di un sindacato, in qualunque epoca e contesto. La Solvay era ed è certificata a livello nazionale azienda ad alto rischio, con lavorazioni pericolosissime, a rischio di catastrofe industriale, con produzioni che possono cancellare la vita di Alessandria, in un territorio con il record di malattie e morti per cancro. Così come riportato perfino nelle Mozioni votate all’unanimità dal consiglio comunale.
Perché mai dovremmo credere a Gambetta/Guarracino/Veltroni? Perché dovremmo telefonare al 5302 per sapere che tutto va bene madama la marchesa?
Sono poi Gambetta/Solvay/Veltroni che devono fornire le garanzie ai lavoratori e ai cittadini? Non sono loro. Dovrebbero essere le istituzioni pubbliche: ARPA, ASL, Prefetto, Comune, Provincia, Regione. Nessuna di queste ha mai avuto la spudoratezza di pronunciare l’affermazione di Gambetta: “Tutto il possibile per garantire la salute e la sicurezza è stato fatto”. Nessuno di loro. Allo stesso tempo nessuno di loro ha svolto il proprio compito fino in fondo.
Chi dunque dovrebbe dare le garanzie? L’unico strumento di garanzia sarebbe l’Osservatorio ambientale della Fraschetta, come avevamo dettagliatamente proposto e sollecitato per decenni. Tramite l’Osservatorio ( quello vero, non quello finto che forse sulla carta risulta) con l’autogestione i cittadini sarebbero in grado di controllare direttamente i fattori di rischio, non delegando ma avendo a servizio gli enti pubblici.
Un sindacato responsabile e onesto dovrebbe essere il primo a sostenere, anzi a rivendicare il vero democratico Osservatorio. Il quale, invece delle incredibili rassicurazioni di Gambetta/Solvay/Veltroni, sarebbe in grado di pretendere dagli enti pubblici e di fornire ai cittadini i dati reali delle emissioni in atmosfera/acqua/suolo, i dati reali su malattie/morti dei lavoratori e dei cittadini, le reali misure necessarie per l’allarme, l’evacuazione e l’assistenza di migliaia di cittadini colpiti dal possibile evento catastrofico. Invece di adempiere a questo dovere morale, il sindacato -non solo disinformato e incompetente- nelle parole di Gambetta da addirittura adito a ritenere che nasconde le magagne dell’azienda.
Sì, è vero, come scrive Gambetta, è convinzione generale (basta interrogare qualunque lavoratore in attività o in pensione) che “i delegati sindacali all’interno dello stabilimento (ma di conseguenza anche le organizzazioni sindacali di categoria alessandrine) non contino niente anzi, siano succubi alla direzione”.
Le RSU attuali, eliminato il Consiglio di fabbrica, ricordano le RSA, le Commissioni interne prima del ’68. Quando c’era un gruppetto di “sindacalisti” che l’azienda manteneva distaccata dai posti di lavoro, a bighellonare o gestire la mensa, il dopolavoro o la cassa mutua, a controllare la distribuzione di tute e scarpe, a facezie del genere, piccoli favori, clientelismo spicciolo, “sindacalisti” buoni, collaborativi, consapevoli che se avessero trasgredito la direzione li avrebbe rimandati a lavorare. (Era convinzione generale che alcuni sindacati e sindacalisti fossero a libro paga. Ma probabilmente non ce n’era bisogno: per quel che valevano si accontentavano di privilegi e clientelismo).
Dispiace dire queste cose a chi è in buona fede: è un sindacato che fa comodo all’azienda, la sua attuale connotazione serve all’azienda perché è speculare all’azienda, è la stessa immagine dell’azienda riflessa allo specchio. Un sindacato che serve per tenere ferme le maestranze ammesso che ritrovino un briciolo di ribellione, che serve soprattutto ad una impresa chimica ad alto rischio per dare l’immagine di una fabbrica che non da nessuna preoccupazione ad una città che dovrebbe essere distante chilometri e chilometri.
L’involuzione sindacale è iniziata tanti anni fa. C’è tutto nel mio enorme archivio. Ricordiamo lo scontro clamoroso tra la Cellula del PCI e il sindacato in merito al reparto Pigmenti: i comunisti che chiedevano la chiusura dell’impianto perché accertato cancerogeno mentre i sindacalisti -per soddisfare le esigenze produttive dell’azienda- obbligarono i lavoratori ancora per anni ad ammalarsi e a morire.
O ricordiamo la complicità sindacale ad espellere dalla fabbrica i soggetti più deboli: invalidi, malati e anziani.
L’elenco sarebbe ancora lungo. Tutto è documentato.
Sì, la subordinazione culturale e politica del sindacato non è recente, così la sua azione speculare alla direzione. Entrambi occultavano ai lavoratori e all’opinione pubblica l’avvelenamento del territorio dovuto alla fase di riconversione produttiva, al taglio drastico delle manutenzioni e degli organici, alla terziarizzazione, insomma come sempre alla cosiddetta ottimizzazione dei profitti.
Lino Balza ha conosciuto sulla pelle questa alleanza sindacalpadronale quando, avendo mobilitato l’opinione pubblica sui misfatti ambientali con continue denunce in prima pagina sui giornali, si trovò ad affrontare una exaltation di rappresaglie aziendali avallate, quando non addirittura sottoscritte, da un sindacalismo di fabbrica ormai ridotto al servilismo, all’opportunismo, alla corruzione (le eccezioni sono sempre individuali).
Balza ha ingaggiato con Montedison querele, esposti, denunce, manifestazioni, scioperi della fame, incatenamenti, chilometri di firme di solidarietà, titoli su titoli in giornali e TV; ventitrè udienze in tribunale, sette cause in pretura, quattro in appello, due in cassazione, tutte concluse felicemente ma piene di sofferenze: cassa integrazione, tre trasferimenti, mobbing, anni di dequalificazione professionale, di inattività assoluta, oltre ad uno stillicidio di tentati provvedimenti disciplinari e vertenze minori e, dulcis in fundo, licenziamento.
(Balza non ha usato i legali della CGIL ma ha pagato l’avvocato di tasca propria, anche se ci tiene a precisare che è sempre stato (ed è) iscritto alla CGIL, per un ideale novecentesco che non corrisponde assolutamente con la realtà attuale).In conclusione: questa involuzione sindacale, che i lavoratori e i pensionati conoscono bene sulla loro pelle, oggi tocca il fondo con il “noi” di Mauro Gambetta (non c’è mai un limite in basso). Rispondiamo: di “voi” ci fidiamo meno di prima.

L’ARPA E LA SOLVAY SOLEXIS

A voi risulta che l’Arpa abbia dato notizia che sabato 7 novembre 2009 intorno alle ore 17 c’è stato un incidente all’impianto Algofrene della Solvay Solexis di Spinetta Marengo? A noi no.
Eppure sembrerebbe che a seguito della foratura della colonna di testa del reattore R3 ci sia stata una considerevole fuoriuscita di gas. All’interno di tale apparecchiatura alla pressione di 11 bar si fa reagire il Cloroformio con Acido Fluoridrico ottenendo così Clorodifluorometano (CFC22) e Acido Cloridrico. Il reattore in pochi minuti si è depressurizzato all’aria senza che la Solvay dichiarasse alcuna emergenza. Non vogliamo dubitare che sia successo nulla di grave, ci chiediamo però se l’Arpa è stata informata, e se sì ,perchè non ha informato. Magari solo per tranquillizzare, considerando che il Cloroformio ha un effetto deprimente sul sistema nervoso centrale, può produrre danni al fegato dove viene metabolizzato in fosgene ed è cancerogeno (associato al carcinoma epatocellulare). A sua volta l’acido fluoridrico è estremamente tossico sia per inalazione che per contatto e danneggia il tessuto osseo e le vie nervose; l’ingestione è spesso mortale. Il Clorodifluorometano è una sostanza classificata come pericolosa ai sensi della Direttiva 67/548/CEE, persiste nell’aria e partecipa al processo di riduzione dello strato di ozono stratosferico.
In compenso l’Arpa ha convocato una conferenza stampa su cromo e PFOA per spiegare che oggi come ieri possiamo stare tranquilli: è tutto sotto controllo, come sempre.
Come il 19 marzo 2008, quando su un giornale locale viene intervistato il direttore dell’Arpa. A seguito di esposti in Procura, infatti, l’Arpa sta rispondendo al procuratore e al giornalista. Afferma Alberto Maffiotti: “L’intervento di bonifica dell’impianto Bicromati è regolare”. Tutto regolare, non c’è cromo a Spinetta Marengo, non esistono 500 milioni di metri cubi sotterrati, le falde non sono inquinate. Attenzione: le rassicurazioni ARPA sono rilasciate a marzo. A maggio, neanche due mesi dopo, la magistratura apre l’inchiesta sullo scandalo mentre il sindaco è costretto a chiudere tutti i pozzi!!!
Era tutto regolare per l’ARPA, facendo finta di non sapere che cinque mesi prima la Coopsette aveva trovato valori incredibili di cromo esavalente; o di non sapere delle decennali denunce della responsabile del laboratorio dello zuccherificio e di Medicina democratica. Anche volendo concedere la buona fede, come si può giustificare che l’Arpa dal 2002 al 2006 aveva rilevato “cromo totale” nei terreni della Fraschetta e non le è venuto in mente di accertare la logica presenza di “cromo esavalente”? Addirittura (sta scritto sui giornali) l’Arpa viene accusata di averlo sì rilevato tra il 2003 e il 2004: ma allora l’ha nascosto. Domande che abbiamo posto alla Procura. C’è di peggio nel rimpallo delle responsabilità: il Comune di Alessandria afferma che con ordinanza 2005 aveva impegnato sul “cromo esavalente” la Regione e l’Arpa, la quale Arpa nega di averla mai ricevuta. E’ tutta una matassa di rimpalli che dovrà essere districata dalla Magistratura.
Questi sono alcuni esempi di affidabilità dell’Arpa riferiti al cromo (comprereste voi una macchina usata da…?).
Facciamone altri sul PFOA.
Maffiotti afferma che “la pericolosità del PFOA è da provare” e al riguardo “non vi è letteratura scientifica”. Ignora o finge di ignorare (non so cosa sia più grave) che gli studi internazionali si occupano dei rischi Pfoa quanto meno dal 1972, come tossico e cancerogeno, e che l’EPA americana l’ha messo infine al bando la sostanza (chissà perché? si chiede Maffiotti), vietata con qualche ritardo si dirà, ma in netto anticipo rispetto all’Arpa che ancora oggi chiude gli occhi in attesa di una legge italiana che gli imponga di aprirli.
Bastava e basta fare un clic su internet (vedi es. allegato) per essere informati conoscendo un poco di inglese o con un traduttore.
Dov’era l’Arpa nel 2002 quando le emissioni di PFOA erano di quasi 100 volte superiori a quelle di oggi (dati Solvay)? Dov’era fino ad oggi?
Dov’era l’Arpa quando i valori di Pfoa nel sangue dei lavoratori erano 30 volte superiori a quelli odierni (che pur restano inammissibili: dovrebbero essere zero)?
Cosa ha fatto l’Arpa quando in Bormida e Tanaro il Pfoa è stato trovato (non per iniziativa Arpa) a livelli da 100 a 1.500 volte superiori a tutti i fiumi italiani ed europei?
TG3 Piemonte Solvay Solexis PFOA

Le Iene Solvay Solexis PFOA

VIVERE CON I VELENI

Luigi Pelazza con i proprietari del Ristorante di Alessandria “IL VICOLETTO”

Solvay Solexis – Cromo Esavalente e PFIB
Il servizio dell’inviato delle Iene Luigi Pelazza si è concentrato nella prima parte sul cromo esavalente, un minerale con caratteristiche tossiche e cancerogene, in grado di provocare sterilità e mutazioni genetiche. Il problema risale agli anni ’60 quando a Spinetta c’era ancora la Montedison che produceva, tra le altre sostanze chimiche, anche il bicromato di potassio, contenente per l’appunto il cromo esavalente, che all’epoca poteva essere smaltito, senza alcun problema, semplicemente dissotterrandolo nel terreno della fabbrica. Lo scandalo risiede nel fatto che fino al maggio 2008, per un tacito accordo tra Montedison e abitanti di Spinetta, questi ultimi utilizzavano gratuitamente l’acqua accettando la presenza dello stabilimento inquinante a pochi passi dalle case. A partire dal 28 maggio 2008, il sindaco di Alessandria Fabbio vieta ai cittadini di Spinetta di utilizzare l’acqua proveniente dalla falda vicina per uso potabile e irriguo, data l’alta concentrazione di cromo VI riscontrata dalle rilevazione dell’ASL. Nel 2002 la Solvay acquista il polo chimico, nonostante sia a conoscenza della presenza di cromo VI, e si impegna a disporre un piano di bonifica con le istituzioni per evitare l’inquinamento delle falde acquifere. Ma il cromo finisce nelle falde e i danni inevitabilmente ci sono: per esempio, nell’inverno del 2005, in uno dei magazzini dello stabilimento, in seguito allo scioglimento della neve, comincia a trasudare dai muri e dal pavimento un liquido giallognolo riconosciuto come cromo esavalente. Quando uno dei lavoratori si rivolge al superiore, non ricevendo chiarimenti in merito, avverte il servizio Spresal dell’Arpa, che, dopo le analisi, vieta l’ingresso senza dispositivi di sicurezza (mascherine, occhiali). E immediatamente lo stesso lavoratore che aveva fatto la denuncia viene licenziato. Dopo la denuncia del lavoratore, anche sui giornali compaiono servizi al riguardo (si veda l’articolo della Stampa del 27 maggio 2008 a firma di Massimo Putzu). La magistratura di Alessandria inizia degli accertamenti e invia quattro avvisi di garanzia a quattro dirigenti della Solvay per inquinamento ambientale. Pelazza passa poi ad intervista tre dirigenti della Solvay: il direttore generale Bigini, il responsabile dell’ufficio stampa Novelli e il direttore del personale Bessone. Secondo il direttore generale, il fabbricato di cui si parlava poco sopra è ancor oggi inquinato, mentre secondo il direttore del personale in quelle stanze non è mai entrato alcun lavoratore, nonostante la foto di una scrivania con cartelle di lavoro e un telefono sembrano sconfessarlo. Pelazza chiede anche informazioni riguardo la lavorazione del PFIB o perfluoroisobutene, altra sostanza altamente tossica se inalata. Dinanzi al documento della dott.ssa Valeria Giunta, responsabile per l’igiene ambientale della Solvay, nel quale era scritto che “nel caso di presunta presenza di PFIB, sospendere l’analisi fino a conferma dell’assistente…“, il direttore generale Bigini non sa letteralmente cosa dire. Gli stessi dirigenti sono così preoccupati che quando il giornalista si rivolge ad un ingegnere per avere chiarimenti in merito alle rilevazioni di fughe di PFIB, i dirigenti si mettono in mezzo alla discussione per evitare di far parlare serenamente l’ingegnere. L’inviato delle Iene si reca poi al laboratorio contaminato dal cromo VI; a rispondere alle domande è ora Novelli, responsabile dell’ufficio stampa. Afferma che il laboratorio è stato chiuso, ma solo nel momento in cui sono emerse anomalie: solo quando è stato ritrovato cromo esavalente ai lavoratori è stato impedito di operare al suo interno cosicché il direttore del personale è stato sbugiardato per la seconda volta. Infine Pelazza ci parla del cosiddetto “pozzo numero 8”, situato all’interno della fabbrica, il quale ha rifornito di acqua non solo la fabbrica ma anche molte famiglie di Spinetta Marengo e la cui acqua, a detta di Novelli, era potabile. Tuttavia anche questo pozzo è stato chiuso dall’ordinanza del sindaco di Alessandria e la ditta è stata costretta all’allacciamento con l’acquedotto, sebbene, secondo i dirigenti, tale decisione sia stata presa solo a scopo precauzionale. Di tutt’altro avviso Fabbio: il pozzo “non aveva i valori corretti“; inoltre, “la pericolosità dell’azienda sta nell’aria, non nell’acqua”, in quanto una perdita può portare “alla morte di tremila persone in mezz’ora“. Sconcertanti sono le testimonianze degli abitanti di Spinetta: tutti hanno bevuto l’acqua contaminata, si fidavano della Solvay. E poi gente che racconta della polvere rossa sui marciapiedi o delle calze sintetiche letteralmente mangiate dall’aria. Ma c’è anche chi fa presente che ieri la Montedison e oggi la Solvay vogliono dire lavoro: senza di essa ci sarebbero molti disoccupati.
Ringraziamo Aldo Bonaventura per il dettagliato resoconto del servizio.
Le Iene – Vivere con i Veleni – 27 ottobre 2009

Bomba Ecologica: Spinetta come Bussi


Il limite ammesso di cromo esavalente, tossico e cancerogeno, è di 5 microgrammi per litro. La Coopsette, analizzando i terreni su cui vuole costruire a Spinetta Marengo (Alessandria) un ipermarket, ha riscontrato 288 microgrammi. Così venerdì 23 maggio 2008 sono apparsi titoloni a sei colonne su giornali e tv: “Bomba ecologica. Falde inquinate. Emergenza pozzi a Spinetta”. Ma dove stava la novità, la sorpresa? In realtà la dottoressa Rini, capo laboratorio dello zuccherificio di Marengo, fin dagli anni ’80 denunciava ripetutamente sui giornali che l’acqua in falda era al punto inquinata da essere inutilizzabile nella lavorazione delle barbabietole.


Inquinata da chi? Dalla Montedison. Un allarme che Medicina democratica negli anni ha ripreso più volte, pubblicando sulla stampa le foto dei bidoni nascosti, rivendicando l’Osservatorio della Fraschetta e contestando i palliativi dell’azienda e delle amministrazioni pubbliche. L’abbiamo ancora ripetuto la settimana scorsa all’assemblea popolare di Pozzolo Formigaro.
Finalmente il 23 maggio l’opinione pubblica è rimasta scossa dall’emergenza idrica, con il sindaco che ordina la chiusura dei pozzi. Abbiamo dunque scritto ai giornali: “ Prima che si esaurisca di nuovo l’ondata emotiva, invitiamo di nuovo gli enti preposti ad andare a vedere che cosa c’è sotto e attorno allo stabilimento ex Montedison e ora Solvay e Arkema. Non ci sono barriere che tengano. Spinetta è come Bussi in Abruzzo, è un altro scandalo nazionale.


Nel sottosuolo all’interno della fabbrica stanno percolando nelle falde i veleni sversati, non solo il cromo. Bisogna fare i carotaggi e le analisi. Cosa è stato depositato nel bunker antiaereo di cui si chiacchiera dal dopoguerra? Bisogna andare a vedere. Le colline sullo sfondo dello stabilimento non sono naturali nella piana di Marengo: sono depositi di rifiuti. Bisogna andare a scavare. Provvederanno ASL e ARPA? Lo pretenderà la massima autorità sanitaria comunale, cioè il sindaco di Alessandria, preoccupato di interrompere i cicli produttivi e non altrettanto dell’acquedotto? E gli altri sindaci della Fraschetta? Per i reati commessi, per le misure di emergenza, per i risarcimenti: sarà tempestivo l’intervento della Magistratura? Il Comune si costituirà parte civile? Sono queste le domande inquietanti che poniamo nel timore che un nuovo velo venga tra qualche giorno a coprire le vergini grida di allarme e sdegno.”
Così scrivevamo. Il 24 maggio, apertura di una inchiesta della Procura della Repubblica e riunione di emergenza fra Comune, Provincia, Arpa, Solvay e Unione industriali, alla luce delle quali aggiungiamo le seguenti considerazioni che saranno trasmesse alla Procura e a tutti gli enti competenti. Specifichiamo che Medicina democratica si costituirà parte civile nel procedimento che la Magistratura vorrà aprire per azienda e amministrazioni.

1) Gli imputati per l’avvelenamento pubblico non sono “ignoti” ma sono innanzitutto i dirigenti della Montedison che si sono avvicendati nel grande polo chimico.

2) La Solvay, che è subentrata nel 2002 alla Montedison, era a conoscenza della situazione pregressa della fabbrica addirittura beneficiando dei fondi regionali per la bonifica dei suoli.
3) La bonifica fissata dalla Regione Piemonte era curata per competenza dal Comune di Alessandria con la partecipazione tra gli altri di Provincia e Arpa. Sarà cura della Procura accertarne le responsabilità aziendali e amministrative.
4) Le responsabilità dovranno essere accertate anche per la rilevante perdita di acqua, conosciuta da Comune e Provincia, che avrebbe accelerato e alimentato il deflusso dei veleni in falda, perdita in corso da almeno un anno e non fronteggiata dalle effimere barriere idrauliche della Solvay.
5) Non c’è giustificazione per Provincia & C. Tutti i controlli erano possibili anche prima delle più recenti normative ambientali, a maggior ragione per le risapute denunce pubbliche.
6) La Solvay, subentrata a Montedison, dovrà essere chiamata in solido per i risarcimenti.
7) La società belga dovrà risarcire i dipendenti che saranno messi in cassa integrazione per le perdite salariali, e risarcire la stessa INPS.
8) I risarcimenti si riferiscono non solo ai danni sociali ed economici ai privati e alle aziende agricole, ma soprattutto ai danni alla salute passati, presenti e futuri per l’avvelenamento del suolo e delle acque.
9) L’avvelenamento va accertato non solo per il cromo esavalente ma anche per gli altri veleni sversati nei decenni per le lavorazioni dei pigmenti e dei clorofluorocarburi: urgono carotaggi e analisi dei depositi nascosti sotto gli impianti, nel bunker antiaereo e nelle colline artificiali. Urgono indagini epidemiologiche.
10) Non è vero che i consumatori possono stare tranquilli. La Procura dovrà, ad esempio, verificare se è vero che il pozzo in cui sono stati riscontrati 93 microgrammi per litro di cromo nella mega azienda agricola Pederbona non era mai stato utilizzato per abbeverare il bestiame da carne e latte.
11) Se anche fosse vero che questo e altri pozzi erano stati usati solo per scopo irriguo, il cromo tossico e cancerogeno è entrato comunque nella catena alimentare tramite foraggio, carni, latte, verdure ecc.
12) Addiritura Solvay forniva con i propri pozzi gli abitanti di Spinetta Marengo che utilizzavano l’acqua per usi domestici e per irrigare campi e orti e abbeverare bestiame.
13) Sono stati, malgrado le polemiche che sollevammo, buttati via miliardi di soldi pubblici per progetti (Linfa) che non hanno accertato nulla del disastro balzato alla cronaca.
14) Viceversa Regione, Provincia e Comune non hanno mai voluto realizzare l’Osservatorio ambientale della Fraschetta, che rivendichiamo da trenta anni come strumento di democrazia diretta, unica garanzia per le popolazioni a rischio.
15) La rivendicazione dell’Osservatorio è quanto mai attuale perché se è vero che la drammatica situazione delle falde non è dovuta all’attività in corso alla Solvay, però il polo spinettese resta ad alto rischio chimico e di catastrofe industriale e non solo oggetto anche di recente ad esposti in magistratura per inquinamenti atmosferici.

I veleni nascosti sotto Spinetta Marengo


“Bomba ecologica. Emergenza pozzi a Spinetta. Il sindaco ne vieta l’uso. Cromo esavalente nelle falde della Fraschetta. Nel mirino il polo chimico”.

Sono i titoloni sui giornali e TV.

Dove sta la novità, la sorpresa? La dottoressa Rini, capo laboratorio dello zucchericio, fin dagli anni ’80 denunciava ripetutamente sui giornali che l’acqua in falda era inquinata al punto da essere inutilizzabile nella lavorazione delle barbabietole. Un allarme che io stesso negli anni ho ripreso più volte, pubblicando sulla stampa le foto dei bidoni nascosti, rivendicando l’Osservatorio della Fraschetta e contestando l’inutile progetto Linfa. L’ho ancora ripetuto la settimana scorsa all’assemblea di Pozzolo Formigaro. Oggi, prima che si esaurisca di nuovo l’ondata emotiva, invito di nuovo gli enti preposti ad andare a vedere che cosa c’è sotto e attorno allo stabilimento ex Montedison e ora Solvay e Arkema. Non ci sono barriere che tengano. Spinetta è come Bussi in Abruzzo, di cui parlano tutti i telegiornali. Nel sottosuolo all’interno della fabbrica stanno percolando nelle falde i veleni sversati, non solo il cromo. Bisogna fare i carotaggi e le analisi. Cosa è stato depositato nel bunker antiaereo di cui si chiacchiera dal dopoguerra? Bisogna andare a vedere. Le colline sullo sfondo dello stabilimento non sono naturali nella piana di Marengo: sono depositi di rifiuti. Bisogna andare a scavare. Provvederanno ASL e ARPA? Lo pretenderà la massima autorità sanitaria comunale, cioè il sindaco di Alessandria, preoccupato di interrompere i cicli produttivi e non altrettanto dell’acquedotto? E gli altri sindaci della Fraschetta? Per i reati commessi, per le misure di emergenza, per i risarcimenti: sarà tempestivo l’intervento della Magistratura? Il Comune si costituirà parte civile? Sono queste le domande inquietanti che poniamo nel timore che un nuovo velo venga tra qualche giorno a coprire le vergini grida di allarme e sdegno.

Lino Balza

I Delegati Solvay dovrebbero dimettersi

Dopo l’esposto dei due dipendenti a Procura della Repubblica, ASL e Ispettorato del lavoro, i delegati sindacali della Solvay di Spinetta Marengo dovrebbero -per dignità- dimettersi. Altrimenti dovrebbero essere i responsabili provinciali a sospenderli.
Questo esposto si inserisce nella polemica in corso di Medicina democratica contro il sindacato accusato di aver eretto un muro di omertà attorno all’azienda chimica belga, di nascondere le reali condizioni di criticità, di aver risposto al nostro allarme con l’irresponsabile affermazione: “Tutto il possibile per garantire salute e sicurezza a lavoratori e cittadini è stato fatto”, come se miracolosamente la fabbrica fosse diventata una bomboniera. Invece è uno stabilimento ad alto rischio chimico, dove gli inquinamenti possono determinare una rilevanza terribile su territorio e popolazione, con lavorazioni pericolosissime a rischio di catastrofe industriale per migliaia di persone, in un territorio con il record di malattie e morti per cancro.

Il dettagliato esposto dei due ricercatori Solvay viene finalmente a rompere la cortina di omertà, confermando il nostro allarme. In tre pagine dense di dati e tabelle essi chiedono a magistratura ed enti ispettivi di “verificare la preoccupante situazione della Solvay”. Dove “siamo messi in condizione di dover barattare la nostra salute e quella degli abitanti di Spinetta”. Dove “l’azienda continua a farci pressione e ci siamo dovuti rivolgere a un legale e in fabbrica ci sono già stati dei precedenti”. Dove “abbiamo scoperto attraverso le analisi che sono anni che respiriamo otto ore al giorno sostanze cancerogene”, lentamente rilasciate nel suolo, nella rete fognaria comunale e in aria da bassi camini senza dosimetri, “sostanze non sufficientemente aspirate” per le quali è prescritto di “utilizzare durante l’esposizione la maschera o meglio l’autorespiratore” e che addirittura “in America sono state bandite”. Dove “gran parte dei dipendenti ha questa sostanza nel sangue” ma l’azienda continua a ripetere che “non ha effetti nocivi sull’uomo e di non preoccuparsi”. Dove, citando date e ora degli episodi, “abitualmente non viene dichiarata emergenza quando si verificano incidenti agli impianti lasciando all’oscuro dipendenti e popolazione di Spinetta Marengo”. In conclusione, l’esposto conferma nei dettagli le nostre accuse al sindacato di “subordinazione politica e culturale nei confronti delle direzioni aziendali, di azione speculare alle stesse”.

Lino Balza