Bonifica impossibile: Solvay inquina come prima, più di prima.

Solvay nel 2019 è stata condannata definitivamente dalla Cassazione a bonificare a Spinetta Marengo un mare di  cromo esavalente, pfas ecc.  Nel 2024 è di nuovo sotto  processo  per aver omesso la bonifica. Si difende dicendo che ci vogliono anni per farla. Avrebbe ragione, perché ci vogliono, ad esempio, non meno di quattro decenni per permettere a una falda acquifera contaminata di liberarsi dagli PFAS (sostanze perfluoro alchiliche), i contaminanti perenni e ubiquitari che hanno gravi conseguenze sulla salute umana e sull’ambiente. Ma avrebbe ragione se avesse smesso di inquinare, e invece inquina terreni, acque e atmosfera come prima e più di prima. Dunque ogni bonifica è impossibile  se non si fermano le produzioni. Inutile chiudere il tappo ad una vasca se si lascia il rubinetto aperto.  Bisogna chiudere, subito,  il “rubinetto” e, poi,  ci vogliono 40 anni per svuotare  la “vasca”.  
 
Un esempio ci viene dalla Carolina del Nord dove c’era un impianto di produzione di PFAS dell’azienda Fayetteville Works. I ricercatori dell’Università Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston hanno voluto verificare a che punto fossero le acque più profonde visto che, dal 2019, in teoria, la contaminazione è cessata. Per questo hanno raccolto una serie di campioni in due bacini vicini agli impianti e hanno messo a punto un modello per verificare non solo la situazione attuale, ma anche l’andamento della qualità delle acque nel tempo. Quindi hanno identificato e quantificato diversi tipi di PFAS e, in più, hanno utilizzato dei traccianti radioattivi che riescono a datare le acque, e hanno combinato i dati con quelli dei rilevamenti delle concentrazioni di PFAS in atmosfera, e con quelli della cinetica dei flussi delle acque. Così hanno ottenuto delle formule che permettono di stabilire quantitativamente e temporalmente la presenza di PFAS nelle acque. Come hanno poi riportato su Environmental Science & Technology, i risultati sono stati sconvolgenti, perché hanno mostrato che alcuni PFAS erano lì da almeno 43 anni, con concentrazioni pari a 229 e 498 nanogrammi per litro, mentre la soglia limite per l’acqua potabile per l’HFPO-DA stabilita dalla US Environmental Protection Agency (EPA) è di dieci nanogrammi per litro.

Piuttosto che chiudere, “inventa” filtri seta/cellulosa miracolosi per bere acqua senza Pfas.

Piuttosto che fermare le lucrose produzioni, e avviare la costosissima bonifica, cioè eliminare a monte l’ecocidio, Solvay preferirebbe tamponare a valle…  se qualcuno inventa un filtro da applicare ai rubinetti. Sarebbe una soluzione demenziale, anzi criminale. Perché, ammesso e non concesso di risolvere l’acqua  domestica peraltro a costi inusitati per i cittadini, resterebbe contaminato tutto l’ambiente e dunque avvelenata la catena alimentare da cui dipende la salute umana. Eppure Solvay ci sta pensando in alternativa ai filtri a carbone, di cui noi abbiamo documentato l’assurdità (clicca qui).
 
Ecco che verrebbe utile, almeno sul piano della distrazione propagandistica, lanciare l’Università di Alessandria, giustificando così i finanziamenti di cui gode da parte della multinazionale belga. Dovrebbe inventare una membrana tramite la proteina di cui è costituita la seta, la fibroina, unendola  alla cellulosa in forma cristalli nanometrici, creando appunto una pellicola con potere filtrante nei confronti in particolare dei PFAS: che possiedono una carica elettrica fatta apposta per attaccarsi ai filtri con carica opposta opportunamente un po’ potenziata. Favolosi filtri, detto per inciso, che dovrebbero poi essere bruciati negli inceneritori… ma l’università poi dovrebbe studiare filtri per inceneritori… e poi e poi all’infinito. Un business mondiale.
 
Ma ci sarebbe di più. Per risparmiare nell’uso domestico, potrebbe essere sufficiente la seta raccolta come scarto dalle lavorazioni industriali, mentre per un impiego più esteso si possono cercare proteine simili, ma disponibili in quantità più elevate. L’università candidata al nobel.

La carta da forno senza etichetta “PFAS FREE” è tossica e cancerogena.

I Pfas hanno la capacità di respingere l’acqua, il grasso e le alte temperature, quindi sono perfetti per creare nella carta da forno  quella comoda superficie antiaderente. Però, soprattutto quando riutilizzata o ad alte temperature, la carta fa diventare tossici e cancerogeni i cibi. Poi, tramite i  rifiuti diventa ulteriormente nociva nell’ambiente. Infatti, i Pfas sono definiti “forever chemicals”, sostanze eterne che si accumulano nell’organismo e si collegano  a gravi malattie che interessano il fegato, gli apparati riproduttivi, la tiroide, con anche possibili patologie tumorali e compromissione del sistema immunitario. 
 
Dunque. Consiglia l’Associazione Italiana Medici per l’Ambiente (ISDE Italia): utilizzare carta da forno ecologica, cioè con etichetta “PFAS FREE”, esente da Pfas, ovvero tappetini garantiti riutilizzabili in silicone alimentare, o meglio ricorrere al tradizionali e gustosi metodi: un filo di olio d’oliva steso sulla teglia, magari con una manciata di farina, o foglie di vite o di cavolo, perfino di banano.

UE contro i cosmetici fuori legge per Pfas.

L’ispezione è stata condotta in 13 paesi europei, tra novembre 2023 e aprile2024, dall’Agenzia europea delle sostanze chimiche (Echa) su 4500 cosmetici, provenienti da vari venditori e a tutte le fasce di prezzo.
Oltre il 6% è risultato fuori legge come tossiche e cancerogene.  Le violazioni più frequenti hanno riguardato  eyeliner e matite labbra, in forma di matita o crayon,  balsami e maschere per capelli, quindi principalmente in prodotti da risciacquo. 
 
Le ispezioni sono state effettuate principalmente attraverso il controllo dell’elenco degli ingredienti, azione che può essere effettuata facilmente anche dai consumatori. L’elenco su Il Salvagente.

Veleni che arrivano nell’organismo dai contenitori tramite il cibo.

In merito alla contaminazione dei cibi a contatto con i contenitori, uno studio pubblicato sulla rivista del gruppo Nature Journal of Exposure Science & Environmental Epidemiology dalle ricercatrici e dai ricercatori della Food Packaging Forum Foundation di Zurigo, in Svizzera, fa il punto su quanto scoperto finora in cinque programmi di biomonitoraggio di popolazione, e sui dati contenuti in tre grandi database dedicati a ciò che accade nei campioni biologici di persone esposte a sostanze chimiche. 
 
Al di là dei numeri, ciò che emerge è la sorprendente quantità di sostanze chimiche a contatto con gli alimenti che entrano nel corpo umano, arrivando direttamente dagli alimenti: PFAS, bisfenoli,  ftalati, perclorati ecc.

Divieti di pesca in Svizzera causa Pfas.

In Ticino è da 10 anni che si controlla la presenza dei Pfas tossici e cancerogeni nei pesci dei laghi. E un ultimo studio effettuato per conto della Commissione internazionale per la protezione delle acque italo-svizzere,  ha evidenziato che la loro concentrazione negli agoni (21 microgrammi al chilo) è nettamente superiore ai limiti appena introdotti dall’ordinanza federale (2 microgrammi). Sono in corso da parte del Laboratorio cantonale analisi preposte a fissare un divieto di pesca dell’agone.
 
 C’é anche un’analisi nazionale, la quale afferma che i pesci, soprattutto quelli a monte della catena alimentare, come il coregone e il cavedano, accumulano  queste sostanze persistenti e bioaccumulabili  ad elevato livello di rischio per la salute. Tant’è che si rileva ancora una forte presenza di Pfos benché  sia stato limitato e vietato dal 2011 in Svizzera, ma anche in Europa. 

Veleni che arrivano nell’organismo dai contenitori tramite il cibo.

In merito alla contaminazione dei cibi a contatto con i contenitori, uno studio pubblicato sulla rivista del gruppo Nature Journal of Exposure Science & Environmental Epidemiology dalle ricercatrici e dai ricercatori della Food Packaging Forum Foundation di Zurigo, in Svizzera, fa il punto su quanto scoperto finora in cinque programmi di biomonitoraggio di popolazione, e sui dati contenuti in tre grandi database dedicati a ciò che accade nei campioni biologici di persone esposte a sostanze chimiche. 
 
Al di là dei numeri, ciò che emerge è la sorprendente quantità di sostanze chimiche a contatto con gli alimenti che entrano nel corpo umano, arrivando direttamente dagli alimenti: PFAS, bisfenoli, ftalati, perclorati ecc.

Tira brutta aria ad Alessandria, non solo in atmosfera.

L’Arpa Piemonte ha reso pubblici i dati giugno-luglio (clicca qui) dell’inquinamento dei Pfas nell’atmosfera di Alessandria, completando ormai il quadro annuale di questi tossici e cancerogeni che permeano polmoni, cibi, acque, suoli, acquedotti di Spinetta Marengo, Comuni di Alessandria (pozzi chiusi), Montecastello (acquedotto chiuso) e altri della Provincia.
 
La relazione ARPA denuncia, assieme al vecchio PFOA già vietato nel mondo, e al “nuovo” C6O4 malgrado il reparto fosse chiuso in quei mesi, la presenza del “nuovo” pfas ADV, ora denominato MFS, con concentrazioni più sensibili nel sobborgo di Spinetta. Quasi fosse una scoperta!! Mentre invece la nostra associazione ne denunciò pubblicamente l’impiego -non autorizzato- fin dal 2009 con un esposto alla procura. La successiva graziata  autorizzazione AIA della Provincia  è addirittura scaduta nel 2023. Nell’atmosfera alessandrina odierna, Solvay da 72 ciminiere spara in aria i pfas ADV, che si aggiungono ai C6O4, ai PFOA, nel cocktail di altri 20 tossici e cancerogeni, che, tutti assieme motivano le tragiche indagini epidemiologiche (l’ultima nel 2019, clicca qui alcune tabelle). Tutto ciò: malgrado sia già intervenuta una sentenza della Cassazione e per responsabilità della sopravvenuta magistratura.
 
Tira brutta aria ad Alessandria, non solo in atmosfera ma anche in politica e magistratura.

Brutta aria in politica.

 In primo piano, la tomba di Gianni Spinolo, grande avversario e vittima di Solvay.
Un gran daffare a nascondere la polvere (cancerogena) sotto i tappeti. Mentre Solvay si fa propaganda invitando frotte di studenti della provincia per ammirare le meraviglie dello stabilimento di Spinetta Marengo, a coprire le larghe spalle della multinazionale belga provvedono come sempre  le istituzioni locali: in questo frangente è presentata al ristretto  pubblico la “task force” del neo assessore alla sanità regionale Federico Riboldi. Tale denominazione bellica che in italiano è mitigabile  come “unità di pronto intervento”, fa abbastanza ridere perché, mentre Riboldi scopre l’acqua calda, il disastro ecosanitario di Alessandria è vecchio come il cucco, e nei recenti cinquant’anni i politici hanno fatto finta di affrontarlo sotto altri nomi: commissione consiliare, osservatorio ambientale, gruppo di studio, ecc. Tutte inconcludenti distrazioni ad uso dell’opinione pubblica. Con questa cosiddetta task force innanzitutto si punta a sviare l’attenzione sulla ventina di cancerogeni che Solvay spara in aria-acqua-suolo, limitandosi  solo alla punta dell’iceberg dei Pfas.
 
All’assessore Riboldi con l’elmetto di cartone in testa, Solvay Syensqo ha affidato il compito di prendere tempo-perdere tempo: diluire il più a lungo possibile i tempi degli esami del sangue di una ristretta popolazione, piuttosto che il monitoraggio di massa provinciale rivendicato e negato da decenni (i cittadini gli esami se li sono fatti a proprie spese). E, con ciò, rinviare l’unica discussione, ovvero decisione, da fare oggi: su come chiudere, ORA le produzioni della Solvay di Spinetta Marengo e, POI, chiedere i risarcimenti per le Vittime in base ai monitoraggi ematici nel frattempo eseguiti: i cui risultati  inevitabilmente saranno oggetto di lunghissime valutazioni e discussioni in sede giudiziaria (senza riconoscimenti per i tanti Gianni Spinolo sulle lapidi del cimitero di Spinetta).  
 
Il trucco di Solvay-Riboldi è infatti  rovesciare le priorità dei tempi: DOPO che i cittadini faranno da cavie di laboratorio, e ponderati i pro e i contro delle morti e delle malattie, e soppesati i rapporti causa-effetto, e i valori di soglia dei veleni compatibili nel sangue (perdio! ma solo zero è compatibile!), insomma dopo un milione di se e di ma, POI eventualmente, non necessariamente, iniziare la discussione sulla chiusura… secondo i tempi nazionali e internazionali prefissati da Solvay Syensqo. “Altrimenti ha detto senza pudore Riboldi “si prendono decisioni di pancia”. Purtroppo alcuni attivisti ambientalisti si fanno pigliare nell’ingranaggio del trucco. Spontaneamente approva l’irresponsabile sindaco di Alessandria (vedi Adriano Di Saverio).
 
Affinchè tutto resti saldamente nelle mani di Solvay-Riboldi-Regione, la cosiddetta  task force è stata articolata in “commissione tecnica” e “commissione scientifica”, cioè polverizzata  in una pletora ininfluente di fedeli  funzionari provinciali e regionali, nonché di eterogenei dirigenti sanitari per successive diagnosi e terapie a lungo termine. Il fine evidente è annegare ancora una volta in un mare di informazioni tecniche, come non bastassero tutti i dati ambientali e sanitari pur usciti dai mafiosi Arpa e Asl, e nove indagini epidemiologiche nella Fraschetta, a tacere i referti delle Università di Liegi e Aquisgrana.  
 
In concreto, l’impegno “finanziario” consisterebbe  al momento in un annunciato camioncino attrezzato  che girerebbe a fare prelievi in un limitato  raggio di 3 chilometri attorno al polo chimico. “Sui tempi di chiusura” precisa la Regione, “non si possono al momento indicare delle date, perché dipendono dai risultati dei primi campioni”. Lo sappiamo, campa cavallo per il resto della Provincia, del Comune di Alessandria, degli altri Comuni , come Montecastello dove è stato addirittura chiuso l’acquedotto.
 
E’ stato commentato: “Quello della cosiddetta ‘task force’ è solo l’ultimo di una lunga serie di capitoli che da anni si susseguono e che continuano a raccontare la presenza di un inquinamento, di responsabilità relative e di risposte il più delle volte flebile e lascive”. Ecco, “lascive” è il termine appropriato, con i suoi sinonimi: scandalose, indecenti, immorali, vergognose, disoneste, criminali… Syensqo.

Il miracolo di S. Baudolino, santo protettore dei Pfas.

lI laboratorio “Medica” di Zurigo ha analizzato il sangue di 35 persone provenienti da 18 cantoni svizzeri alla ricerca di PFAS (PFOA e PFOS) persistenti “forever chemicals”  nell’ambiente malgrado siano vietati dal 2021.  Tutti i partecipanti allo studio, dai bambini di sette anni alle donne di 89 anni, hanno queste sostanze cancerogene nel sangue. I livelli di Pfas di 29 partecipanti sono  così alti che, secondo l’Ufficio federale dell’ambiente (UFAM), insorge “Una necessità acuta d’intervento,  in particolare  per le donne, soprattutto in età fertile (danni al feto), e per i bambini  che porteranno danni irreversibili tutta la vita. Infatti sono le mamme svizzere le più disperate.
 
Disperate  come lo sono le “Mamme No Pfas” del Veneto, con i figli avvelenati dalla Miteni di Trissino, alle quali è toccato il tragico “merito” di essere state protagoniste a portare alla ribalta in Italia il dramma dei Pfas: da risolvere con una legge di  messa al bando.
 
L’assassinio dei bambini  a mezzo dei Pfas è uno scandalo che non preoccupa Alessandria. Qui non ci sono bambini con i Pfas nel sangue. Eppure qui la Solvay di Spinetta Marengo, unico produttore nazionale, spara Pfas in aria acqua suolo! Miracolo! Miracolo del patrono San Baudolino? O semplicemente il fenomeno non è sovrannaturale bensì  merito di ometti che coprono la carica di sindaci e assessori: che hanno sempre impedito analisi di massa del sangue dei bambini.  
 
Questo miracolo va però condiviso con i magistrati. La mia associazione, già nel primo (anno 2009) dei 20 esposti depositati alle Procure di Alessandria pubblicamente chiedeva -documentando i Pfas nel sangue dei lavoratori Solvay- di intervenire in fabbrica e indagando con monitoraggi ematici  la salute nella cittadinanza tutta. Non solo, scandalo nello scandalo, denunciammo su su fino al ministro della sanità che i Pfas erano trasmessi nelle sacche dei donatori di sangue.

Berrino: “Dobbiamo difenderci”. Sì, ma anche la magistratura ci volta le spalle.

Giulio Alfredo Maccacaromedicobiologo e partigiano, è stato il padre della biometria italiana, maestro  nell’analisi del processo d’insorgenza delle patologie e del loro sviluppo con particolare attenzione alle loro cause: ambientali e lavorative. Maccacaro  fu uno scienziato che visse in modo completo la sua professione di studioso e ricercatore con il suo impegno sociale: sempre dalla parte dei lavoratori e dei movimenti che verso il ’68 si andavano organizzando nelle fabbriche e nei territori. Perciò la nostra Associazione si ispira ai suoi insegnamenti al punto da assumermene il nome: “Movimento di lotta per la salute Maccacaro”. Abbiamo avuto la fortuna di frequentare membri prestigiosi del Comitato di redazione di “Sapere”, rivista di cui era direttore, nel cui collettivo ricordiamo Luigi Mara, Laura Balbo, Sergio Bologna, Marcello Cini, Giorgio Negri, Vladimiro Scatturin, Benedetto Terracini, e fra i collaboratori: Angelo Baracca, Franco Basaglia, Virginio Bettini, Giorgio Bignami, Luigi Cancrini, Franca Ongaro, Ettore Tibaldi, Enzo Tiezzi eccetera.
 
A quella esperienza storica (da parte nostra aggiungiamo il nome di Giorgio Nebbia) che chiamò a costruire l’ambientalismo scientifico di massa  -efficace ad esercitare critica a disuguaglianze ed iniquità sociali e a progettare cambiamento, nei luoghi di lavoro e nei territori-, ha fatto riferimento Franco Berrino direttore del Dipartimento di Medicina Preventiva dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano al  convegno nazionale “Curare è prendersi cura. Impatto ambientale e rischio sanitario”, promosso dall’ “Associazione italiana contro le leucemie, i linfomi e il mieloma, AIL”.
 
“Siamo circondati da una grande quantità di veleni. Dobbiamo difenderci” ha esclamato con forza l’epidemiologo  “difenderci dai veleni della plastica, che è trattata con pfas, ftalati e il bisfenolo (Bpa), sostanze che interferiscono con gli ormoni e alterano il nostro sistema riproduttivo, causa di impotenza e sterilità”. Fossimo stati presenti per intervenire al convegno, non avremmo potuto non polemizzare con le istituzioni, comprese la magistratura. Avremmo ricordato che, dei nostri  20 esposti depositati alle procure di Alessandria, quello del 17 novembre 2020 (all’attuale procuratore Cieri) fra l’altro invano denunciò -documentando- che nel cocktail con i Pfas c’è anche un altro micidiale interferente endocrino: il bisfenolo, che Arpa  dichiarava sconosciuto.  

Cancerogeni nel pescato di Calabria e Toscana. E in Liguria?

Una contaminazione di Pfas fuori controllo che espone a rischio migliaia di consumatori. Greenpeace  ha consultato i dati delle Agenzie regionali per la protezione ambientale ARPAT e ARPACAL, e ha ribadito: “Questi risultati confermano l’urgenza di vietare l’uso e la produzione dei Pfas, cioè di chiudere le produzioni di Solvay a Spinetta Marengo”.
 
Dalle analisi effettuate in Toscana tra il 2018 e il 2023, circa il 60% di pesci (principalmente cefali) e crostacei delle acque marino costiere del Santuario dei Cetacei è contaminato da Pfas (Pfos), sono emersi valori molto elevati: in un cefalo alla foce del fiume Bruna a Castiglione della Pescaia (Grosseto) è stata trovata la concentrazione record di 14,7 microgrammi per chilo; 5,99 e 5,65 microgrammi per chilogrammo lungo la costa pisana, alle foci dell’Arno e del Fiume Morto.  
 
In Calabria, le indagini dell’Arpacal tra 2021 e 2023 evidenziano notevoli livelli di inquinamento da Pfas (oltre  3 microgrammi per chilogrammo)  in triglie, naselli e cicale di mare prelevati lungo la costa ionica e tirrenica.
 
Se analoghe indagini fossero eseguite in Liguria: ci sarebbe una rivolta di pescatori e ristoratori. Marco Bucci da candidato non le aveva promesse (al pari di tutte le forze politiche) e come neo presidente non le promuoverà (senza proteste delle altre forze politiche e sociali). In Liguria, d’altronde, per i Pfas neanche si effettuano analisi del sangue alla popolazione, anzi il reparto di Endocrinologia dell’Ospedale San Martino di Genova omette di accogliere le richieste di malati di tumore… perché Toti non le finanziava. Chissà ora Bucci, la cui moglie però afferma:  “Con Toti erano pappa e ciccia”.   

Fiumi veneti bocciati da Legambiente.

Fiumi veneti sotto la lente di Legambiente, che come ogni anno ha dato vita alla campagna di monitoraggio Operazione fiumi. Nell’edizione 2024 la novità sono i Pfas. Preoccupante  incremento dei valori di Pfoa e Pfos allo scarico sul Fratta Gorzone, a Cologna Veneta (Verona). Così anche a Padova come a Vicenza per lo stato del Bacchiglione e del canale Piovego. Per il Sile superamenti della media annua di Pfos presumibilmente derivante dallo scarico di depuratore e dalle attività aeroportuali.
 
Il contesto è che tra le province di Vicenza, Verona e Padova c’è uno dei più gravi casi di contaminazione di questi “inquinanti eterni” dell’intero continente europeo: per un avvelenamento della Miteni di Trissino  che interessa oltre 180 km quadrati e 350mila persone che stanno subendo da anni l’emergenza sanitaria.
 
A sua volta, Greenpeace in 220 tappe sta monitorando i Pfas nelle acque potabili delle città italiane. Le quali   in gran parte omettono i controlli fra le maglie sbrindellate della regolamentazione nazionale. La stessa Direttiva europea  partirà già vecchia nel 2026 con limiti ormai superati dagli studi scientifici internazionali, tant’è che molte nazioni (ma non l’Italia!) hanno già introdotto soglie  più cautelative per la salute umana, in considerazione dell’aumento delle patologie cancerogene generate da questi interferenti endocrini:  danni alla tiroide, al fegato, problemi alla fertilità, incremento dei livelli di acidi grassi nel nostro corpo, diabete gestazionale ecc.
 
Alla messa al bando dei Pfas (in parlamento giace da anni il Disegno di Legge Crucioli) si oppone la potente lobby capitanata da Solvay, unico produttore nazionale, che fa quadrato attorno a queste produzioni dai lauti profitti, pur consapevole  che per la totalità del settore industriale in cui vengono impiegati i PFAS, esistono le alternative più sicure.

Pfas nelle acque potabili di tutto il mondo, e nei pesci dei mari.

Il primo studio riguarda le acque potabili, sia del rubinetto che in bottiglia, naturali o gassate, ed è stato condotto da un team sino-inglese, composto da ricercatori delle università di Birmingham, nel Regno Unito e di Shenzhen, in Cina, che hanno poi pubblicato i risultati su ACS Environmental Science &Technology – Water. Gli autori hanno analizzato campioni provenienti da 15 Paesi, 41 acquedotti inglesi e 14 cinesi, e 112 campioni di bottiglie di acque minerali in vetro e in plastica, naturale (89) o gassata (23), di 87 marchi.
 
Ebbene, i Pfas sono presenti con percentuali da al 63% al 99%. Con concentrazione in media da 9,2 nanogrammi per litro (ng/l) a  2,7 ng/l.
Nel secondo studio, pubblicato su ACS Environmental Science & Technology, invece, i ricercatori della facoltà di ingegneria dell’Università di Harvard (Boston) hanno voluto controllare i pesci che vivevano ad alcuni chilometri da una base militare di  Cape Code, dove  impiegano  grandi quantità di schiume e altre sostanze antincendio con Pfas. Hanno così scoperto che, pur diminuendo con la distanza, i PFAS sono presenti nel 90% dei  pesci in concentrazioni superiori ai limiti anche quando questi vivono a otto chilometri di distanza, unitamente a  composti di vario tipo usati nell’industria farmaceutica e in agricoltura.

È possibile trovare cosmetici senza Pfas?

Il giornale francese Vert, dopo gli allarmanti studi scientifici, ha condotto una ricerca sui principali rivenditori di prodotti di bellezza e ha trovato più di un centinaio di articoli venduti online che menzionano almeno un Pfas, compreso PFOA,  nella loro composizione. Creme anti età L’Oréal della linea Revitalift: creme giorno notte idratante con SPF30 e il siero idratante levigante con proprietà antirughe, la matita per gli occhi Yves Saint-Laurent Beauty, creme idratanti di Biotherm, rossetto L’Absolu Rouge Drama Matte di Lancôme,  fard Blush Subtil di Lancôme, crema solare Fluide Minéral Teinté SPF 50+ di Avène, ombretti e trucchi del marchio italiano low cost Kiko Cosmetics come una palette di trucco per sopracciglia e una maschera purificante, eccetera.
 
Le aziende (e le donne) adorano i cosmetici con Pfas per la loro resistenza straordinaria e la capacità di idrorepellenza: le donne inconsapevoli  mentre le aziende sapendo che la letteratura scientifica ha evidenziato i rischi di tumori, malattie della tiroide o problemi di fertilità anche nell’uso dei cosmetici, in quanto i Pfas  possono essere assorbiti anche dalla pelle e arrivare nel sangue.
 
Lo conferma anche un recente studio dell’ Università di Birmingham pubblicato sulla rivista Environment International.  
I pericoli maggiori sono per i bambini e le adolescenti perché i Pfas agiscono come interferenti endocrini, che possono alterare il sistema ormonale. I nomi più noti:  gli ombretti di Natasha Denona, il mascara M.A.C, la matita Charlotte Tilbury e il siero Laneige.  
È possibile evitare cosmetici con Pfas? Sì, controllando  l’elenco degli ingredienti, INCI, che è obbligatorio secondo le normative europee, o affidarsi ai marchi certificati bio, come Cosmébio, Ecolabel europeo ed Ecocert, che contengono oli vegetali: sostituiscono i Pfas rendendo i cosmetici resistenti all’acqua e con un effetto levigante.

Solvay gongola. Con Greenpeace, Lino Balza escluso come parte civile. Cosa c’è dietro.

FATTI FUORI DAL PROCESSO AD ALESSANDRIA
Talvolta  si usano titoli ad effetto. Il nostro non è  titolo civetta: è l’esempio che la realtà può superare la fantasia. Se pronunci  Lino Balza -ad Alessandria e non solo- tutti  pensano subito al polo chimico di Spinetta Marengo. E viceversa. E’ una associazione di termini automatica, da oltre mezzo secolo. Nomina omina. Se nel 2024 inizia un nuovo processo contro Solvay, dunque, si può immaginare che non sia ammesso Lino Balza? No, non si può immaginare. Sarebbe una situazione tipica della narrativa kafkiana ispirata all’incomprensibilità e all’assurdità, talvolta comica,  dell’esistenza umana,  sconfinando nella farsa
 
Eppure, in questo surreale episodio, chi ha escluso Lino Balza dal processo non è boemo o ucraino, non si chiama Franz Kafka Nikolaj Vasil’evič Gogol’-Janovskij bensì il genovese Andrea Perelli, giudice del Tribunale di Alessandria con incarico di Giudice Sezione G.I.P. – G.U.P.  Detto per inciso, Perelli, 39 anni, è il più giovane della Sezione per anzianità di servizio, ma non è un pivello: laurea all’Università di Genova, dottorando nel 2016 (anche rappresentante dei dottorandi), magistrato ordinario a trentadue anni, tirocinio a Genova, docente di commissione, autore di articoli, relatore a convegno eccetera. E non è un ingenuo, come vedremo.
 
La sua ordinanza, dalla prosa non pari all’acchittata compostezza con papillon, al processo ha ammesso oves et boves tutte le  300 parti civili persone fisiche: indistintamente CHIUNQUE ad eccezione di Lino Balza: “Non vanta diritto” (sic) perché, udite udite, “non presenta un collegamento qualificato con l’area che si assume inquinata”.
 
Ebbene, in quella “assunta area” Lino Balza 76 anni fa è nato e vi abita tuttora, ha lavorato per 35 anni nel polo chimico, sindacalista e ambientalista con il fardello per rappresaglia di 7 cause in pretura, 4 in appello, 2 in cassazione (tutte vinte), compreso il tentato licenziamento, aggiungendo il corollario di mobbing, cassa integrazione, tre trasferimenti, uffici confino, dequalificazione professionale e provvedimenti disciplinari minori [*]. Da quella fabbrica si è portato dietro il tumore maligno con i suoi supplementi,  nonché  i veleni che ancora oggi persistono nelle certificate analisi del suo sangue, insieme a quelli aggiunti dagli imputati. In più, da sopravvissuto pensionato, scrittore e giornalista, abita in quell’area dove resta pur sempre l’animatore (e in Italia) della lotta per la salute collettiva (anche del Perelli), contro l’ecocidio Solvay e a favore delle Vittime di Solvay, insieme alle mamme che si  disperano per i Pfas nel sangue dei figli. Scomodo ad azienda e magistratura.  
 
Solvay in sede dibattimentale si opporrà alla pletora di persone fisiche ammesse (“con la sola eccezione di Balza Lino”: ha tenuto a sottolineare Perelli Andrea) quali parti offese… semplicemente “per essere o essere stati residenti, o figli di residenti,  entro un’area di otto chilometri  individuata dagli studi di Arpa di Alessandria a rischio di neoplasie o quantomeno per metus (paura, n.d.r.) di vivere o aver vissuto in tale zona”. Peraltro, la presunta “zona rossa” degli otto chilometri (“con la sola eccezione di Balza Lino”)  è assai inventata perché non esiste alcuna “certificazione” dell’Arpa che delimiti un’area a rischio. Tant’è che Arpa non ha centraline dovunque ma dove ha cercato ha sempre trovato Pfas:  non solo nei sobborghi e nel capoluogo ma anche in Comuni della Provincia, per esempio a Montecastello che dista ben  oltre i fantomatici  otto chilometri, a tacere il fiume Bormida. In base al criterio territoriale e psichico, la popolazione potenzialmente parte offesa -oggi e domani- ammonterebbe a decine di migliaia di persone. Comprendendo la presunta incompatibilità ambientale di giudici e giurati, col rischio di trasferimento del processo.    
 
SOLVAY GONGOLA.
Dalla clamorosa udienza del GUP, Solvay porta a casa che  sono stati fatti fuori dal processo i due più temibili avversari di Solvay: Greenpeace e Lino Balza, che chiedono subito la chiusura delle produzioni  inquinanti  dello stabilimento di Spinetta Marengo. Infatti, attualmente Greenpeace è l’associazione più impegnata ai massimi livelli a denunciare le fonti di inquinamento da Pfas su tutto il territorio nazionale, a cominciare da Alessandria, e a chiedere la loro messa al bando in Italia. Ebbene, non si sa se ridere o piangere, Greenpeace è stata esclusa… “per non aver svolto attività strettamente legata al territorio di interesse”.  
 
E Lino Balza, che paradossalmente abita a molto meno dei fatidici otto chilometri?  Per l’azienda belga, “Linò Balzà, ça va sans dire, est l’ennemi numéro 1”  dalla notte dei tempi, ancor prima del primo processo e ancor più dopo [**]. In più, è oltremodo scomodo alla vigente Procura. Proprio la Procura l’aveva escluso fra le parti offese. Presto spiegato: con ripetuti (11 su un totale di 20) esposti, depositati e anche pubblici [***], aveva per anni pressato il procuratore capo Enrico Cieri a intervenire d’autorità per le tutele della salute pubblica (si pensi, fra tutte, alle donazioni e trasfusioni di sangue infetto), a  contrastare gli illeciti ecosanitari, a procedere contro il management della multinazionale  (e non solo contro i due direttori), e soprattutto per il reato di dolo. E, di conseguenza, aveva criticato la Procura per il blando capo di imputazione, disastro ambientale colposo e illecito amministrativo, che esclude alle Vittime il risarcimento per le morti e le malattie (a parte l’eventuale elemosina del “metus”). [SI LEGGA IN DETTAGLIO L’ARTICOLO CHE SEGUE IL PRESENTE].
 
IL PATTEGGIAMENTO?
In aula, alla lettura della “strana” ordinanza del GUP,  tra gli avvocati si è cercato una connessione con le insistenti voci di un patteggiamento (rectius nel linguaggio forense) premiale per l’imputato e le parti civili. E hanno presunto la disponibilità della Procura come preannunciata nella di lei imbarazzata e sconcertante audizione davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta: praticamente l’assoluzione a priori ad “un imprenditore che crediamo abbia ottemperato agli adempimenti di legge, salvo inadeguatezze  che valgono il rimprovero di una colpa”. Una tiratina di orecchi. Clicca qui.
 
Altro segnale avvertito è il cambio degli avvocati della difesa con Riccardo Lucev  e Guido Carlo Alleva. Lucev è esperto in diritto penale della responsabilità medica e addirittura Officer del Criminal Law Committee della International Bar Association. Guido Carlo, soprannominato con Giulia Alleva  “avvocati del vino” (la rinomata “Tenuta Santa Caterina” per miliardari) è DOC in quanto storico difensore dell’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny nei processi Eternit.  A confronto, i risarcimenti  nel caso Solvay, stringi stringi, sarebbero irrisori in un patteggiamento?  “Ça va sans dire,   avevano ragionato a Bruxelles,  ci verrà a fagiolo “tomber à pic” l’esclusione dalle parti civili di Lino Balza, così attivo ad opporsi al patteggiamento di un’elemosina ma a favore di una class action. Infine, l’azione della Procura nel patteggiamento, per quanto scalpore possa fare, pour nous  sarebbe un ombrello, anzi un paracadute: “Il suffit de mettre un parachute, ça va sans dire”. “Notre avantage”, e per Regione e Sindaco, sarebbe palese: si allenterebbe il fiato sul collo da parte dell’opinione pubblica che li addita come complici di Solvay e chiede monitoraggi di massa per la popolazione e addirittura ordinanze di chiusura degli impianti. Non li si può tenere a bada all’infinito. Ça va sans dire.
 
In conclusione. A Solvay, ça va sans dire, il patteggiamento servirebbe a derubricare ulteriormente i reati ma soprattutto a prendere in tranquillità il tempo necessario per la sua strategia post 2026. Un modesto patteggiamento potrebbe essere un’alternativa all’incertezza della richiesta di trasferimento (“rimessione alla sede”) del processo (trasmissione degli Atti a Milano) “per incompatibilità ambientale”: eventualità che in aula a loro volta gli avvocati della difesa discutevano con preoccupazione.
 
La richiesta di patteggiamento, spiegavano gli avvocati, può essere formulata fino alla presentazione delle conclusioni in udienza preliminare, e fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento. Andrea Perelli sarebbe assai favorevole, poco o tanto che sia stato intimidito dal trascorso tentativo di ricusazione di Solvay.   Dunque già nella prossima udienza del 20 dicembre potrebbe esserci una delle due sorprese [****].
 
[*] “L’avventurosa storia del giornalismo di Lino Balza” in 4 volumi.
[**] “Ambiente Delitto Perfetto”, volume primo. “Pfas. Basta!”, in tre volumi.
[***] “Ambiente Delitto Perfetto”, volume secondo.
[****] “Ambiente Delitto Perfetto”, volume terzo.
Tutti i libri sono disponibili a chi ne fa richiesta.
 
 

6 (+ 1) ragioni affinchè Lino Balza debba partecipare al processo per rinchiodare 39 prove che condannano Solvay e imputati.

La gravissima ordinanza del GUP, che ha escluso Lino Balza dal processo, ha colto di sorpresa tutti gli avvocati, compresi quelli della difesa. Però, a prescindere  dal merito  di essere la controparte storica da oltre mezzo secolo, nella fattispecie  Lino Balza riproporrà in sede dibattimentale -a pieno titolo, di diritto e di fatto- di costituirsi parte civile quale persona offesa e danneggiata nel procedimento penale [*] contro gli imputati Bigini Stefano e Diotto Andrea: per le seguenti ragioni soggettive. Nonchè  per le seguenti ragioni oggettive che la ordinanza di Andrea Perella, nascondendosi dietro le omissioni della procura,  impedirebbe  siano portate nel processo quali prove -di dolo a parere di Lino Balza- a carico di Solvay e dei suddetti imputati.
I requisiti di costituzione che contengono “l’esposizione delle ragioni che giustificano la domanda agli effetti civili” sono contenuti in estrema sintesi in sei capitoli: dalla lettera A) alla G). In particolare, inoltre, sono richiamate le responsabilità attive o omissive, comunque consapevoli, dell’imputato Stefano Bigini, nei paragrafi da 1) a 15).  E degli imputati Stefano Bigini Andrea Diotto nei paragrafi 16) 17)E dell’imputato Andrea Diotto nei paragrafi da 18) a 39)Tutti i paragrafi erano compresi nei 20 (venti) esposti depositati (con ricevuta) alle Procure di Alessandria: di cui 11 (undici), che riprendono i precedenti, all’attuale procuratore capo; sollecitando interventi della Procura per le situazioni ambientali e sanitarie denunciate  e con esplicita richiesta di partecipare in giudizio, riferentisi  al periodo di attività dei due direttori ora imputati Stefano Bigini e Andrea Diotto.
A)     Al centro dell’inquinamento provinciale  di Solvay, a meno di sei chilometri dal polo chimico spinettese, lo storico e attuale domicilio di Lino Balza, con relative utenze telefoniche acqua luce gas ecc.,  è sito in Alessandria via Dante 86 a poche centinaia di metri dalla centralina Arpa (c/o Istituto Volta) che rileva l’inquinamento Solvay (Pfas). Allo stesso indirizzo recapita l’associazione “Movimento di lotta per la salute Maccacaro”, di cui è il responsabile nazionale.
B)      Nella provincia e nel comune di Alessandria, e in particolare presso il sobborgo di Spinetta Marengo, epicentro provinciale dell’inquinamento terra-acque-atmofera di Solvay, già dall’epoca in cui era dipendente del locale stabilimento chimico (Solvay ex Edison-Montedison) e fino all’epoca attuale, Lino Balza ha sempre esercitato –senza soluzione di continuità- le proprie attività di noto militante sindacale e ecologista, in particolare riferite al polo chimico di Spinetta Marengo, tramite presenza pressoché quotidiana  per organizzazione di dibattiti, assemblee, servizi con giornali e Tv locali e nazionali, per confezionare video su scarichi e discariche, per consulenze e promozione fra i cittadini delle costituzioni a parti offese, per organizzare le indagini epidemiologiche (es. con l’assessorato e con l’Università di Liegi) eccetera. Impossibile  essere esaustivi per questa mole di lavoro, memoria storica,  che riempie  i suoi libri e alimenta il suo Sito frequentatissimo a livello nazionale www.rete-ambientalista.it. Per limitarci al periodo che riguarda l’imputazione di Stefano Bigini e Andrea Diotto, si evidenziano alcune date.
 Nel 2008, direttore Stefano Bigini, Lino Balza, ha subìto tireodectomia totale per tumore maligno della tiroide contratto in sede lavorativa e abitativa, danno reiterato e aggravato nell’attuale contaminazione degli indistruttibili Pfas. Infatti,  il livello pericolosissimo  per le esistenti condizioni di salute, calvario sotto costanti cure e controlli, emerge dai  risultati de “L’indagine
 

Pfas nell’aria anche quando le produzioni sono ferme. E nuova finta diffida della Provincia.

Fermare le produzioni per brevi periodi non risolve l’inquinamento dei Pfas: la fermata deve essere definitiva per consentire una bonifica in tempi lunghissimi. Infatti, la sospensione della produzione nello stabilimento Solvay-Syensqo di Spinetta Marengo a giugno-giugno-luglio 2024, decretata con diffida  dalla Provincia, non ha eliminato nell’aria i Pfas: né a maggio-giugno-luglio né in seguito. L’hanno stabilito le centraline Arpa del sobborgo di Spinetta Marengo  (via Genova), del capoluogo Alessandria e del Comune di Montecastello. Il circolo è vizioso: i Pfas, quando non direttamente in falde e fiumi, vengono depositati in discariche o scaricati dalle ciminiere, dal cielo si depositano al suolo, di lì pieno zeppo, essendo forever chimicals indistruttibili, defluiscono anche decenni dopo in acqua o tornano in aria. Un ciclo eterno  che, però, intercetta  tragicamente respirazione e alimentazione umana.
 
Il monitoraggio dei PFAS con campionamento attivo su filtri del PM10 (frazione inalabile delle polveri con diametro  10 micron) è stata condotto su base mensile tramite campionatori presenti presso le stazioni di controllo. Presso la stazione di Spinetta – via Genova sono rilevate le concentrazioni maggiori di cC6O4, con valori variabili in un range da 0,476 a 1,534 ng/m3; viene rilevata anche la presenza costante degli isomeri della miscela ADV/MFS, la sommatoria di MFS risulta presente in un range tra 0,075 e 0,842 ng/m3. Presso il sito di Montecastello i campioni da maggio a  luglio evidenziano cC6O4 con concentrazioni variabili 0,019 a 0,036 ng/m3.  Presso la stazione di Alessandria – Volta sono state rilevate concentrazioni di cC6O4 da gennaio a maggio 2024 in un range di valori da 0,009 a 0,031 ng/m3.
 
Addirittura, a Spinetta, nei mesi di giugno e luglio è stata riscontrata positività per PFOA, con concentrazioni tra 0,006 e 0,008 ng/m3 (limite di quantificazione 0,004 ng/m3), quando il Pfoa ufficialmente non è più prodotto.
Così, la Provincia di Alessandria ha fatto di nuovo finta di intervenire. Sviando il discorso. Dopo quella dello scorso 28 agosto, ha trasmesso a Solvay  una seconda diffida per l’inosservanza delle prescrizioni dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) relativamente alle vasche per il trattamento del percolato, e per l’assenza delle canalette perimetrali agli invasi. Tempi di intervento rispettivamente 15 e 30 giorni. In caso di inosservanza eventualmente “si procederà ad una terza diffida e alla contestuale sospensione dell’attività per un tempo determinato”. Non si pensi definitivamente. C’è sempre una quarta diffida, quinta eccetera.
 
Non è una minaccia per Solvay: garantisce per incompetenza (Responsabile Regionale di Fratelli di Italia… per il Comparto Difesa) il neo assessore provinciale all’Ambiente, Maurizio Sciaudone.

Dal cielo sui pesci piovono PFAS. Solvay boicotta i controlli del CNR.

Solvay boicotta i controlli che il “Consiglio nazionale delle ricerche -istituto di ricerca sulle acque CNR cerca di realizzare  con l’ASL di Alessandria, per un progetto operativo  “Biomonitoraggio integrato area Spinetta marengo-Alessandria”. Infatti -è la denuncia-  “non fornisce gli standard analitici o le miscele tecniche (nel caso gli standard non siano disponibili) per svolgere analisi aggiuntive. E non rende pubblici i dossier tossicologici, di nuove sostanze e dei composti utilizzati in passato ed in uso, in suo possesso”.
 
Il sabotaggio è finalizzato ad occultare la presenza di ADV, C6O4 e Aquivion®PFSA negli scarichi, ad evitare l’ampliamento  delle analisi di vegetali e uova e del biomonitoraggio umano del sangue ma anche delle urine.  

L’endocrinologo: «Come i Pfas ci avvelenano».

Il professor Luca Chiovato è stato uno dei primissimi, in Italia, ad occuparsi dei distruttori endocrini, creando all’Irccs Maugeri di Pavia un Laboratorio di ricerca dedicato ai Pfas: proprio quello a cui si rivolse Solvay un quarto di secolo fa: dunque ufficialmente consapevole della propria condotta delittuosa.   
Ordinario di Endocrinologia dell’Università di Pavia, oltre 350 pubblicazioni scientifiche e più di 1.000 punti di impact factor, membro di lungo corso della Società Italiana di Endocrinologia, Luca Chiovato è dal punto di vista scientifico uno dei più titolati a trattare di Pfas. Lo fa in questa analitica intervista https://www.vita.it/lendocrinologo-cosi-i-pfas-avvelenano-il-nostro-corpo/  incentrata sulle conseguenze delle sostanze perfluoroalchiliche sul sistema endocrino-metabolico (“principalmente gli assi gonadici e della tiroide”), nella quale afferma che l’associazione tra Pfas e tumore della tiroide è  ormai esclusa da ogni controversia dopo il definitivo studio caso-controllo multicentrico (Usa, Olanda, Israele), pubblicato nel 2023, che ha stabilito il  rapporto tra Pfos e carcinoma papillare della tiroide.
 
Dunque, è completo il grado di pericolosità dei Pfasdiminuzione della fertilità, riduzione numero spermatozoi, tumori del testicolo e malformazioni congenite, come il criptorchidismo nell’uomo, ipertensione arteriosa durante la gravidanza, neonati sottopeso, mancata discesa dei testicoli nel bambino, sviluppo mentale dei neonati, pubertà precoce e tumori femminili ormono-dipendenti, come quelli di mammella e utero,  abbassamento della risposta anticorpale in adulti e bambini, innalzamento dei livelli di colesterolo, aumento dei rischi di cancro e malattie alla tiroide, lesioni al fegato, colite ulcerosa, neoplasie ai reni e ai testicoli, colite ulcerosaobesità, diabete tipo 2, dislipidemia, ecc. 
 
Un quadro clinico, non ci sono antidoti per i Pfas, reso ancor più drammatico dalle caratteristiche dei Pfas: l’emivita, vale a dire il loro tempo di decadenza  nell’ambiente è di 41-92 anni e l’emivita di eliminazione nell’uomo è di 3-7 anni. Unica soluzione: metterli al bando.

Italia Nostra denuncia i Pfas nelle acque umbre.

La denuncia di Italia Nostra è stata presentata con una interrogazione in consiglio regionale, malgrado le rassicurazioni dell’Usl Umbria2, che ha avviato quest’anno con Istituto Superiore di Sanità e ISPRA uno screening per la valutazione dei rischi di esposizione agli Pfas della popolazione del sito di interesse nazionale Terni- Papigno – Conca Ternana. Le analisi Arpa restituiscono un quadro preoccupante dei Pfas con ben 5 classi di composti.

Fiumi di Pfas, pesticidi e diserbanti.

In Polesine ben 47 superamenti dello standard di qualità . Con il rapporto “Stato delle acque superficiali del Veneto”, l’Arpav ha rilevato azoxystrobin, metolachlor, metazaclor, boscalid, ampa, nomi sconosciuti a chi non lavori in agricoltura, pesticidi, funghicidi e diserbanti, ma che in pianura scorrono a fiumi nei fiumi e nei canali. Senza contare, soprattutto, la presenza dei Pfas:   sopra i limiti in tutti i punti di prelievo “nel Po con ogni probabilità, di origine esterna alla Regione del Veneto”, nota Arpav anche se si sa bene che vengono dallo stabilimento chimico Solvay di Spinetta Marengo.

La prima mappatura della contaminazione Pfas dell’acqua potabile in Italia.

La  mappatura della contaminazione Pfas dell’acqua potabile in Italia dovrebbe essere un obbligo del governo. Invece, a realizzare il primo censimento sarà Greenpeace con una raccolta di campioni  in 220 città entro cinque settimane. La spedizione “Acque senza veleni” è appena arrivata anche a Palazzolo, Brescia e Desenzano. In Lombardia, Greenpeace sta effettuando campionamenti a Cremona, Lodi, Crespiatica, Crema, Treviglio, Milano/hinterland, Brugherio, Cinisello Balsamo, Monza, Busto Arsizio, Varese, Como, Mariano Comense, Lecco, Mandello del Lario, Sondrio, Bergamo, Palazzolo sull’Oglio, Brescia, Desenzano del Garda, Mantova, Suzzara.
 
In Lombardia, Greenpeace tra il 12 e il 18 maggio 2023 aveva già realizzato campionamenti indipendenti (in fontane pubbliche, parchi giochi, davanti scuole) che avevano mostrato come in undici campioni su 31, pari a circa il 35% del totale, ci fosse presenza di PFAS nelle acque potabili di diversi comuni lombardi, fra cui Milano. In quattro casi era stata riscontrata una contaminazione superiore al limite della Direttiva europea 2020/2184, pari a 100 nanogrammi per litro: a Caravaggio, Mozzanica, Corte Palasio, Crespiatica.
 
Greenpeace inoltre chiede alla Regione Lombardia di pubblicare gli esiti dei monitoraggi effettuati negli ultimi anni in modo trasparente e accessibile alla collettività e, parallelamente, individuare e fermare tutte le fonti inquinanti.

Acque avvelenate di Pfas in Toscana.

Per realizzare la prima mappatura italiana, la spedizione “Acque senza veleni” di Greenpeace è arrivata anche a Pisa per raccogliere campioni di acqua potabile alla ricerca dei cancerogeni PFAS presenti in molti Comuni toscani soprattutto per gli scarichi di aziende di carta, tessile, area fluorovivaistica ma soprattutto cuoio e pelle, finendo poi nei fiumi, inquinando  fonti d’acqua, aria e coltivazioni e arrivando direttamente a causare gravissime patologie a tiroide, diabete, danni al fegato e al sistema immunitario, cancro al rene e ai testicoli e impatti negativi sulla fertilità ecc.
 
Oltre a Pisa e Pontedera, in Toscana Greenpeace Italia effettuerà campionamenti a Orbetello, Grosseto, Rosignano Solvay, Livorno, Viareggio, Massa, Carrara, Aulla, Firenze, Empoli, Poggio a Caiano, Agliana, Pistoia, Montemurlo, Prato, Poggibonsi, Siena, Arezzo, Montevarchi.
Greenpeace a fine luglio aveva già prelevato dei campioni di acqua potabile a Lucca e a Capannori: 54,1 nanogrammi per litro a Lucca.

Vietati altri Pfas, minimo passo in avanti.

Su questo tavolo divieto di Pfas.
Non è propriamente un Pfas ma un suo sottogruppo: l’acido undecafluoroesanoico (PFHxA e sostanze correlate), che Commissione europea, a norma del regolamento REACH — legislazione sulle sostanze chimiche, ha vietato come vendita e uso. Dunque divieto nei tessuti, cuoio, pelli per l’abbigliamento e gli accessori, come i giubbotti antipioggia o le calzature, ma anche nella carta e nel cartone destinati al contatto con gli alimenti, come le scatole per la pizza, nelle miscele, come gli spray impermeabilizzanti, nei cosmetici per la cura della pelle e in alcune applicazioni di schiuma antincendio. Però, il divieto non riguarderà altre applicazioni delle stesse sostanze, come quelle nella produzione di semiconduttori, di batterie o delle celle a combustibile per l’idrogeno verde.
 
La norma della Commissione si basa sulla valutazione dei comitati dell’ECHA (Agenzia europea delle sostanze chimiche), ma purtroppo  si tratta di un provvedimento col freno a mano della Solvay: ancora limitato rispetto alla restrizione dell’intero gruppo PFAS che l’ECHA sta favorevolmente  valutando a seguito di una proposta del 2023 di cinque governi europei (non dell’Italia imbeccata dalla Solvay),  e addirittura con un periodo di transizione tra 18 mesi e 5 anni, a seconda del materiale.

I Pfas nel sangue provocano anche riduzione del sonno.

I ragazzi con più alti livelli di PFAS nel sangue dormono fino a 80 minuti in meno degli altri: uno studio condotto dalla Keck School of Medicine della University of Southern California (USC) ha rivelato il legame.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Environmental Advances e supportato dal National Institutes of Health (NIH), ha coinvolto 144 partecipanti di età compresa tra i 19 e i 24 anni.
Gli studiosi hanno identificato sette geni influenzati dai PFAS che potrebbero contribuire ai disturbi del sonno. Tra questi HSD11B1, un gene che regola la produzione del cortisolo, l’ormone che controlla i ritmi di sonno-veglia.

Mario Draghi, l’avvocato di Solvay, difende i Pfas e mette l’UE sull’attenti.

Solvay, sanno tutti, si avvale in Piemonte delle complicità delle istituzioni locali, dal Comune alla Regione passando per la Provincia, a tacere i parlamenti e governi. Chi ha frequentato le aule di tribunale sa che Solvay si avvale di due dei più eminenti legali italiani esperti di diritto penale ambientale, titolari di studi in diverse regioni, assistenti di cattedra, premiati dalle riviste specializzate come “leader di mercato” e “avvocato dell’anno”, direttore della più autorevole rivista on line; perciò a maggior ragione la multinazionale belga li ha ingaggiati da anni come consulenti di fiducia di tutti gli stabilimenti.  La formidabile coppia, Luca Santa Maria, l’avvocato malinconico, e Dario Bolognesi, l’avvocato sorridente, guarda con sufficienza ad Alessandria come tribunale di periferia, contando sullo stato di soggezione dei giudici al colosso. E infatti i limiti del blando capo di imputazione dell’imminente processo (il secondo) lo testimoniano. Al punto che sta riflettendo con lham Kadri, presidente di  Syensqo Solvay, e con Marco Apostolo, country manager, se gli è conveniente chiedere lo spostamento del processo da Alessandria.
Ma, in aggiunta a tutti questi avvocati diretti e indiretti, ora Solvay ha messo in campo nientepopodimeno che Mario Draghi. Nessuno può stupirsi: Draghi è da sempre l’uomo della finanza e della industria, da inserire nei posti di comando, nella Banca centrale europea e nel governo eccetera. L’avvocatura di Draghi per inserire i Pfas nel suo report europeo è però segno che Solvay si sente in difficoltà. Infatti, la totalità dell’opinione pubblica italiana, comitati e associazioni, centri universitari, Arpe regionali, politici, giornali, chiede la chiusura delle produzioni Solvay di Spinetta Marengo e il divieto dei Pfas nell’uso di una sterminata pletora di prodotti industriali e di largo consumo.
 
Infatti, nel contempo, Danimarca, GermaniaPaesi Bassi, Norvegia Svezia stanno spingendo per mettere al bando in Europa la produzione e l’utilizzo dei Pfas. Che sono indiscutibilmente tossici e cancerogeni per l’uomo e l’ambiente, come sancisce la letteratura scientifica internazionale, come ha dimostrato l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro IARC. Ma di questi, non frega nulla a Draghi per dichiararsi contrario alla messa al bando dei Pfas in Europa: la competitività viene prima della salute (che a lui auguriamo di tutto cuore), si tratti di amianto o di Pfas, ovvero di 4,4 milioni di tonnellate di Pfas nell’ambiente nei prossimi trent’anni.
 
Non stupisce, data la natura dell’uomo,  che Draghi sentenzi: “Un possibile divieto imminente di una serie di sostanze pfas avrebbe un impatto sull’uso di sostanze necessarie per la produzione di tecnologie pulite (batterie, elettrolizzatori e refrigeranti per pompe di calore) per le quali attualmente non esistono alternative”. Draghi, che di chimica pulita si intende ancor meno di economia pulita, si riferisce in particolare all’ultima creatura Pfas di Solvay, l’Aquivion,  impianto da poco inaugurato a Spinetta Marengo -con i soldi dei contribuenti italiani- da Giorgia Meloni (che così spaccia il made in Italy) e da Alberto Cirio presidente Regione Piemonte (che li ha sottratti ai monitoraggi del sangue della popolazione). Draghi, che come Santa Maria e Bolognesi, non ambisce ad una cattedra di etica e morale, replica che ha la coscienza a posto: non è pagato per occuparsi di salute (non l’ha fatto neppure da premier per il covid) bensì della competizione nei confronti della Cina dove ci sono meno rischi di restrizioni alle produzioni Pfas,  bensì, insomma,  del profitto di Solvay.
 
A Draghi, che non sa leggere le indagini epidemiologiche (eccessi di tumori, malattie della tiroide, disfunzione immunitaria e interferenza ormonale ecc.), basta appiccicare ad Aquivion l’etichetta “ad uso idrogeno verde”, riempirsi falsamente  la bocca con “transizione energetica” “energie pulite”, per serrare entrambi gli occhi sui quotidiani scarichi nell’atmosfera alessandrina, sulle ondate di Pfas nel fiume Bormida (fino al Po) e nelle falde acquifere, mentre chiudono pozzi privati e acquedotti pubblici, mentre qualunque cittadino, del sobborgo di Spinetta Marengo o del comune o della provincia di Alessandria, quando sottoposto a prelievo, rivela nel sangue presenze criminali di sostanze tossiche e cancerogene.
 
Per rallentare all’infinito le produzioni, Solvay si è affidata al miglior avvocato difensore europeo, e se Draghi chiama la Commissione Europea risponde sull’attenti: la “stretta” sui Pfas sarà la più “larga” possibile (18 mesi, anche 5 anni)  per divieti a uso abbigliamento o imballaggio o alimentare ecc., e “larghissima” per  batterie, elettrolizzatori e refrigeranti.

La faccia di Riboldi è di tolla, non d’acciaio inossidabile come quella di Draghi.

Cum  maior minor cessat. Quando c’è un difensore europeo così rilevante come Mario Draghi, un oscuro assessore alla sanità piemontese decade. Ma può sempre essere utile come imbonitore a livello locale. Così la pensava Solvay quando ha mandato Federico Riboldi in assemblea ad Alessandria. E invece, pur spalleggiato da sodali di Provincia, Asl, Arpa e Università, è stato un flop. Piangere miseria quando si tratta di investimenti sulla salute non commuove una popolazione falcidiata da morti e malati. Della quale ci si ricorda, tirati per il collo, appena  nel 2022 con 340.000 euro assegnati all’Asl per un micro biomonitoraggio (120 persone) dell’area di Spinetta Marengo. Puoi essere credibile ad annunciare un obolo di “719.000 euro che permetteranno all’Asl AL di realizzare tra il 2024 e il 2026 un progetto strategico che prevede l’aumento delle attività di salute, ambiente, biodiversità e clima, il rilancio della rete di medicina del lavoro e la ricerca attiva delle malattie professionali”? E meno male che Riboldi aveva annunciato “sono qui a metterci la faccia”. In effetti se l’ha rimessa (risate nell’auditorium quando ha definito il progetto “strategico”, anglicizzato perfino come “task force”).
 
Con quella futuribile elemosina, “cominceremo il nuovo biomonitoraggio non appena avverranno i primi prelievi per concluderlo entro 36 mesi, se possibile anche prima”, Riboldi cercava di soddisfare il mandato che Solvay gli aveva affidato: imbonire gli animi esacerbati della popolazione, prendere tempo, per favorire la dilazione dei i tempi strategici di Solvay, quegli anni che a Solvay servono per continuare a produrre Pfas senza pagare lo scotto di chiusure premature  e processi. E invece i Comitati gli hanno sbattuto in faccia: “Sai benissimo, come lo sanno bene tutte le istituzioni: da quello stabilimento, con impianti datati e ridotti a un colabrodo, non potrà mai davvero essere garantita la totale assenza di sversamenti, che siano in aria, in falda o nella Bormida.” A maggior ragione dopo aver ascoltato Riboldi,  “Continuiamo a sostenere con convinzione che l’unica strada sia quello dello stop alla produzione e la chiusura dello stabilimento di Spinetta Marengo, per poter finalmente bonificare un sito martoriato da 100 anni di inquinanti multipli e poter così dare tregua a una di quelle che vengono definite ‘zone di sacrificio’, la cui popolazione ha dovuto subire fin troppe perdite in termini di salute e vite umane”. 
 
Insomma, non è concepibile  un assessore che, ancora nel 2024, non ritenga inconcepibile che persista in pieno centro abitato questa fabbrica ad alto rischio chimico e di catastrofe industriale. Che lo stesso assessore senza pudore paragona  -per dolo- alla Eternit di Casale Monferrato. Ma che aspetta Godot (il governo) come ogni buon Ponzio Pilato che si rispetti.

Draghi, uno dei vari premier che hanno impedito una legge sui Pfas in Italia.

Mentre per Mario Draghi è impossibile sostituire i Pfas tossici e cancerogeni nel percorso di transizione ecologica a causa delle implicazioni economiche, invece per noi è possibile anzi necessario eliminare e sostituite questo gruppo di sostanze chimiche pericolose per la salute e conosciute come ‘inquinanti eterni’. Infatti Greenpeace Italia prosegue il suo lavoro d’indagine sulla presenza dei Pfas nelle acque potabili. Partirà dalla Toscana il prossimo 23 settembre la spedizione “Acque senza veleni” che, per cinque settimane, toccherà 220 città in tutte le regioni italiane per raccogliere campioni di acqua potabile alla ricerca di Pfas. L’obiettivo dell’organizzazione ambientalista è realizzare la prima mappatura indipendente della contaminazione a livello nazionale. Oltre a quelle già note sollevate proprio dalle inchieste di Greenpeace, per esempio in Lombardia e in Piemonte, identificare cioè nuove aree colpite nel disinteresse di molte Regioni.  (Leggi l’approfondimento)”.
 
La direttiva comunitaria 2184/2020 in Italia entrerà in vigore solo da gennaio 2026 e con un limite di 100 nanogrammi per litro per la somma di 24 molecole, molto più alto rispetto a quelli che molti Paesi si sono già imposti autonomamente. In Italia, invece, manca una legge nazionale che possa almeno limitare la presenza di Pfas nelle acque potabili. Una proposta di  legge nazionale (DDL CRUCIOLI) che ne vieti l’uso e la produzione giace da anni in Parlamento.

Consigliare a Draghi la consultazione delle quasi mille pagine dei due volumi del dossier “Pfas.Basta!” (disponibile a chi ne fa richiesta), come se egli fosse semplicemente disinformato e superficiale, è come offendere la sua malefica intelligenza.

Solvay e Miteni: contaminazioni perenni, bonifiche impossibili.

«Le contaminazioni storiche possono essere anche oggi fonti attive. Un terreno impregnato di Pfas può essere una fonte perenne». È quanto riportato nel copioso studio riassunto, in Corte d’assise di Vicenza, dagli ingegneri chimici Maurizio Onofrio e Amedeo Zolla al processo che vede imputati 15 manager di Miteni, Mitsubishi Corporation e Icig, accusati a vario titolo di avvelenamento delle acque, disastro ambientale innominato, gestione di rifiuti non autorizzata, inquinamento ambientale e reati fallimentari. Per dare un ordine di grandezza, i consulenti hanno stabilito che «una goccia e mezza di contaminante dispersa, che è pari a un trentesimo di grammo, contamina con 30 nanogrammi un litro d’acqua». Le dichiarazioni dei due consulenti sono quanto mai attendibili, quali ammissioni, in quanto essi sono addirittura nominati dagli imputati.
 
Le loro drammatiche conclusioni valgono tanto per il polo chimico Miteni di Trissino che per quello Solvay di Spinetta Marengo, con l’aggravante per quest’ultimo che a Vicenza la fabbrica è chiusa mentre ad Alessandria quotidianamente sono aggiunti altri veleni in acqua e aria, che neppure la magistratura sembra determinata a fermare tramite la chiusura degli impianti.

Rischio Pfas nell’acqua potabile, la verità di 34 città italiane.

La rivista “Altroconsumo” ha condotto un’analisi sul territorio nazionale alla ricerca di 30 sostanze perfluoroalchiliche prendendo in esame un totale di 38 fontanelle pubbliche disseminate in 34 città da Nord a SudSul sito viene fornita anche una precisa mappacosì da poter individuare esattamente le aree specifiche, oltre alle arcinote situazioni di emergenza (clicca qui).

Nuove denunce Pfas di Italia Nostra alla magistratura umbra.

Allarmante la situazione PFAS  per lo stato delle acque potabili a Terni e Narni. Secondo l’ARPA, la Conca Ternana, è  toccata massivamente dall’inquinamento sistematico dei propri pozzi, con il 60% delle stazioni di monitoraggio interessate dal fenomeno e addirittura il 72% dei campioni ‘positivi’. Ai fini del bioaccumulo, per i residenti occorre anche osservare come i pozzi locali registrino generalmente la presenza non di una, ma di plurime sostanze chimiche associate ai PFAS (fino a cinque diverse), vicenda che rende ancor più inquietante l’intero fenomeno. Sono svariate decine di migliaia i cittadini ternani e narnesi interessati dalla contaminazione da PFAS delle acque potabili, vicenda finora sconosciuta. Infatti, per quanto il report ARPA Umbria sia recuperabile on line, nessuno ne ha mai divulgato gli inimmaginabili contenuti, con la popolazione del tutto ignara di cosa stia bevendo. “Italia Nostra” ha intanto presentate nuove denunce alla Magistratura a riguardo dello stato di saluto delle acque.

Ambiente svenduto. Ambiente delitto perfetto.

Non sono bastati due volumi (disponibili a chi ne fa richiesta), stiamo scrivendo un terzo sempre con lo stesso titolo “Ambiente Delitto Perfetto”, aggiornato di disastri ambientali che hanno causato migliaia di vittime e sono finiti nelle aule dei tribunali, per sfociare però in archiviazioni, assoluzioni, prescrizioni. Delitti perfetti.
 
Aggiorneremo con i processi Pfas di Vicenza e Alessandria e dell’Ilva di Taranto. Nonché con un viaggio dal Nord al Sud nelle inchieste sull’ambiente svenduto, sulle quali ci anticipa questo servizio su Il Fatto Quotidiano (clicca qui) per quanto riguarda le ecatombi dell’Eternit, della Caffaro, della Miteni, delle Solvay, della discarica di Malagrotta, della Montedison di Bussi, di Montedison e Pertusola a Crotone, del quadrilatero della morte Priolo Augusta Melilli  Siracusa, delle raffinerie Eni di Gela, delle raffinerie sarde Saras e Sarroch.

Assemblea Ecologisti Veneti contro i Pfas.

I PFAS sono diffusi in tutto il globo: nell’aria, nel cibo, nell’acqua, nel suolo, in decine di prodotti di largo consumo e anche in centinaia di luoghi nel Veneto e vicini a noi (Laghi di Revine e Farra di Soligo, Follina, Susegana, etc) come è stato rilevato dall’ARPAV recentemente al link: https://www.qgiscloud.com/davide_ttk/PFASLAND_GIS_22
Cliccato il link, cliccare con la punta del mouse i puntini che appaiono sulla mappa e si apriranno le schede con le quantità di PFAS rilevate in quel dato punto e la data del rilevamento.
Nell’assemblea saranno anche raccolte le firme per una proposta di legge popolare per riportare nelle etichette dei prodotti “NON CONTIENE PFAS NÉ DERIVATI”: https://cillsa1.blogspot.com/2024/09/pfasunetichetta-ci-salvera.html

I soliti vandali ecologisti.

Alberto Peruffo, storico ambientalista, alpinista e attivista contro i PFAS, è stato condannato al pagamento di euro 400 per  “imbrattamento” (art 639 codice penale). Si è accanito contro il vetro che protegge la Gioconda? Peggio: ha  “deturpato”… un preziosissimo pilone di sostegno della cabinovia Freccia del Cielo a Cortina con la scritta a piccoli caratteri gialli con colore lavabile “non torneranno i larici”. L’atroce reato è stato consumato nel corso della molto partecipata (quasi una associazione a delinquere) manifestazione organizzata dalle associazioni ambientaliste contro la costruzione della nuova pista da bob olimpica a Cortina.

La lobby dei Pfas corrompe gli scienziati e arruola gli avvocati.

La lunga mano dell’industria chimica sulla scienza, per meglio dire: sugli organismi internazionali preposti a definire regole e limiti, non molla la presa sui Pfas. La lobby chimica ha infiltrato  nel Comitato dell’OMS Organizzazione Mondiale della Sanità ricercatori legati all’industria, cioè i propri consulenti prezzolati, allo scopo di definire per Pfoa e Pfos soglie limite  nelle acque potabili (100 parti per trilione ptt) superiori agli stringenti limiti (4 parti per trilione) fissati da regolatori in Usa ed Eu (*). Lo scopo è di utilizzare (come sta facendo ad esempio Solvay in Cina) questi frivoli limiti nei permissivi paesi invia di sviluppo, piuttosto che affrontare negli Stati Uniti l’Ente Protezione Ambientale EPA che ha concluso che nessun livello di esposizione a Pfoa e Pfos nell’acqua potabile è sicuro. Insomma, come noi sosteniamo, il vero limite è zero.
 
E’ talmente enorme il conflitto di interesse, contro il quale è insorta la comunità scientifica indipendente, che l’OMS è stata costretta a costituire un nuovo Comitato con meno scienziati legati all’industria. Il quale rivedrà le linee guida che, ovviamente, saranno ricontestate dai consulenti delle lobbies chimiche, perché il mettere in discussione la scienza fa parte della loro strategia più ampia. Come ben utilizzano i loro avvocati  nei processi Solvay ad Alessandria e Miteni a Vicenza.
 
Lino Balza Movimento di lotta per la salute Maccacaro.
 
(*) È stata appena pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea la Comunicazione della Commissione “Linee guida tecniche sui metodi d’analisi per il monitoraggio delle sostanze per- e polifluoro alchiliche (PFAS) nelle acque destinate al consumo umano” volte a imprimere un’accelerazione al monitoraggio dei PFAS con criteri omogenei nell’ambito dell’Unione Europea.
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Nel 2024 è concepibile, in pieno centro abitato, questa fabbrica ad alto rischio chimico e di catastrofe industriale?

Sì, secondo Federico Riboldi assessore regionale alla Sanità, che in soccorso è stato chiamato da Solvay il 12 settembre a convincere in un incontro pubblico gli alessandrini,  spalleggiato dai vertici di Asl, dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Alessandria, dell’Università Piemonte Orientale Arpa Piemonte. Ci riuscirà senz’altro con i politici di Comune e Provincia, da sempre complici. Certamente non con la popolazione, che per bocca dei comitati ha già anticipato la risposta: “Noi lo sappiamo, come in realtà lo sanno bene anche le istituzioni: da quello stabilimento, con un impianto datato e ridotto a un colabrodo, non potrà mai davvero essere garantita la totale assenza di sversamenti, che siano in aria, in falda o nella Bormida. Continuiamo a sostenere con convinzione che l’unica strada sia quello dello stop alla produzione e la chiusura dello stabilimento di Spinetta Marengo, per poter finalmente bonificare un sito martoriato da 100 anni di inquinanti multipli e poter così dare tregua a una di quelle che vengono definite ‘zone di sacrificio’, la cui popolazione ha dovuto subire fin troppe perdite in termini di salute e vite umane”. 
 
Quale credibilità può attribuirsi a Riboldi? Il merito di essere tra i primissimi ad aderire a  Fratelli d’Italia, ma assolutamente ignorante in scienza e competenza sanitaria (come il suo predecessore, peraltro) e coinvolto ex vicepresidente della Provincia di Alessandria che ha abbondato in autorizzazioni ad inquinare. L’uomo giusto per Solvay.

Occhio alle vongole con Pfas.

Occhio ai mitili: formidabili depuratori naturali che, stabili sul fondo, si comportano come spugne che assorbono ogni tipo di inquinante: batteri, quali escherichia-coli, ma addirittura Pfas, sostanze chimiche indistruttibili una volta penetrate nell’organismo.
 
Occhio soprattutto alle vongole del Pacifico, cotte, sgusciate e surgelate, vendute in buste sigillate a marchio “Marinai”, confezionate dall’azienda Viet Long Kien Giang Limited Company per la ditta Nai Prodotti Ittici Srl, nel proprio stabilimento di produzione che si trova in Vietnam. Le ha ritirate dal commercio il Ministero della salute, chi le ha nel frigo le butti.
 
Ma occhio anche a quelle nostrane. I Pfas sono stati trovati anche nelle vongole allevate nella costa adriatica, portati a mare dal Po, a sua volta dal Tanaro, a sua volta dal Bormida. Già nel 2018, una ricerca realizzata dall’università di Milano aveva rilevato che in questi molluschi la contaminazione tossica e cancerogena di Pfoa  era pari a 31 nanogrammi per ogni grammo di vongole. Un dato enorme rispetto alle quantità presente in altre vongole provenienti dal resto dell’Europa, ma anche rispetto ai dati del 2013, quando il Cnr aveva rilevato nelle vongole allevate sul Delta del Po una contaminazione di circa 3,6 nanogrammi per grammo. Dalla Solvay di Spinetta Marengo, infatti, hanno sempre più continuato a scaricare PFOA ADV C6O4 in Bormida.
Scarichi Solvay.

Dalle onde del mare un aerosol ricco di PFAS, trasportato dall’aria verso la terraferma.

Si infittiscono gli studi scientifici internazionali che dimostrano non esserci un limite alla penetrazione dei PFAS sia nell’ambiente che nel corpo umano. Dall’ingestione di  frutta e verdura: dei ricercatori delle Università di Newcastle e Sidney (sul Journal of the Science of Food and Agriculture). Per contatto nella cute tramite cosmetici: dei ricercatori dell’Università di Birmingham (su Environment International). Dall’aria di depuratori e discariche: dei ricercatori dell’Università della Florida di Gainesville (su Environmental Science & Technology Letters) eccetera.
 
A loro volta, i ricercatori dell’ Università di Stoccolma, nell’ambito di una missione durata due mesi, tramite uno studio condotto sul campo, nell’Oceano Atlantico, hanno dimostrato (su Science Advances) che i Pfas arrivati in mare si concentrano e sono vaporizzati dalle onde, e da lì tornano sulla terraferma e in atmosfera più aggressivi che mai: la concentrazione di PFAS nell’aerosol delle onde  è risultata sempre superiore rispetto a quella dell’acqua di origine, in alcuni casi di 100mila volte! Soprattutto nelle acque costiere e in quelle che si trovano in prossimità dello sbocco dei fiumi.  Esempio in Italia: in Adriatico la foce del Po che riceve gli scarichi in Bormida della Solvay di Spinetta Marengo. Una sorta di vendetta della Natura violata.

Regioni e Comuni non controllano gli impianti di depurazione. I Pfas finiscono nei fertilizzanti e nella catena alimentare.

In Italia non si fa tesoro del monito che proviene dagli USA. Cioè dell’inchiesta condotta dal New York Times che ha fatto luce sulla situazione negli Stati Uniti, dove i Pfas sono stati rinvenuti nei fertilizzanti usati in diverse fattorie. Secondo il rapporto, i fanghi di depurazione, utilizzati come fertilizzanti per arricchire i terreni agricoli, contengono elevate quantità di Pfas. Questi fanghi, derivati dai trattamenti delle acque reflue, finiscono per entrare nella catena alimentare.
 
In Italia, gli agricoltori, quando ignari della presenza di queste sostanze tossiche e cancerogene  nei fertilizzanti, stanno utilizzato questi prodotti per anni, contribuendo alla diffusione dei Pfas nei loro raccolti. Le conseguenze sono devastanti, poiché questi composti, una volta entrati nel suolo, si accumulano nelle piante e, successivamente, negli animali che si nutrono di esse. Questo ciclo continuo di contaminazione rappresenta una minaccia seria per la salute umana, considerando che i Pfas sono associati a varie patologie, tra cui problemi endocrini, malattie renali, alcuni tipi di cancro ecc.
 
In pressoché tutte le Regioni italiane sono evidenti gli effetti della  scarsa regolamentazione e dei controlli insufficienti o assenti sui fanghi di depurazione: Pfas nell’acqua potabile e in numerosi alimenti, tra cui pesci, carne e prodotti derivati, non solo nelle zone vicine a impianti industriali che producono (Solvay di Spinetta Marengo) o  utilizzano tali sostanze.
 
Non dimentichiamo che le discariche emettono gas nei quali si annidano numerosi PFAS in concentrazioni talvolta elevate che si disperdono nell’aria.  Lo dimostra uno studio pubblicato su Environmental Science & Technology Letters dai ricercatori dell’ Università della Florida di Gainesville. Similmente  accade con i percolati non filtrati e neutralizzati: anch’essi possono rilasciare nel suolo PFAS che, inesorabilmente, arrivano alle falde. 

Allerta Pfas anche nel Canton Ticino.

Dopo le segnalazioni di contaminazione nei campi vicino al lago di Costanza a San Gallo, l’attenzione si sposta verso il Ticino, dove le autorità locali sono da tempo all’erta riguardo la presenza di Pfas nelle acque e negli alimenti. Già nell’ottobre dello scorso anno, studi sulla distribuzione dell’acqua potabile hanno rivelato la loro presenza nella falda che alimenta il Pozzo Pra Tiro a Chiasso. Questo dato ha spinto all’installazione di filtri avanzati per garantire acqua sicura ai cittadini, una misura che rimane sotto stretta osservazione.
 
Anche altri Comuni, come Capriasca e Sant’Antonino, hanno registrato livelli preoccupanti di PFAS, spesso correlati all’uso di materiali specifici in grandi opere infrastrutturali come la galleria di base del Monte Ceneri.
Sul fronte alimentare, il Laboratorio cantonale ticinese ha intensificato le analisi su vari prodotti, come la carne, estendendo le campionature fino alla fine dell’anno. Inoltre, è in corso una campagna di monitoraggio su diverse derrate alimentari, come i pesci, che possono accumulare PFAS a causa del loro metabolismo.

Solo dal basso si possono fermare Pfas e Solvay. Davide contro Golia.

Non si allenta sulla politica la morsa della lobby industriale chimica. Dei colossi produttori di Pfas, in capo a Solvay Syensqo. E degli illimitati utilizzatori: dalle pentole antiaderenti agli indumenti impermeabili, dalle giacche goretex alle scarpe, dagli imballaggi alimentari ai dispositivi medici, dai pesticidi alla tappezzeria, dalla carta da forno alle cromature, dalla pelletteria alle schiume antincendio, dal filo interdentale alla carta igienica, dalle scioline ai gas refrigeranti, dall’industria elettronica ai semiconduttori, dall’attività estrattiva dei combustibili fossili alle applicazioni dell’industria della gomma e della plastica, nelle cartiere, nei lubrificanti, nei trattamenti anticorrosione, nelle vernici eccetera. A tacere tutti gli utilizzi, strategici, nel settore militare. Per avere una dimensione del business, si consideri che la lobby FluoroProducts &PFAS for Europe  può contare su 72 singoli lobbisti attivi a Bruxelles, con una spesa annuale compresa tra 18,6 e 21,1 milioni di euro e 59 pass al Parlamento Europeo.
 
La lobbying degli enormi interessi finanziari e mercantili, che è sempre intervenuta coi propri mezzi “persuasivi” sull’OMS Organizzazione Mondiale Sanità (in contrasto con l’americana EPA Ente Protezione Ambientale) e in particolare sull’Unione Europea  per imporre legislazioni e regolazioni particolarmente neo-corporative, esempio nel bando al Bisfenolo, ora è riuscita ancora una volta a impedire la messa al bando totale delle migliaia di sostanze “per- e polifluoro alchiliche”: PFAS.
 
Le possiamo immaginare come  catene di ferro avvolte  in una protezione di gomma: gli anelli di ferro sono atomi di carbonio saldamente uniti fra loro, che rendono la catena forte, mentre la copertura rappresenta atomi di fluoro, che proteggono la catena dagli agenti esterni facendoli scivolare via. Questa accoppiata conferisce ai Pfas portentose proprietà di resistenza alle alte temperature e agli agenti esterni, idrorepellenti, oleorepellenti, ignifughe, però conferisce  altrettanto pericolose proprietà di pericolo per la salute di milioni di persone. Infatti sono  bollate da  una sterminata letteratura scientifica internazionale come sostanze inodori insapori incolori indegradabili, “forever chemicals” inquinanti eterni, ubiquitari, trasportati dai venti e dalle acque in ogni parte del globo, estremamente persistenti e accumulabili  nell’ambiente vegetale e animale.
 
Dunque nell’organismo umano: non decomponibili biologicamente, le indistruttibili tossiche e cancerogene sono state trovate nel sangue, nelle urine, nella placenta, nel cordone ombelicale e persino nel latte materno. Inalate e ingerite con cibo e acqua, si introducono infatti  nel sistema circolatorio e si diffondono nel nostro corpo, nel sistema endocrino ovvero nella produzione e regolazione degli ormoni, con malattie della tiroide,  danni al fegato, obesità, diabete, colesterolo,  problemi cardiocircolatori,  cancro ai reni, alla prostata e ai testicoli, ridotta fertilità maschile e femminile, diabete gestazionale, patologie neonatali,  riduzione del peso alla nascita dei neonati, riduzione del quoziente di intelligenza nei bambini, riduzione della risposta immunitaria ai vaccini eccetera.
 
Malgrado tutte queste certezze scientifiche, ma nascondendosi dietro ostruzionistiche confutazioni,  per cui non esisterebbero metodi d’analisi in grado di scoprire o quantificare tutte le migliaia di Pfas con svariato peso molecolare e differenti proprietà chimiche e strutturali, la lunga mano di Solvay & C. ha determinato una lassista normativa europea: estraniata dai controlli delle emissioni atmosferiche (micidiali per il circondario delle fabbriche utilizzatrici, come il “colabrodo di veleni” della Solvay di Spinetta Marengo unico  produttore in Italia), nonché  permissiva, a non dire condiscendente, per quanto riguarda la parametrazione della qualità delle acque per consumo umano: si tratta ora di limiti-soglia massimi ai quali gli Stati dell’Unione europea sarebbero tenuti a conformarsi entro il 12 gennaio 2026.
 
Resta, come sempre, la facoltà di includere e anticipare disposizioni nazionali, come hanno fatto alcuni Stati, tramite valori più rigorosi o parametri aggiuntivi, fino al “limite zero”, ovvero con  palliativi come in Francia (1). Facoltà che comunque l’Italia si è ben guardata da usufruire, per veto di Solvay che ad Alessandria sfora tutti i limiti inimmaginabili di inquinamento. Così il Parlamento ha affossato il Disegno di Legge Crucioli per la messa la bandoAnzi, l’Italia ha perfino evitato di aderire all’iniziativa – presa da Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia, nel febbraio del 2023 – per introdurre una restrizione universale sui PFAS a livello dell’Unione Europea, per vietarne la produzione, la vendita e l’utilizzo. Dal canto suo, si è mostrata ininfluente l’esortazione  di quasi 150 0rganizzazioni  della società civile europea agli Stati membri dell’UE e alla Commissione a vietare tutti i PFAS in tutti i prodotti di consumo entro il 2025 e a vietarli completamente entro il 2030.
 
Nel frattempo, stante appunto questa complice paralisi della politica italiana ed europea, la presidente di Solvay Syensqo, Ilham Kadri, ora ritiene procrastinabile il processo avviato di trasferimento delle produzioni in Cina (dove, per i disastri già compiuti non è più accolta a braccia aperte) e valuta le condizioni di resistere a Spinetta il più a lungo possibile. 
(2) Però, c’è un altro però. Per Kadri si affacciano ulteriori problemi entro il 2026 per lo stabilimento di Spinetta Marengo: esce dall’invisibilità mediatica il TFA, acido trifluoroacetico, che si forma dai PFAS per degradazione. Come i Pfas, si trova ovunque (ubiquitario), come i Pfas è perenne (forever chemical), come i Pfas tossici e cancerogeni è micidiale per la salute, ma, ancora peggio dei Pfas, a differenza dei Pfas non è ancora normato per legge e “Pesticide Action Network” (PAN Europe) chiede ai governi di agire con misure urgenti:  il divieto immediato dei pesticidi con PFAS, il divieto immediato dei gas fluorurati. Ma Kadry opporrà il consueto ostruzionismo. (3)
 
Invece, nel mentre, il fattore tempo sta scadendo a Spinetta Marengo per quanto riguarda le emissioni atmosferiche. La lunga mano di Solvay ha estraniato la lassista normativa europea da controlli che non siano delle acque, e dunque non esisterebbero  limiti di legge per i PFAS in aria ambiente e nelle deposizioni al suolo. Esistono, in realtà, per il cocktail micidiale di 20 veleni tossici e cancerogeni, di cui fanno parte  PFOA, ADV, C6O4, che è scaricato sulla popolazione da 72 ciminiere  e dai 15.000 punti di perdite incontrollate: così come abbiamo denunciato alla Procura. Un cocktail confermato dall’ultimo monitoraggio dell’Arpa. (4)  E… dal continuo andirivieni dei Vigili del fuoco in emergenza (5). Il tutto, per un Sito classificato alto rischio chimico e di catastrofe industriale, per il quale -denunciamo da 40 anni come delittuosa vergogna dei politici locali-  non esiste un Piano di emergenza in grado di affrontare a) l’allarme, b) l’evacuazione, c) il soccorso, d) le cure della popolazione(6)  
 
Veniamo ai dunque. Dunque, da un lato, neppure a pensarci che sia la politica a fermare i Pfas in Italia (a tacere i fallimenti delle Procure). Dall’altro, l’urgenza della condizione eco sanitaria della popolazione di Alessandria rende indifferibile la chiusura immediata delle produzioni Solvay a Spinetta Marengo. Dunque, a tal fine, resta la via, dell’azione giudiziaria inibitoria risarcitoria, avviata dal bassoovvero intraprendere  l’impresa titanica di affrontare Solvay Syensqo: che non rappresenta solo se stessa ma anche la “European chemical industry council (cefic)” la lobby delle industrie chimiche europee che ha riunito i  maggiori produttori e consumatori di Pfas, tra cui figurano  Agc, Arkema, Basf, Bayer, Chemours, Daikin, Du Pont, Exxonmobil, Gfl, Merck, Gore.
 
Alle azioni inibitorie risarcitorie contro Solvay di Spinetta  incitava il Procuratore Generale di Cassazione: “Mi auguro che seguano centinaia, migliaia di cause civili per toccare questa gente nel portafoglio”. E fuori dall’Italia,  è proprio  Solvay, e proprio per i Pfas, a doversi mettere le mani al portafoglio pagando una class action in USA  da 1,3 milioni di dollari. (7)  Ad Alessandria è inimmaginabile che il sindaco faccia causa a Solvay per inquinamento del Bormida,  come il suo omologo americano contro Monsanto: 160 milioni di dollari! (8) Viceversa, l’azione inibitoria risarcitoria, oltre che contro l’azienda, può essere rivolta anche contro le Istituzioni, cioè contro Comune e Provincia di Alessandria e  Regione Piemonte.  Come in Olanda. (9)
La storia di questi decenni ha dimostrato che codeste istituzioni piemontesi sono complici di Solvay (Syensqo, già Montedison): speculari al colosso chimico, subordinati non solo culturalmente e politicamente. I sindacati, a loro volta, si nascondono sempre dietro il ricatto occupazionale (neppure a stento si salva la CGIL), al punto che quando sono stati chiamati al  Tavolo tecnico permanente del Comune addirittura… hanno chiesto di farsi rappresentare direttamente da Solvay.  
 
L’ultimo scandaloso anzi grottesco episodio, sulla spinta delle ripetute immagini sui media delle incontrollate invasioni di schiume di Pfas dall’obsoleto stabilimento ridotto a colabrodo per sfacelo tecnologico e di manutenzioni, è stato lo spettacolo del bluff della Provincia di Alessandria: che obtorto collo sospendeva le produzioni e nel giro di poche settimane ne autorizzava la sciagurata ripresa sulla base di una perizia addomesticata (classico caso di “controllato controllore”) e malgrado la totale disapprovazione dei tecnici dell’Arpa (Ente normalmente non tanto severo). Addirittura le impronte dello  zampino di Solvay si intravvedono nella firma apposta alla lettera di autorizzazione.  (10)
 
Su questa vicenda  la Commissione parlamentare d’inchiesta sugli illeciti ambientali ha convocato il direttore generale di Arpa Piemonte Secondo Barbero e il procuratore capo di Alessandria Enrico Cieri. Queste stupefacenti audizioni hanno scandalizzato Alessandria. In particolare il sottoscritto. Il quale, per evitare termini pesanti, ritiene sufficiente  questo  “commento terzo”  di una preparata giornalista. (11)
 
Come effetto di questa nuova licenza di inquinare falde acquifere – suoli – fiume Bormida – atmosfera del Comune di Alessandria e degli altri Comuni della provincia,  discende la reiterazione del reato: la cosiddetta  “barriera idraulica” attualmente si conferma impianto non idoneo a contenere le fuoriuscite degli inquinanti dello stabilimento, dunque violando la sentenza della Corte di Cassazione dal 2019. 
 
Sentenza che, vogliamo ribadirlo ancora una volta, riguardava ben oltre i Pfas: cioè la bonifica di una massa di veleni, una ventina insieme al cromo esavalente, bonifica che è stata, su ordine di Bruxelles, consapevolmente disattesa sull’altare dei profitti da Solvay, la quale, anzi, ha peggiorato la situazione ecosanitaria. Su questo punto, il capo di accusa nell’imminente processo penale bis andrebbe riformulato sul versante dolo. E portato al massimo livello apicale di Syensqo.  E anche in sede civile con azioni inibitorie che risarciscono le Vittime, come stimolava a fare il Procurate generale in Cassazione: “Quella gente dovete toccarla nel portafoglio”.  Con la Procura di Alessandria è difficile nascondere il dissenso(12) Sorprende infine che sia nel processo di Alessandria che in quello di Vicenza non ci siano medici tra gli imputati(13)
 
Lino Balza Movimento di lotta per la salute Maccacaro

1) Ecologisti francesi sconfitti da sindacato operaio e multinazionale a braccetto.

2) La Cina per Solvay non è più la terra promessa.

3) L’ “invisibile” TFA nell’esistenza nebulosa della Solvay di Spinetta Marengo, tra processi e class action.

4) Procuratore, fermi il cocktail tossico cancerogeno da 72 ciminiere e 15mila punti di perdite incontrollate.

4) Nuovo esposto sui PFAS alla Procura della Repubblica di Alessandria

5) Nubi di fluoridrico spediteci dalla Francia.

6) Il Piano di emergenza di Solvay…scritto da Solvay: grazie alla complicità del sindaco.

7) Migliaia di cause civili per toccare questa gente nel portafoglio. E Solvay in USA paga con dollari sonanti.

8) Viene da ridere pensare che il sindaco di Alessandria fermi Solvay.

9) Anche l’Olanda invasa dai Pfas. Scattano le azioni inibitorie risarcitorie.

10) Puzzano gli amministratori di Provincia Regione Comune di Alessandria. E i sindacati…

11) Imbarazzante esibizione di Procura e Regione davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sugli illeciti ambientali.

12) Rimettere in funzione gli impianti Pfas inquinanti: è una condotta sempre più dolosa della Provincia.

13) Saranno o non saranno risarcite le Vittime di Miteni e Solvay ad Alessandria e Vicenza?

Il dossier in quasi mille pagine disponibile a chi fa richiesta. 

1) Ecologisti francesi sconfitti da sindacato operaio e multinazionale a braccetto.

L’urgenza della condizione eco sanitaria della popolazione di Alessandria impone la chiusura delle produzioni Pfas della Solvay di Spinetta Marengo: immediatamente. Troppo tardi le altre date che circolano per altre soluzioni: addirittura 2030. Unica-via-urgente: l’azione giudiziaria inibitoria risarcitoria, avviata dal basso.
 
Non sarebbero di nessuna utilità, per l’Italia e l’Europa, men che meno per  Alessandria, i  limiti del disegno di legge che i  parlamentari dell’Assemblée nationale hanno approvato all’unanimità in prima lettura,  per il quale dal 1 gennaio 2026 in Francia i PFAS saranno vietati nei cosmetici, nella sciolina e nella produzione di alcuni abiti. Con una siffatta restrittiva  legge,  gli impianti di Spinetta, infatti, procederebbero come prima.
 
Non concordiamo perciò con la gaffe di Greenpeace che chiede al governo italiano di seguire l’esempio francese. Sarebbe un palliativo addirittura antitetico alla Legge di totale messa al bando dei Pfas che Greenpeace, insieme  a noi, pur rivendica con urgenza.  Il disegno di legge non è una mezza vittoria per gli ecologisti francesi, anzi sarebbe una sconfitta totale dei loro allarmi sanitari: per loro e per tutta l’Europa se innescasse il contagio. Sarebbe invece una vittoria per la mobilitazione realizzata in questi anni dalla strana lobby dei  sindacati (2.000 operai)  e delle multinazionali (Seb), insomma dei produttori di stoviglie  (le famose pentole antiaderenti Tefal!) dell’Alta Savoia. Insomma, sindacato operaio e multinazionale a braccetto, operai in piazza a Rumilly, dietro i vessilli di Force ouvrière, sindacato autonomo.
 
In controtendenza, sempre in Francia, invece, i tribunali hanno ordinato una perizia indipendente a seguito dell’azione legale per risarcimenti, avviata con associazioni e sindacati dagli abitanti della cosiddetta Chemical Valley, contro Arkema che dal 1957, a Lione, in località Pierre-Bénite,  ha scaricato nel Rodano 3,5 tonnellate di PFAS all’anno, avvelenando una quindicina di Comuni.
 
Le analogie tra le  situazioni ecosanitarie e politiche di Lione e Alessandria sono impressionanti: stesse ir-responsabilità degli amministratori locali (sindaco in testa), assenza leggi nazionali di messa al bando dei Pfas, necessità di  ricorso alle class action.