L’offerta di Solvay a Comune e Regione per comprare la salute della popolazione.

Ufficializzato il patteggiamento con il Comune di Montecastello (100mila euro), ora si attendono gli esiti delle trattative in corso di Solvay con il Comune di Alessandria. Al quale, per uscire come  parte civile dal processo sarebbero state offerte altrettante 100mila euro… “quale danno di immagine”. 1 milione sarebbe comunque oltraggioso a vendere la salute dei propri cittadini. 100mila, al pari del piccolo Montecastello, è addirittura irridente sul piano “contrattuale” considerando che ogni sindaco ha il potere, quale massima autorità sanitaria locale, di fermare precauzionalmente con ordinanza le produzioni inquinanti la salute della popolazione. Ma il sindaco di Alessandria, Giorgio Abonante, aveva già omesso questo dovere morale e istituzionale: oggi non più considerato un “debito esigibile”.
Solvay considera inoltre aggiudicata la complicità del sindaco che finge di non sapere che a Spinetta Marengo in giornate invernali si registrano concentrazioni di PFAS nell’aria di 1000 volte superiori come ordine di grandezza ai valori assunti come riferimento, e resta inerme di fronte alle clamorose fughe di gas, come l’ennesima del 16 febbraio: gravissima perchè riferita al micidiale “perfluoroisobutene”, che in passato ha ucciso. Clicca qui il commento dell’ex assessore Claudio Lombardi. Peraltro, la complicità di Abonante è data per scontata dopo le giustificazioni illegittime per un sindaco: “E’ l’Asl che mi deve ordinare la chiusura degli impianti”, mentre si nasconde dietro l’altrettanta complice Regione Piemonte, accusandola.
Per i danni inferti al territorio e alla popolazione piemontesi, Solvay dovrebbe pagare fior fiore di miliardi in un processo secondo Giustizia. Invece cerca di uscirne con un patteggiamento di qualche centinaia di milioni con la Regione Piemonte. Per preparare l’opinione pubblica alla scandalosa rinuncia di parte civile nel processo, è all’opera l’altisonante “Task Force” dell’imbonitore assessore regionale alla sanità, Federico Riboldi, con assemblee ad Alessandria che coinvolgano i Comitati. Invece di sottoporre finalmente ad un monitoraggio di massa fino a centinaia di migliaia di persone, la Regione appunto dichiara “Non sono valori allarmanti” i livelli di Pfas nel sangue della popolazione estraendo “un campione di 135 residenti entro 500 metri dal Polo Chimico di Spinetta” (29 nel primo step). Lo sono allarmanti invece, anche in queste estrapolazioni.
Lo sono fingendo di ignorare che, per PFOA o ADV o C6O4 ecc., per la salute l’unico valore sicuro nel sangue di tutti i Pfas è ZERO, e pur affidandosi ai “valori soglia” ufficiali.  Lo sono perché, nel campione, TUTTE le persone hanno Pfas nel sangue, alcune addirittura superiori a 20 ng/ml. Se rapportiamo il dato al complesso della popolazione provinciale: la situazione sanitaria è catastrofica, altro che “non allarmante”. Infatti, per non allarmare -in cambio del fare cassa nel patteggiamento di una manciata di milioni- la Regione ha il compito di rallentare al massimo il monitoraggio provinciale. Per questa mistificazione mediatica la Regione si avvale di una “Commissione Clinica” appositamente da lei stessa nominata.
Il micro-monitoraggio per loro sarebbe “non allarmante” anche se -è allucinante!!- “consigliano” “specialmente in popolazioni sensibili come le donne incinte, misure di riduzione dell’esposizione quali: utilizzare a fini alimentari le sole acque provenienti dall’acquedotto evitando le acque di pozzo, non utilizzare l’acqua di pozzi privati o da falda superficiale sia per uso domestico che per uso alimentare o agricolo, l’integrazione regolare nella dieta del consumo di alimenti di produzione propria o in generale locale, con il consumo di alimenti di provenienza diversa,” altro che chilometro zero, “considerare l’azione additiva di queste esposizioni con altre esposizioni a rischio (ad es tabacco, alcool, sedentarietà e alimentazione). Gli “esperti” della Regione se ne lavano infine le mani consigliando ai Medici di base di consigliare alle persone “con valori superiori a 20 ng/ml nel sangue, poiché esiste un incremento del rischio di effetti avversi, di adottare le misure di riduzione dell’esposizione” licenziandosi o espatriando?  “e procedere con una serie di analisi e alla raccolta di alcuni dati sulla vita delle persone”. E’ allucinante!

I processi italiani cruciali per il destino dei Pfas in Europa.

I processi di Vicenza e Alessandria sono fratelli ma non gemelli: hanno grosse differenze. Quello di Alessandria è il secondo perché Solvay di Spinetta Marengo, malgrado la sentenza in Cassazione ha continuato a inquinare come prima e più di prima con 21 cancerogeni fra cui i PFAS, e, invece di una conseguente pesante condanna per reiterato comportamento doloso e criminale, rischia  addirittura di concludersi prima di iniziare con un assolutorio patteggiamento: un mercimonio di pochi  centinaia di milioni di euro anziché miliardi.
 
A Vicenza, invece, una dignitosa Procura, nel processo che sta per concludersi, disastro ambientale e avvelenamento delle acque, ha chiesto la condanna per dolo, “consapevolezza di avere inquinato senza prendere contromisure”,  di 9 amministratori e manager (Miteni, Mitsubishi, ICIG) che si sono succeduti nella gestione PFAS della  Miteni di Trissino: la pena più pesante è di 17 anni e sei mesi, la più tenue di 4 anni di reclusione. In totale le richieste di condanna raggiungono i 121 anni e 6 mesi di reclusione.
 
Solvay Syensko, unica produttrice di Pfas in Italia, ha bilanci in attivo stratosferici, Miteni invece  è fallita e senza soldi per i risarcimenti (con o senza coperture assicurative). In comune i due processi hanno lontane anni luce le bonifiche non solo dal completamento ma pure dal concepimento: suolo-acqua-aria di 21 cancerogeni per Spinetta e, per Trissino l’avvelenamento da Pfas della falda più grande d’Europa, in modo che i Pfas si sono trasferiti negli acquedotti finendo nei rubinetti delle case di decine di Comuni nelle  province di Vicenza, Verona e Padova, coinvolgendo il sangue di 350mila persone, causando gravissime malattie e  tumori: un’indagine epidemiologica ha quantificato in 4.000 le vittime in un arco di tempo di circa trent’anni.
 
Quali “bombe atomiche ad orologeria innescate” (definizione del pm Hans Roderich Blattner), il Veneto ha in comune con il Piemonte che rimane ammantata da un alone di ambigua omertà la catena delle responsabilità dei soggetti pubblici che avrebbero dovuto impedire che si materializzasse uno dei casi ambientali più gravi della storia recente del Vecchio continente.
A monte dei due processi epocali giganteggiano gli interessi in gioco. Sono  colossali. I Pfas sono sostanze artificiali cruciali per una miriade di applicazioni: microprocessori e produzione bellica in primis. Scalfire gli interessi del complesso militare industriale è una sfida di non poco conto. In Italia la Solvay Syensko, unica produttrice di Pfas nello stabilimento di Spinetta Marengo, guida la lobby confindustriale che blocca una legge di messa al bando dei Pfas in produzione e consumo. In Europa può esistere una maggioranza a favore del divieto totale, tuttavia la proposta di restrizione universale, avanzata da Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia, sta subendo un rallentamento inaccettabile a causa appunto delle lobby del settore chimico, che stanno investendo milioni per bloccare il divieto. L’esito dei due processi italiani diventa dunque cruciale.

Lunga storia di connivenze, complicità, corruzioni, ignavie…

il Blog di Daniele Barbieri & altr*
 
…di Comune, Provincia, Regione, governo, Asl, Arpa, sindacati, magistratura e giornali. Clicca qui “La bottega del Barbieri”:  Lunga storia dei PFAS (PFOA e C6O4 e ADV) dello stabilimento Montedison-Solvay di Spinetta Marengo (Alessandria) da stralci dei libri «Ambiente Delitto Perfetto» (Barbara Tartaglione-Lino Balza, prefazione di Giorgio Nebbia) e «L’avventurosa storia del giornalismo di Lino Balza» nonché del Sito “Rete Ambientalista Movimenti di lotta per la salute, l’ambiente, la pace e la nonviolenza” gestito dal “Movimento di lotta per la salute Giulio A. Maccacaro”.

I Pfas non dovrebbero mai trovarsi nei giocattoli per bambini.

Secondo l’Associazione Italiana Medici per l’Ambiente-Isde e l’Associazione Culturale Pediatri-Acp, i Pfas continuano a essere presenti nei prodotti destinati ai bambini, con il rischio di gravi conseguenze sulla loro salute. Isde e Acp hanno inviato una lettera ai ministri della Salute e dell’Economia per chiedere di vietare l’uso di Pfas e bisfenoli, già banditi dagli imballaggi alimentari in diversi Paesi, ma ancora ammessi nei giocattoli. Le evidenze scientifiche sono schiaccianti: i Pfas sono sostanze che indeboliscono il sistema immunitario, riducono l’efficacia dei vaccini e aumentano il rischio di malattie croniche, sono stati rinvenuti nelle urine dei bambini di tutta Europa e sono associati a problemi di sviluppo, obesità e persino tumori.
 
La partita ora si gioca nei palazzi della politica, tra pressioni industriali, in particolare di Solvay che, nello stabilimento di Spinetta Marengo, è l’unico produttore italiano di Pfas. Sono scelte che definiranno il livello di tutela per le nuove generazioni.

Arzignano record di Pfas.

Il tema della “qualità” dell’acqua è tornato alla ribalta i dopo la pubblicazione, da parte di Greenpeace, di una mappa a livello nazionale della contaminazione da Pfas nelle acque potabili con prelievi prevalentemente fatti da fontanelle pubbliche: nell’analisi di Arzignano erano state trovate concentrazioni maggiori rispetto alle altre città del Veneto prese in considerazione.
A fronteggiare la situazione l’amministrazione ha installato 27 casette dell’acqua, che sono provviste di filtri a carbone attivo.

Il “caso Pfas” spiegato nelle scuole.  

Se possiamo dare un suggerimento a Greenpeace e a chi ha le disponibilità finanziarie per farlo, è avviare nelle scuole italiane l’esperienza del Liceo scientifico G.B. Quadri di Vicenza, nel corso della quale sarà anche affrontato  il caso Miteni e l’inquinamento da PFAS, accompagnato dalla visione di Dark Waters. Sarà raccontato ai ragazzi l’impatto dell’inquinamento ambientale legato al caso Miteni di Trissino, un disastro che ha coinvolto profondamente il territorio vicentino. Grazie alla sua esperienza come giornalista d’inchiesta, Marco Milioni offrirà una prospettiva unica sul rapporto tra ambiente e responsabilità collettiva. Il progetto vicentino  non solo forma, ma stimola il pensiero critico e l’interesse per il giornalismo investigativo, coinvolgendo attivamente studenti e istituti del territorio. Clicca qui.

Le parti civili a cui Solvay propone di vendere la salute della popolazione.

La Solvay (Syensqo) ha ottenuto dal GUP di Alessandria il rinvio dell’udienza di sei mesi allo scopo di addivenire ad un patteggiamento premiale con la Procura della Repubblica, ovvero di chiudere anticipatamente senza dibattimento la vicenda penale relativa al disastro eco sanitario dello stabilimento di Spinetta Marengo. Allo scopo, i sei mesi servono alla Solvay per concludere trattative con le Parti civili: affinchè le stesse esprimano eventuale assenso alla Procura della Repubblica.
I nodi da sciogliere con le Parti civili riguardano minimamente le PARTI CIVILI FISICHE. Queste persone, infatti, sono un paio di centinaia ammesse con discriminazione al processo: non si giustifica perché alla stregua non siano ammesse le decine di migliaia di alessandrini, magari Vittime di malattie e morti. Ebbene, Solvay reputa che queste persone, scontando che non hanno nessuna fiducia nella Giustizia, si accontenteranno dell’elemosina di poche migliaia di euro, mentre  le parcelle degli avvocati sarebbero una cuccagna.
I nodi da sciogliere riguardano invece le parti civili istituzionali: Governo, Regione e Comune.
IL GOVERNO 
Un Tribunale (anche in questo processo bis) potrebbe (finalmente) condannare Solvay a risarcire allo Stato i miliardi di euro di reiterati danni ambientali e sanitari inferti al territorio, ovvero la Bonifica. Invece, con un patteggiamento che dà un colpo di spugna al Processo, altro che enormità miliardarie: Solvay se la può cavare simbolicamente con un “dono” di poche centinaia di milioni. E continuare a produrre indisturbata: perché -è inteso- nel frattempo questo Governo, con la sua maggioranza, è ancor meno indicato dei precedenti a varare una Legge  che metta al bando i Pfas in Italia e dunque Solvay di Spinetta, che è l’unica che li produce. In Parlamento la Lobby dei Pfas è onnipotente.
LA REGIONE PIEMONTE
Strozzando il processo, il patteggiamento serve a Solvay per evitare  condanne miliardarie per danni di risanamento ambientale, cioè per bonifiche, e di costi sociali che la collettività è stata costretta (e sarà) a provvedere, cioè i costi delle strutture sanitarie per accertare e assistere i malati (e i morti). Solvay, con la trattativa in corso con la Regione Piemonte, conta  di cavarsela con poche centinaia di milioni.
La Regione, in cambio del placet alla Procura, intende  scrollarsi di dosso la pressione mediatica di Comitati e Associazioni che l’accusano da tempo immemorabile di omettere indagini ambientali e sanitarie. La Regione giustificherà il “dono” della Solvay proprio per il suo utilizzo a realizzare un monitoraggio della della popolazione. La Solvay è tranquilla perché -è inteso- il biomonitoraggio non sarà di massa, cioè né riferito all’intera provincia, né all’intera zona della Fraschetta, né all’intero comune di Alessandria. Insomma, ai prelievi del sangue non avranno diritto decine di migliaia di persone. La “zona rossa” sarà abilmente circoscritta: ieri a 29 residenti o lavoratori agricoli”, oggi a “135 maggiorenni residenti entro 500 metri dal polo chimico di Spinetta Marengo”, domani “estesa” a qualche altra decina di persone, dopodomani a qualche altra, dopodomani…; non ci sarà mai un domani prossimo e certo  per cui si possa parlare di monitoraggio di massa.
La Solvay è tranquilla. Il micro monitoraggio del sangue, e non anche delle urine,  è ulteriormente limitato: ai Pfas e non alla ventina di sostanze ancor più inquinanti (es. cromo esavalente),  e neppure sarà refertato  a tutti i Pfas: esclusi furbescamente proprio “i nuovi” (es. cC6O4 e ADV) che Solvay ora sta utilizzando. La Solvay è tranquilla: non ammetterà mai che il micro monitoraggio abbia valore probatorio, neppure indiziario, ben lungi da una indagine epidemiologica che le dimostri il nesso causa-effetto, meno che mai disposta a risarcire le Vittime ammalate e morte.
Il compito affidato all’assessore regionale alla Sanità, Federico Riboldi, autorevole esponente nazionale di Fratelli d’Italia, è quello di andare in giro per Alessandria, assecondato ovviamente dagli omologhi comunale e provinciale, a propagandare il biomonitoraggio rallentato e disinnescato e pomposamente ovvero ridicolmente definito “task force”, ad offuscarne e minimizzarne via via  i risultati, insomma  a fare da imbonitore presso quei Comitati che si prestino al gioco, a insultare invece quelli che  hanno definito  “omertoso” il suo operato. Si   vergogni lui piuttosto, che vende la salute della popolazione.
IL COMUNE DI ALESSANDRIA
Il sindaco è la massima autorità sanitaria sul territorio, e dunque il sindaco di Alessandria con una ordinanza sarebbe stato in grado di fermare le produzioni inquinanti della Solvay di Spinetta Marengo e salvaguardare la salute dei concittadini. Si sa perché non lo farà mai, palleggiandosi dietro la Regione e il Governo. Ad evitare il ripetersi di pubbliche accuse, perciò, un Patteggiamento gli sarebbe di sollievo. Anche perché stiamo parlando di soldi e il Comune non è che navighi in floride acque.
E c’è anche un’altra faccenda, che è stata accusata di mancanza di trasparenza dall’opposizione in Consiglio comunale. La Giunta ha autorizzato  l’acquisizione di un’area nella zona dell’ex zuccherificio, tra Alessandria e Spinetta, circa 20 mila metri quadrati (quasi tre campi da calcio), del valore fiscale di simbolici 34 mila euro. Se a caval donato (“generosamente” dalla società Valtidone) si guarda in bocca, la dentatura è marcia perché il sottosuolo dell’ex zuccherificio è impregnato all’inverosimile dei veleni (cromo esavalente ecc.)  della Solvay. Perché mai la Giunta ha acquisito un’area disastrata che il Comune non ha assolutamente i soldi per bonificare? Addirittura “per farne un centro studi dedicato alla bonifica ambientale dice il sindaco Giorgio Abonante? E i soldi dove li trova per “realizzare una nuova strada per collegare il futuro secondo ponte sul fiume Bormida”? A pensare male si fa peccato, ma il pensiero va alla trattativa con  Solvay. Sono tante le maniere per vendere la salute della gente.

Pfas l’emergenza eco sanitaria dalle Alpi all’Etna.

La spedizione ”Acque senza Veleni” di Greenpeace ha avuto luogo tra settembre e ottobre 2024 per verificare la contaminazione nell’acqua potabile in tutte le regioni d’Italia dei PFAS: sostanze tossiche e cancerogene secondo tutti gli studi scientifici internazionali,  usate in numerosissimi processi industriali e prodotti di largo consumo, che si accumulano “inquinanti eterni” nell’ambiente e nel sangue provocando danni irreversibili alla salute umana.  Per affrontare questa che per milioni di italiani è la forma di inquinamento più pericolosa che sta colpendo il nostro Paese,

non vi è altra  soluzione  che  la chiusura delle produzioni Pfas della Solvay di Spinetta Marengo (Alessandria) e il varo di una legge che vieti l’uso di tutti i PFAS in Italia.

Per realizzare la prima mappa nazionale indipendente, Greenpeace ha raccolto 260 campioni, soprattutto in  fontane pubbliche,  in 235 comuni appartenenti a tutte le Regioni italiane. I PFAS sono presenti nel 79% dei campioni di acqua potabile analizzati.  Il cancerogeno PFOA è risultato il più diffuso. Consultando  il report completo con tutti i risultati delle analisi PFAS, clicca qui,  si tratta di una delle peggiori situazioni d’Europa.

Sull’indagine Greenpeace, clicca qui anche una vasta rassegna stampa (Scienze, Il Fatto alimentare, Repubblica, Fanpage, Corriere della sera, La stampa, Radiogold, Resto del carlino, Il manifesto, Avvenire, La nazione, Il fatto quotidiano eccetera), che comprende Piemonte, Veneto, Puglia, Liguria, Abruzzo, Emilia Romagna, Toscana, ecc.

Per una storia completa dei Pfas in Italia dal 1980, invece  consulta gli oltre mille articoli sul Sito www.rete-ambientalista.it  o chiedici i tre volumi del dossier “Pfas. Basta!”.

Bando ai Pfas adesso!

Il 29 gennaio, la facciata metallica dell’edificio Berlaymont, sede della Commissione Europea, tra le bandiere europee, è stata illuminata da un messaggio in lettere bianche e gialle accompagnato da un teschio: “ Bando al PFAS adesso! ”. Il clamoroso messaggio ha fatto seguito…  allo scarico di  secchi di terra contaminata davanti al cancello di Chemours a Dordrecht (Paesi Bassi), all’aver distribuito birre contaminate da PFAS agli operai di una fabbrica chimica a Zwijndrecht (Belgio) ed essersi accampati davanti al tribunale durante il processo Miteni a Vicenza (Italia).
 
Dietro questo appello all’esecutivo europeo, con  richiesta di incontro con Ursula von der Leyen, presidente della Commissione, ci sono due organizzazioni ambientaliste, European Environmental Bureau e WeMove Europe, alle quali hanno aderito rappresentanti delle popolazioni belga, olandese, francese e italiana colpite dall’inquinamento da PFAS. In un’indagine in quattro episodi pubblicata dal 14 al 17 gennaio 2025 dalla RTBF e dai suoi 28 partner del progetto Forever Lobbying , hanno rivelato il costo colossale del disinquinamento dei PFAS in Europa: tra 95 miliardi di euro e più di 2.000 miliardi di euro in Europa nel corso di 20 anni, a seconda dello scenario. Oppure 100 miliardi di euro all’anno “in perpetuo”. Insomma, fermare ora la produzione di Pfas, in Italia fermare Solvay, sarebbe la soluzione più conveniente.
 
Questa indagine ha anche messo in luce un’attività di lobbying su scala senza precedenti da parte dell’industria chimica, fino ai vertici dell’esecutivo europeo, per ostacolare un piano di messa al bando degli “inquinanti eterni”. In Italia, il Movimento di lotta per la salute Maccacaro ha denunciato (clicca https://www.rete-ambientalista.it/2025/01/18/2-000-miliardi-di-danni-la-lobby-dei-pfas-e-linciucione-italiano/) che  la lobby delle aziende chimiche e industriali capitanata da Solvay è tutt’altro che rassegnata: grandi manovre sono in corso attorno ai processi Miteni di Vicenza e Solvay di Alessandria, con il sospetto che si voglia spegnerli, quando meno impacchettarli. In Veneto clicca (https://www.rete-ambientalista.it/2025/01/11/delitto-perfetto-2-vicenza/l’allarmato documento di Mamme No Pfas, Isde, Cillsa, Legambiente, Cgil Veneto e Rete dei comitati denuncia l’esistenza di un semiclandestino tavolo di autorità politiche, istituzionali e giudiziarie  che tratta con le aziende imputate coprendone le responsabilità penali e risarcitorie In Piemonte: è in corso l’altro “inciucio” della tabula rasa dei patteggiamenti giudiziali a danno delle Vittime e della bonifica, (https://www.rete-ambientalista.it/2025/01/11/delitto-perfetto-2-alessandria/ ).

2.000 miliardi di danni. La lobby dei Pfas e l’inciucione italiano.

Rispetto a quando per la prima volta (1990) scrivemmo che lo stabilimento di Spinetta Marengo scaricava Pfas in Bormida. Rispetto a quando dai primi anni 2000 eravamo in pochi, se non i  soli, a diffondere sui Pfas informazioni e documenti internazionali sempre più allarmanti, anche trasmettendoli -come Movimento di lotta per la salute Maccacaro– in forma di esposti (venti) alla Procura di Alessandria. Ebbene, rispetto a quei tempi, fino a quelli odierni, per tutti i quali ci appuntiamo la medaglietta di indefessa costanza, ebbene oggi si può affermare che la tragedia Pfas primeggia quasi in tutti gli organi di informazione, merito anche negli ultimissimi anni dell’accelerata mediatica della campagna di Greenpeace in Italia ( http://bit.ly/3FAJ7H0 ). Meglio tardi che mai. Ma non ancora a sufficienza.
Infatti, a tutt’oggi, le produzioni dei cancerogeni e tossici Pfas della Solvay non sono state fermate ad Alessandria e l’uso dei  Pfas non è  stato messo al bando in Italia.
 
Lo stallo malmostoso è il segno che  la lobby delle aziende chimiche e industriali capitanata da Solvay è tutt’altro che rassegnata: grandi manovre sono in corso attorno ai processi Miteni di Vicenza e Solvay di Alessandria, con il sospetto che si voglia spegnerli, quando meno impacchettarli. In Veneto l’allarmato documento di Mamme No Pfas, Isde, Cillsa, Legambiente, Cgil Veneto e Rete dei comitati denuncia l’esistenza di un semiclandestino tavolo di autorità politiche, istituzionali e giudiziarie  che tratta con le aziende imputate coprendone le responsabilità penali e risarcitorie (https://www.rete-ambientalista.it/2025/01/11/delitto-perfetto-2-vicenza/). In Piemonte: l’altro “inciucio” della tabula rasa dei patteggiamenti giudiziali a danno delle Vittime e della bonifica, su cui hanno preso posizione Legambiente e Movimento di lotta per la salute Maccacaro (https://www.rete-ambientalista.it/2025/01/11/delitto-perfetto-2-alessandria/ ).
A lato di questo “inciucione”, la lobby è quanto mai aggressiva in campagne di pressione sui politici e di  disinformazione atte a  sviare l’attenzione pubblica dalle loro responsabilità verso i rischi per la salute e i relativi costi sociali (esemplari furono le campagne pro-tabacco). Lo scopo delle centinaia di lobbisti (addirittura Mario Draghi) è duplice: indebolire e affossare la proposta di Bruxelles di vietare la vendita e commercializzazione dei Pfas, e spostare il peso economico dei lavori di bonifica dalle aziende ai cittadini.
La multinazionale belga in Europa mantiene, con Ilham Kadri amministratrice delegata di Syensqo spin off di Solvay, un ruolo apicale nella “Campagna di disinformazione” dopo la richiesta di restrizione e divieto dei Pfas promossa nel 2023 dai cinque Stati europei (Danimarca, Germania, Norvegia, Olanda, Svezia). La campagna punta all’esclusione dal divieto dei fluoro polimeri: da considerarsi innocui prodotti finiti rispetto ai Pfas “storici” intermedi di produzione, e soprattutto da affermarsi essenziali per lo sviluppo della nuova tecnologia verde sponsorizzata dal Green Deal e finanziata in parte dal PNRR. Il nuovo fluoropolimero essenziale per l’idrogeno verde sarebbe Aquivion, che dal 2025 a Spinetta noi  produrremo senza utilizzo di pfas”. Falso. Aquivion rimane un Pfas e una volta riversato in ambiente il prodotto degrada in Pfas”: clicca qui.
 
Nella sua campagna, la lobby sta anche fronteggiando l’indagine interdisciplinare transfrontaliera coordinata da Le Monde, Forever Lobbying Project (FLP), che coinvolge 46 giornalisti di  diverse redazioni , 18 esperti accademici e avvocati internazionali e 29 media partner in 16 Paesi. L’indagine “sulla peggiore crisi di inquinamento che l’umanità abbia dovuto affrontare”, utilizzando una metodologia articolata e basata su criteri scientifici, ha infatti portato a galla quanto costerà ripulire dal “veleno del secolo” 23.000 siti in Europa, tra cui quelli, come Alessandria e Vicenza, considerati “hotspot PFAS”, dove la contaminazione ha già dimostrato di aver raggiunto  livelli particolarmente  pericolosi per la salute delle popolazioni esposte. A prescindere dagli incalcolabili costi umani e sociali in morti e ammalati e dall’impatto dei PFAS sui nostri sistemi sanitari, l’indagine  si è “limitata” a calcolare i costi per  bonificare le falde acquifere e i terreni impregnati di PFAS.
La cifra è da capogiro, ed equivale a 2 trilioni e mezzo di euro, 2,5 mila miliardi di euro in un periodo di 20 anniovvero un costo annuale pari a 100 miliardi di euroPer l’Italia, ad esempio, l’opera di pulizia costerebbe intorno a 12 miliardi di euro l’anno: stima assai per difetto se solo si guardano i costi depositati presso il tribunale di Vicenza. Cifre che comunque esploderebbero ulteriormente, in perpetuo, se non ci sarà lo stop immediato dei Pfas. Il nodo politico è: questi costi da chi verranno affrontati? dalle aziende che hanno messo in circolazione il PFAS, o dai cittadini tramite le proprie tasse?
Il principio sarebbe: chi inquina paga. Dunque il nodo è politico: mentre  gli altri Paesi CEE   chiedono a gran voce all’Agenzia Europea delle Sostanze Chimiche (ECHA) di mettere al bando i PFAS, in Italia la storica  complicità politica e sindacale, delle istituzioni locali e governative, non ferma  le produzioni Pfas della Solvay a Spinetta Marengo, primo indispensabile passo verso il divieto in Italia  dell’uso di Pfas in tutte le manifatture, come fu (1992) per l’Eternit e l’amianto.
 
Lino Balza Movimento di lotta per la salute Maccacaro

Pfas anche nei cinturini degli smartwatch.

Ormai l’elenco dei prodotti di largo consumo con Pfas è talmente lungo che, sintetizzando, si può dire che va dalla carta igienica, passando per le pentole antiaderenti, fino… ai cinturini degli orologi.
 
Nei cinturini degli smartwatch fitness tracker a rilasciare più Pfas sulla nostra pelle sono proprio quelli di marche “premium”, di  giganti come Apple, Nike, Fitbit (di proprietà di Google) e Samsung. Lo studio è opera di un team di ricerca dell’Università statunitense di Notre Dame, guidato dal professor Graham Peaslee, che ha analizzato 22 cinturini realizzati con materiali diversi, tra cui fluoro elastomeri (Pfas) , plastica, pelle e metalli. Addirittura sono  proprio i cinturini con un costo superiore a 30 dollari quelli che presentano livelli più elevati di fluoro, indicatore della presenza di Pfas, rispetto a quelli con un prezzo inferiore a 15 dollari.
 
Già gli studi precedenti, esempio dell’Istituto tedesco  Bundesinstitut für Risikobewertung (BfR) per quanto riguarda  cosmetici  e creme solari, hanno dimostrato che i Pfas, non solo respirati e mangiati, sono anche   assorbiti dalla pelle e perfino  con presenza minima  contaminano il sangue per anni.  

Plin plin.

Le barre azzurre rappresentano il test effettuato in estate, quelle blu le analisi di conferma realizzate in autunno; i valori di TFA sono espressi in ng/l.
 
Ne abbiamo più volte documentato, non è una novità (esempio in questo articolo).   L’ennesima conferma arriva da un test effettuato dall’associazione ambientalista Pesticide Action Network Europe (PAN Europe), che ha portato in laboratorio 19 marchi di acqua minerale provenienti da diversi Paesi europei, trovando in più della metà di esse acido trifluoroacetico (TFA), una piccola molecola che fa parte della categoria degli PFAS.

Acqua con Pfas in rubinetto e bottiglie.

Una nuova analisi, pubblicata in esclusiva dal Guardian, ha rivelato che le fonti d’acqua potabile  in tutto il Regno Unito sono contaminate dai Pfas. Le più alte  concentrazioni sono state rilevate in aree che ospitano grandi aree industriali (Ucelby e Barrow nel Lincolnshire) e vicino alle basi militari RAF (nel West Suffolk e nel Norfolk). Un rapporto dell’Environmental Agency ha dichiarato che potrebbero esserci fino a 10.000 siti contaminati: anche in Inghilterra  le principali fonti di inquinamento sono le industrie chimiche, i siti militari, gli aeroporti, gli impianti di trattamento delle acque reflue, aziende produttrici di carta, pelle, tessuti e siti di smaltimento dei rifiuti, fanghi di depurazione sparsi su terreni ad uso agricolo. L’associazione di categoria Water UK chiede di “vietare i PFAS e sviluppare un piano nazionale per rimuoverli dall’ambiente, che dovrebbe essere pagato dai produttori”.

Delitto perfetto 1. Vicenza.

Grandi manovre attorno ai processi di Vicenza e Alessandria; rispettivamente contro Miteni, (Mitsubishi e Icig) e contro Solvay, con il sospetto che si voglia spegnerli, quando meno impacchettarli.
A Vicenza il processo Miteni, sulle responsabilità del maxi inquinamento da Pfas in Veneto, arriva alle ultime battute: a febbraio inizieranno la requisitoria del pubblico ministero e le arringhe delle parti civili e delle difese. Incombe sempre l’ombra della prescrizione.
In questo contesto si colloca l’allarmato documento dei comitati e delle associazioni ambientaliste del Veneto. L’esplosiva presa di posizione denuncia l’esistenza di “Un tavolo di autorità politiche, istituzionali e giudiziarie che si sta occupando in modo alquanto misterioso della trattativa con le società coinvolte nel processo per disastro ambientale e inquinamento di acque”. E’ più di un sospetto, in quanto precisano:
 “Da una audizione in Commissione parlamentare del procuratore Lino Giorgio Bruno è emersa l’esistenza di un tavolo, oltre quelli istituzionali, di cui non si conosce né la composizione, né i contenuti discussi, le priorità stabilite e i risultati conseguiti.  Incontri promossi dal prefetto di Vicenza vedono la partecipazione dello stesso procuratore, di rappresentanti della Provincia, dei legali delle tre aziende imputate, nonché della Marzotto, la società che oltre quarant’anni fa diede vita alla Rimar, le cui ricerche portarono poi alla costituzione della Miteni, l’origine degli sversamenti chimici”.
L’accusa è precisa: “Riteniamo grave questo modo di agire connotato da poca trasparenza e scarsissima informazione”, che tende a coprire dodici anni di inefficienze e omissioni istituzionali, compresa la magistratura. L’opacità riguarda  “lo stato della bonifica, sia per il terreno che per la falda”; fatto sta che “né la bonifica né la messa in sicurezza del sito sono cominciate”, mentre “non si ha notizia dell’avvio di un’indagine per omessa bonifica, che pur costituisce un reato gravemente punito dalla legge”.
Manca un aggiornamento da parte della Regione della mappa delle zone impattate, anche con campionamenti di terreni e degli alimenti. A loro volta, le indagini epidemiologiche sono ferme a uno studio di cinque anni fa e la mappa delle zone contaminate non viene aggiornata. Tant’è che “allo studio di mortalità nella popolazione veneta (4.000 decessi in più rispetto alla media di altre zone) non è stato dato seguito in termini di misure conseguenti”.
In definitiva, sarebbe un “inciucio”. “Dietro le quinte, un tavolo di autorità politiche, istituzionali e giudiziarie, senza trasparenza  si sta occupando della trattativa con le società coinvolte,  con l’effetto di avvolgere nel silenzio un disastro ambientale di portata epocale irrisolto”. Sapendo che ”l’inquinamento continua inesorabilmente a scendere verso valle e a propagarsi, bioaccumulandosi in ambiente e negli organismi”. In più, sarebbe un “inciucione” se dietro dietro le quinte, ci fosse lo zampino di Solvay,  che ha tutto interesse di instaurare una “pax pfas” in Italia.

Delitto Perfetto 2. Alessandria.

Grandi manovre attorno ai processi di Vicenza e Alessandria; rispettivamente contro Miteni, (Mitsubishi e Icig) e contro Solvay, con il sospetto che si voglia spegnerli, quanto meno impacchettarli.
Ad Alessandria, per il 2° processo Solvay, il nuovo staff legale della multinazionale sta cercando di strozzarlo “in nuce”. Ha proposto il “patteggiamento”,  che ha provocato un ulteriore rinvio delle udienze di altri  sei mesi. La mossa successiva potrà essere la richiesta premiale di “giudizio abbreviato”.  Infine, è pronta la  “rimessione alla sede”  per incompatibilità ambientale (processo a Milano).
Andando per ordine. Circolante in sordina tra avvocati (come rivelammo alcuni mesi fa), oggi, dopo l’udienza dal GUP del 20 dicembre 2024, è ufficialmente avviato un patteggiamento (rectius) premiale da condursi con tavoli di trattative tra gli imputati e le parti civili. La Procura rinuncerebbe  alla celebrazione del processo secondo gli iniziali  capi di imputazione e relative pene e risarcimenti.
Il fine della multinazionale belga sarebbe di alleggerire ulteriormente i reati, ma soprattutto di  prendersi in tranquillità il tempo necessario per la sua strategia post 2026. Soprattutto cioè di allentare il fiato sul collo da parte dell’opinione pubblica che addita Regione, Sindaco e Governo come complici di Solvay, e che chiede biomonitoraggi di massa per la popolazione e addirittura ordinanze di chiusura degli impianti, nonchè una legge nazionale di bando dei pfas.
Non a caso, gli avvocati di Comune, Regione e Governo sono entusiasti del “tavolo di trattative”. Non lo sono le Associazioni, tra cui quelle parti civili presenti al processo, 46 ONG e 40 scienziati, che hanno appena firmato alla Commissione Europea per le restrizione della produzione e dell’uso dei Pfas.
La “tabula rasa” dei patteggiamenti non passerebbe senza colpo ferire fra la popolazione alessandrina, tra le Vittime malati e morti. Immediate le reazioni di Legambiente e Movimento di lotta per la salute Maccacaro. Patteggiare significherebbe impedire ai lavoratori e ai cittadini danneggiati di costituirsi parte lesa in sede civile e chiedere, almeno in quella sede, il risarcimento dei danni subìti invece che elemosine.
A prescindere da etica e morale, l’avallo di patteggiamento o rito abbreviato sarebbero giuridicamente una figuraccia clamorosa per la nuova Procura, dopo le critiche indirizzate alla vecchia che ha istruito i capi di imputazione sui reati di colpa piuttosto che di dolo.
Nessuno, infatti, può nascondersi dietro un dito. Il combinato disposto fra capo di imputazione colposo e patteggiamento chiarirebbe  anche ai più miopi  che questo processo, anche questo processo, non determinerebbe la bonifica del sito chimico di Spinetta Marengo. Il patteggiamento non può essere “venduto” come avvio di una vera bonifica. La “conditio sine qua non” per l’avvio di una vera bonifica è invece la chiusura delle produzioni inquinanti: non può esistere bonifica mentre si sta continuando a inquinare terra-acqua-aria. Per svuotare la vasca bisogna prima chiudere il rubinetto. Altrimenti va avanti eterna l’innocua  manfrina del primo processo Solvay, anno 2009,  per la quale ancora oggi sono in discussione con gli enti locali la “caratterizzazione dl sito” e la “analisi del rischio”, dell’irrisolto micidiale cromo esavalente (e altri 20 veleni tossico cancerogeni), mentre si è aggiunto il dilagare dei Pfas: appena punta dell’iceberg di una realtà territoriale su cui incombe uno “stabilimento a rischio di incidente rilevante”, in pieno centro abitato, oltremodo più pericoloso del deposito Eni di Calenzano.

Mappa interattiva dei Pfas veneti.

ll dott. Vincenzo Cordiano (ISDE Veneto), nel suo blog https://www.vincenzocordiano.i… ha pubblicato una mappa da lui realizzata sulla presenza di PFAS nelle acque del Veneto. La mappa interattiva consente di visualizzare le località nelle quali i tecnici dell’ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale) del Veneto hanno eseguito la ricerca delle Sostanze perfluoroalchiliche.

I tumori provocati dai Pfas.

Luca Chiovato, ordinario di Endocrinologia all’Università di Pavia, membro di lungo corso della Società Italiana di Endocrinologia, della European Society of Endocrinology e la Endocrine Society Americana, è dal punto di vista scientifico uno dei più titolati a parlare di Pfas E’ stato uno dei primissimi, in Italia, ad occuparsi dei Pfas distruttori endocrini, creando all’Irccs Maugeri di Pavia, un Laboratorio di ricerca dedicato già nei primi anni 2000. 
 
In questa intervista (https://gognablog.sherpa-gate.com/lendocrinologo-come-i-pfas-ci-avvelenano/), Chiovato  illustra come i Pfas operino sull’organismo dell’uomo come distruttori endocrino-metabolici. Quale il grado di pericolosità? Diminuzione della fertilità (riduzione numero spermatozoi),  ipertensione arteriosa durante la gravidanza, neonati sottopeso, abbassamento della risposta anticorpale in adulti e bambini, innalzamento dei livelli di colesterolo, obesità, diabete tipo 2, dislipidemia,  aumento dei rischi di malattie ad  assi gonadici e alla tiroide, lesioni al fegato, colite ulcerosa, ipotiroidismo nei giovani (in gravidanza: conseguenze  sullo sviluppo mentale dei neonati  malformazioni congenite, criptorchidismo (mancata discesa dei testicoli nel bambino), pubertà precoce. In particolare le neoplasietumori ai reni e ai testicoli, tumori femminili ormono-dipendenti, come quelli di mammella e utero nelle donne, tumore della tiroide (per anni oggetto di controversie, ma uno studio caso-controllo multicentrico Usa-Olanda- Israele, pubblicato nel 2023, ha stabilito il rapporto tra Pfos e carcinoma papillare della tiroide).
 
Nella stessa intervista, Chiovato sottolinea le caratteristiche di pericolosità  dei Pfas: largamente utilizzati in tutti i prodotti industriali (dalle pentole antiaderenti alle carte igieniche) in quanto respingono sia acqua, sia grassi e resistono al calore, ma  resistono alla degradazione chimica/microbica e hanno elevata solubilità in acqua, non sono biodegradabili quindi sono inquinanti organici persistenti, forever chemicals, la loro emitività,  vale a dire il loro tempo di decadenza:nell’ambiente è di 41-92 anni e l’emivita di eliminazione nell’uomo è di 3-7 anni. Insomma, conviene il professore, siccome non ci sono antidoti per i Pfas, ce ne sarebbe abbastanza per metterli al bando  come la Francia ha fatto. A maggior ragione  perché le grandi compagni chimiche   americane hanno “volontariamente” eliminato l’uso di Pfoa e Pfos nei primi anni 2000.

Il bisfenolo colpisce nell’anonimato.

Già vietato nell’UE per i biberon (nel 2011 !!) e prodotti simili, la Commissione Europea ha adottato il divieto sull’uso del bisfenolo A (BPA) nei materiali che entrano a  contatto con gli alimenti o bevande come il rivestimento su lattine di metallo, bottiglie di plastica riutilizzabili per bevande, refrigeratori per la distribuzione dell’acqua e altri utensili da cucina. Il divieto tiene conto dell’ultima valutazione scientifica dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) dannosi sul sistemi immunitario riproduttivi ed endocrino. Clicca qui.
 
Nell’attualità del 2°processo Solvay in Alessandria, rimarchiamo le responsabilità dei mancati fattuali riscontri agli esposti (PEC, a firma Lino Balza) a Procura-Prefetto-Arpa, a conferma di quanto avevamo denunciato: alla Solvay di  Spinetta Marengo nel cocktail con i PFAS (PFOA, C6O4, ADV) tra gli interferenti endocrini c’è anche il Bisfenolo nelle sostanze in uso.
Ci ricordiamo gli esposti alla Procura di Alessandria, dal 2009, del “Movimento di lotta per la salute Maccacaro”? Oltre ai Pfas in acque e aria, e nel sangue dei lavoratori! denunciavamo -sulla base degli allarmi internazionali- l’utilizzo nella Solvay di Spinetta Marengo anche del Bisfenolo, tossico e cancerogeno. Di cui le autorità sanitarie, Arpa, Asl, e politiche, Comune, Provincia, nulla sapevano o fingevano di non sapere. Sta di fatto che nessuno è intervenuto ad Alessandria, neppure la magistratura.

Pfas anche nell’Adige.

“Operazione fiumi” condotta da Legambiente  con il supporto tecnico di Arpav. Pfas anche nell’Adige. La presenza di Pfas era già emersa nel Po ed il dito si è puntato sullo stabilimento piemontese della Solvay a Spinetta di Marengo. Una presenza di Pfoa confermata nelle acque campionate a Porto Tolle e Zevio.
 
Nel “Monitoraggio delle sostanze perfluoroalchiliche nelle acque superficiali del Veneto 2013 – 2018”, del resto, erano stati trovati anche nello scolo Poazzo, oltre che in Brenta, Fratta Gorzone, Bacchiglione, bacino scolante nella laguna di Venezia, Livenza, Po e Sile.

In Europa crescita di alta concentrazione di PFAS nell’acqua dolce, compresa l’acqua potabile.

Sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea le “Linee guida tecniche sui metodi d’analisi per il monitoraggio delle sostanze per- e polifluoro alchiliche (PFAS) nelle acque destinate al consumo umano”. Nel documento si legge che “si rileva in tutta l’UE la crescita del numero di casi di alta concentrazione di PFAS nell’acqua dolce, compresa l’acqua potabile”, per questo la Commissione, con queste nuove linee guida, vuole imprimere un’accelerazione al monitoraggio dei PFAS con criteri omogenei nell’ambito dell’Unione Europea, in base a quanto stabilito dalla direttiva (UE) 2020/2184, recepita in Italia con il D.Lgs. 23 febbraio 2023, n.18). Clicca qui.

Occhio ai Pfas nelle vongole.

Nuova allerta alimentare per un lotto di vongole del Pacifico surgelate. Il Ministero della Salute ha disposto il  ritiro da un ipermercato di vongole sgusciate e surgelate: “Vongole del Pacifico sgusciate cotte surgelate” da 800 grammi del marchio Coralfish, importate da Panapesca Spa. Il nome del produttore è Ngoc Ha Co food processing and trading, con base in Vietnam. I supermercati dovrebbero aver  provveduto a rimuovere dagli scaffali le confezioni.
 
L’esposizione ai PFAS dunque non avviene solamente nelle zone altamente contaminate, ma anche, magari attraverso imballaggi alimentari, mangiando frutta, verdura, carne e derivati e prodotti ittici. Su questi ultimi lo studio americano condotto nel New Hampshire – tra i principali consumatori di frutti di mare degli Usa – ha evidenziato come il consumo frequente di frutti di mare comporti una maggiore esposizione ai PFAS. Per quanto riguarda frutta e verdura invece, è l’ONG PAN Europe a fare un quadro della situazione, tutt’altro che positivo: negli ultimi 10 anni, c’è stato un aumento del 220% delle tracce di forever chemicals in frutta e ortaggi dell’Ue. Altri studi hanno rilevato le sostanze per-e polifluoralchiliche anche in carne (soprattutto lavorata), uova, riso bianco e caffè.

Usare carta da forno solo se con l’etichetta “pfas free”.

L’Associazione Italiana Medici per l’Ambiente (ISDE Italia), ha pubblicato un position paper che raccoglie ricerche e documenti che analizzano gli effetti sulla salute dei PFAS tossici e cancerogeni.
 
Alternative alla carte da forno sono i tappetini riutilizzabili in silicone alimentare, che possono essere usati centinaia di volte, ma è  importanza cruciale affidarsi ad aziende che espongono nelle confezioni i marchi sulla sicurezza alimentare.
 
L’alternativa semplice è l’uso di grassi naturali (come l’olio d’oliva), oppure di foglie naturali, come quelle di banano, di vite o di cavolo.
 
L’alternativa globale è chiudere le produzioni Pfas si Spinetta Marengo e vietare per legge l’uso e il consumo di tutti i prodotti contenenti Pfas.

L’Italia cuoce nei Pfas a fuoco lento.

Sono passati più di vent’anni da quando, già licenziato e riassunto di nuovo dal pretore, stavo facendo campagna in Italia contro l’uso delle ormai famose “padelle antiaderenti” ai cibi, antiaderenti grazie al miracoloso Teflon prodotto dalla Solvay di Spinetta Marengo (AL), azienda di cui ero dipendente. Eppure vedo ancora oggi esposte nei negozi padelle antiaderenti senza il marchio “Pfas free”, e malgrado che nel frattempo la cancerogenicità del PFOA sia ormai scientificamente assodata e allertata. E malgrado che siano tranquillamente disponibili pentole e padelle in acciaio inox, ghisa, titanio, vetro e ceramica certificata. C’è da trasecolare, infine, a pensare  in chissà quante cucine si stiano  cuocendo Pfas  a oltre 260 gradi addirittura in padelle consumate e graffiate. D’altronde nessuna legge vieta alla Solvay la produzione di Pfas “forever chemicals” e in suo uso in una infinità di prodotti agricoli, alimentari, industriali, chimici, farmaceutici ecc. 

Delitto perfetto in quel di Alessandria.

Non fu un ossequio alla Giustizia italiana il titolo “Ambiente Delitto Perfetto” (Barbara Tartaglione – Lino Balza, prefazione di Giorgio Nebbia, pagg. 518) del primo volume. Il titolo è stato mantenuto anche nel secondo volume (pagg. 444), interamente dedicato al processo Solvay. Il titolo del  presente terzo volume era nell’ordine delle cose, non fatale ma inevitabile. Così va la giustizia. Esso  riferirà del  prossimo e forse ultimo processo alla Solvay di Spinetta Marengo. 

 A qualunque storico o giornalista, e non solo, che volesse seguire il prossimo procedimento in  Corte di Assise di Alessandria sarebbe estremamente utile la conoscenza della genesi storica, contenuta già nel primo e soprattutto nel secondo volume di “Ambiente Delitto Perfetto”.  

Il quale, infatti, comprende la documentazione riferita al processo in  Corte di Assise di Alessandria del  2012, nonché in Corte di Assise d’Appello di Torino del  2018 e infine in Corte di Cassazione del 2019. Inoltre, include i 20 Esposti alla Procura della Repubblica dal 2008 al 2023 presentati da Lino Balza Movimento di lotta per la salute Maccacaro e mai respinti con archiviazione: i 9 depositati presso il procuratore capo Michele Di Lecce, e culminati con l’azione penale del 2012 condividendo in toto il reato di dolo per tutta la catena di comando, e gli 11 presso il P.R. Enrico Ceri e sfociati (insieme all’esposto di Legambiente e a quello del WWF) nel prossimo processo ma, purtroppo, ristretti al reato di colpa e per due imputati minori

Per completare il compendio, a qualunque storico o giornalista, e non solo, sarebbe anche utile la

conoscenza del  Dossier “Pfas. Basta!”:  una piccola enciclopedia che (“work in progress” prossimo alle 1.000 pagine in 3 volumi, disponibile anch’esso “on line”) racconta la storia in Italia delle lotte contro gli inquinatori Solvay e Miteni, dalle denunce degli scarichi in Bormida degli anni ’90 fino ai processi 2021-2023-2024 ecc. ad Alessandria e Vicenza. Una lunga storia di mobilitazioni anche contro connivenze, complicità, corruzioni, ignavie di Comuni, Province, Regioni, Governi, Asl, Arpa, Sindacati, Magistratura e Giornali. La lunga storia dei PFAS (PFOA e C6O4 e ADV e…) è tratta in breve da stralci dei libri “Ambiente Delitto Perfetto”, volume primo e secondo e terzo  e “L’avventurosa storia del giornalismo di Lino Balza”, nonché dal Sito “Rete Ambientalista Movimenti di lotta per la salute, l’ambiente, la pace e la nonviolenza” gestito dal “Movimento di lotta per la salute Giulio A. Maccacaro”.

Clicca qui l’INDICE  delle prime 66 pagine del VOMUME TERZO di AMBIENTE DELITTO PERFETTO.

Il Sito www.rete-ambientalista.it seguirà tutte le fasi del nuovo processo e della vecchia battaglia per la messa al bando dei PFAS. Mailinglist settimanale, libri e documenti sono disponibili a chi ne fa richiesta a lino.balza.2019@gmail.com

Clara pacta, amicitia longa.

Gli ambienti forensi avevano dato per certo (e noi prima di loro: clicca qui Solvay gongola. Con Greenpeace, Lino Balza escluso come parte civile. Cosa c’è dietro. – RETE Ambientalista) che il Procuratore Capo di Alessandria, Enrico Cieri, era favorevole ad un patteggiamento con Solvay. Essendo Cieri stato trasferito, ci si chiede quale possa essere in merito la posizione del subentrante Procuratore Aggiunto,  Enrico Arnaldi Di Balme. Balme in sé è un debole indicatore: un salubre comune di 100 abitanti nelle Valli di Lanzo, che deve la sua notorietà alla presenza di sorgenti d’acqua considerata di gran pregio; ogni casetta del luogo è dotata di una propria fontanella zampillante acqua fresca e sana. Grazie alle sue proprietà l’acqua dell’altopiano rifornisce l’equipaggio americano della Stazione Spaziale Internazionale. A confronto, Arnaldi sarà rimasto scandalizzato dalle condizioni idriche dei dintorni provinciali del sobborgo di Spinetta Marengo. A tacere di quelle atmosferiche. Per non dire di quelle sanitarie.
 
Però, a fronte dell’evidenza, è difficile arguire se Arnaldi sia rimasto perplesso sul capo di imputazione impostato da Cieri: sui reati di colpa piuttosto che di dolo e per i soli due direttori. Avrà avuto il tempo di studiare il fascicolo, i miei 20 esposti ignorati da Cieri ? Infatti, è stato nominato procuratore ad Alessandria solo a febbraio. Tant’è che era presente Cieri e non lui questa estate a Roma nella sconcertante audizione  davanti alla Commissione  parlamentare d’inchiesta sugli illeciti ambientali (clicca qui).
 
Infine, c’è che chi tra gli avvocati attribuisce o nega  ad Arnaldi la propensione al patteggiamento in base al suo curriculum di procuratore  a Torino: magistrato molto preparato, autore di numerose inchieste su mafie italiane (ha fatto parte del pool che ha messo in cantiere la maxi-operazione Minotauro) ma anche straniere (con particolare rilievo su quella nigeriana e albanese).
 
Certo, l’azione della Procura nel patteggiamento farebbe scalpore. Intanto, voci danno già in corso con parti civili l’approccio di un patteggiamento (rectius nel linguaggio forense) premiale per l’imputato e le parti civili. I nuovi avvocati Solvay, Riccardo Lucev  e Guido Carlo Alleva, avranno valutato se si allenterebbe il fiato sul collo da parte dell’opinione pubblica che addita Regione e Sindaco come complici di Solvay, e che chiede biomonitoraggi di massa per la popolazione e addirittura ordinanze di chiusura degli impianti. A Solvay il patteggiamento servirebbe a derubricare ulteriormente i reati, ma soprattutto a prendere in tranquillità il tempo necessario per la sua strategia post 2026. Un modesto patteggiamento, condiviso con Edison (clicca qui) potrebbe essere un’alternativa all’incertezza della richiesta di trasferimento (“rimessione alla sede”) del processo (trasmissione degli Atti a Milano) “per incompatibilità ambientale”: eventualità che gli avvocati della difesa vedono con preoccupazione.  La richiesta di patteggiamento può essere formulata fino alla presentazione delle conclusioni in udienza preliminare, e fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento. Dunque, le risposte potrebbero venire già nella imminente udienza del 20 dicembre  davanti al GUP Andrea Perelli.  
 
Una cosa è già certa. Il combinato disposto fra capo di imputazione colposo e patteggiamento chiarirebbe  anche ai più miopi  che questo processo, anche questo processo, non determinerebbe  la bonifica del sito chimico di Spinetta Marengo. D’altronde, per noi è sempre stato chiaro che la “conditio sine qua non” per l’avvio di una vera bonifica non sono le aule penali bensì  la preventiva  chiusura delle produzioni inquinanti: non può esistere bonifica mentre si sta continuando a inquinare terra-acqua-aria. Per svuotare la vasca bisogna prima chiudere il rubinetto. Altrimenti va avanti eterna l’innocua  manfrina del primo processo Solvay, anno 2009,  per la quale ancora oggi sono in discussione con gli enti locali la “caratterizzazione dl sito” e la “analisi del rischio”,  dell’irrisolto micidiale cromo esavalente (e altri 20 veleni tossico cancerogeni), mentre si è aggiunto il dilagare dei Pfas: appena punta dell’iceberg di una realtà territoriale che -Calenzano dovrebbe rammentare-  ospita uno “stabilimento a rischio di incidente rilevante”, in pieno centro abitato, oltremodo più pericoloso del deposito Eni. Ci si dimentica facilmente  che decenni fa titolavo sui giornali “Inodore, insapore, incolore, una bomba chimica che può annientare la città senza scalfire un muro”; e che nei decenni i consigli comunali erano dai Movimenti costretti ad ordini del giorno per “situazione ad alto rischio chimico e di catastrofe industriale”, salvo poi non prendere provvedimento alcuno.  

Le Unioni Montane della Valsusa chiudono sui Pfas la bocca al Consiglio Nazionale delle Ricerche.

I Presidenti delle Unioni Montane, su mandato dei sindaci e di concerto con i Comitati, avevano deciso di affidare al CNR (Consiglio nazionale delle Ricerche) un Piano di Monitoraggio degli acquiferi e delle acque superficiali sul territorio per indagare le fonti inquinanti dei Pfas con concentrazioni vicine al limite di legge nelle acque di diversi Comuni. Si consideri che i Pfas non sono  prodotti da alcuna industria valsusina, bensì per tutta l’Italia dallo stabilimento Solvay di Spinetta Marengo (AL) detentrice del brevetto C6O4 ritrovato in Valsusa.
 
A tale fine era stata concertata la presenza al tavolo del ricercatore CNR-IRSA, il dottor Stefano Polesello, massimo esperto in Italia della problematica, per l’attribuzione formale dell’incarico. Però c’è stato  un improvviso cambiamento di programma da parte dei rappresentanti delle Unioni Montane, imbeccati dalla Regione Piemonte, che hanno comunicato che nessun incarico per il piano sarebbe stato affidato a Polesello, presente in sala. Ancora una volta la Regione non si smentisce. Clicca qui.

La dieta per le popolazioni avvelenate dai Pfas.

Altro che “dieta mediterranea”. Se vivi nella “zona rossa”, quella più contaminata da Pfas in Veneto, devi stare attento anche alle uova delle galline dietro casa e ai prodotti a chilometro zero. Un recente studio realizzato dai dottori Armando Olivieri Mario Saugo, in collaborazione con il professor Hyeong-Moo Shin della Baylor University di Waco in Texas, ha dimostrato che, per la popolazione già con precedente presenza  di Pfas nel sangue, il consumo di alimenti locali vegetali e animali è un’ulteriore accumulo di Pfas: “inquinanti eterni”. Insomma, i residenti veneti dovrebbero fare una dieta priva di prodotti locali per almeno 10-20 anni, mentre si curano  le patologie contratte già prima della chiusura della Miteni di Trissino.
A maggior ragione, la dieta dovrebbe soprattutto essere d’obbligo per la popolazione di Alessandria, dove, nel sobborgo di Spinetta Marengo, la fabbrica Solvay, unica produttrice di Pfas in Italia, inquina da decenni terra-aria-acqua di Pfas e altri 20 veleni tossico cancerogeni.
 
Di quali patologie stiamo parlando?
 
L’esposizione ai PFAS comporta una regressione del metabolismo e del trasporto dei lipidi e di altri processi correlati allo sviluppo ovarico, alla produzione di estrogeni, all’ovulazione e al funzionamento fisiologico del sistema riproduttivo femminile; dunque i PFAS sono dannosi per la fertilità e lo sviluppo fetale. L’esposizione produce una sovraregolazione del gene ID1, coinvolto nello sviluppo di vari tipi di tumore, tra cui tiroide, leucemiacancro al seno e al pancreas. Inoltre, dai dati emerge che gli individui affetti da neoplasie maligne dei tessuti linfatici ed ematopoietici, come milza, fegato e midollo osseo, hanno più probabilità di andare incontro a esiti fatali se esposti continuativamente a questi composti. L’esposizione provoca l’indebolimento delle reazioni immunitarie, della produzione di anticorpi e delle risposte alle vaccinazioni, osservato nei bambini esposti ai PFAS durante il periodo prenatale e postnatale; entrare in contatto con Pfas aumenta anche la concentrazione nel siero dei marcatori di stress infiammatorio e ossidativo, favorendo lo sviluppo di malattie sistemiche, come il danno epatico e le malattie cardiovascolari, tra cui l’aterosclerosi e gli eventi tromboembolici.
L’analisi complessiva di tutti gli studi condotti sul tema è stata realizzata dai ricercatori dell’Università di Bologna e dell’Università di Padova che hanno comparato i diversi lavori, pubblicando i risultati in un’analisi comparativa trascrizionale sulla rivista Toxics., con il titolo “Cross-Species Transcriptomics Analysis Highlights Conserved Molecular Responses to Per- and Polyfluoroalkyl Substances”. Questo studio del Dipartimento di farmacia e biotecnologie dell’Università di Bologna e del Dipartimento di scienze cardiache, toraciche, vascolari e sanità pubblica dell’Università di Padova, è la più ampia analisi della risposta trascrizionale ai PFAS mai realizzata.

La dieta anti pfas per tutti.

La dieta per le popolazioni che sono o sono state direttamente colpite  aria-acqua-suolo dalle aziende produttrici di Pfas (ieri Montedison e Miteni, oggi Solvay) deve essere addirittura drastica. Ma tutta la popolazione in generale deve stare attenta a cosa  mangia, a come limitare dalla propria dieta questi  interferenti endocrini  associati a forme di tumore e infertilità.
Quali consigli?
 
Non acquistare alimenti dalle suddette zone piemontesi e venete, né dalle zone dove i fanghi di depurazione vengono usati come alternativa al fertilizzante sui terreni agricoli, dove l’acqua per le colture e per il bestiame può risultare contaminata, così come i mangimi per animali, né dalle zone con fabbriche che usano Pfas, esempio concerie.
In cucina  non usare imballaggi e prodotti per la casa contenenti Pfas, a cominciare dagli utensili da cucina, primi fra tutti le padelle antiaderenti che non contengono l’etichetta “pfas free”. Per la scelta di cibi confezionati meglio preferire il vetro alla plastica.
Tra gli alimenti, come spiega The Guardian, ce ne sono alcuni che possono essere più ricchi di PFAS, come quelli trasformati e quelli da asporto o quelli sfusi contenuti nei contenitori per lo stoccaggio, spesso appunto trattati con gli inquinanti eterni. Dunque è raccomandata una dieta ricca di frutta e verdura fresca, che ha minori impatti sulla contaminazione da confezionamento e lavorazione. Meglio il biologico, purchè garantito. Anche un maggior consumo di uova, caffè e riso bianco sono stati associati a livelli più alti di PFAS nel sangueOcchio anche al pesce e ai frutti di mare. Una ricerca condotta nel New Hampshire, negli USA, ha rilevato la presenza di PFAS in tutte e 26 le tipologie di pesce analizzate, con i livelli più alti nei gamberi e nell’aragosta.
 
Insomma, è possibile solo una dieta che riduca l’esposizione da Pfas. Fino a quando non intervenga una legge di messa al bando di produzione e uso di Pfas, a cominciare dalla chiusura delle uniche produzioni in Italia della Solvay di Spinetta Marengo. 

Questo panettone è esente da Pfas?

Questo panettone è senz’altro ottimo, ma la carta e i cartone che l’avvolgono: sono esenti da Pfas?
Ci permettiamo di rivolgere la domanda a “il fatto alimentare” che ha annunciato in corso la pubblicazione di alcuni test sui panettoni firmati da Altroconsumo, Dissapore, il Gambero Rosso e forse Il Salvagente.

Gli spermatozoi senza scampo quando aggrediti dai Pfas.

Come i Pfas abbattono la fertilità
L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che l’infertilità oggi colpisca una coppia su sei: siamo giunti ad un vero inverno demografico.
 
Quanto mai attuale è dunque la scoperta dell’Università di Padova presentata ufficialmente al XXXIX Convegno di Endocrinologia e medicina: “I Pfas interferiscono con la proteina che consente allo spermatozoo di fecondare l’ovocita».
 
La ricerca sperimentale è stata condotta dal professor Carlo Foresta, presidente della Fondazione Foresta ETS, in collaborazione con il professor Alberto Ferlin del Dipartimento di medicina dell’università di Padova e il professor Diego Guidolin del dipartimento di neuroscienze. “I risultati ottenuti sono fondamentali nella comprensione del meccanismo che porta a infertliità nelle popolazioni esposte ai PFAS”, commenta Foresta. “Dopo le pluriennali ricerche che avevano evidenziato diverse alterazioni a carico degli spermatozoi, quest’ultimo tassello permette di comprendere come queste sostanze siano in grado non solo di ridurre il numero di spermatozoi e di legarsi ad essi riducendone la motilità, ma, anche qualora uno spermatozoo riuscisse a raggiungere comunque l’ovocita, per via naturale o tramite tecniche di fecondazione in vitro, la sua capacità di fecondarlo sarebbe comunque significativamente ridotta per effetto del legame dei PFAS a questa fondamentale proteina”.
 
Quasi in contemporanea, a Lonigo si è tenuto, sul tema “Salute riproduttiva maschile”, un convegno (organizzato dal Comune e da un gruppo di associazioni) che ha fatto il punto sullo studio che Isde – medici per l’ambiente sta conducendo per valutare, tra le altre, la infertilità dei Pfas sui ragazzi della cosiddetta zona rossa. Lo studio,  dell’ematologo Francesco Bertola e dell’endocrinologo Enrico Ioverno, coordinati da Annibale Biggeri dell’Università di Firenze, si è avvalso della collaborazione di un migliaio di giovani con  visite e raccolta dei campioni di liquido seminale. La complessa  lettura ed  elaborazione dei dati potrebbe vedere la luce durante l’estate del prossimo anno.

I Pfas di Arzignano.

“Seguo il caso PFAS da molti anni. Ho dimostrato, con documenti, perché è inquinata la città di Arzignano, che si trova dalla parte opposta della Valle dell’Agno, però stesso livello dell’Agno alla Barchesse di RIMAR/MITENI; che si trova a 110 metri sul livello del mare. Il caso inquinamento, si scopre anni dopo…” Continua qui la storia, che riceviamo da Vittorio Rizzoli.

PFAS bomba ad orologeria in Svizzera.

Le acque sotterranee e l’acqua potabile in tutta la Svizzera sono contaminate da PFAS. L’acido trifluoroacetico (TFA), che appartiene al gruppo PFAS, creato dalla decomposizione di pesticidi e gas refrigeranti, è presente ovunque, soprattutto nelle acque sotterranee delle pianure e delle aree urbane, come riferisce la televisione svizzera romanda RTS riportando i dati dell’Ufficio federale dell’ambiente (UFAM). Le dimensioni microscopiche dei TFA rendono impossibile la rimozione con i sistemi di filtraggio convenzionali, ha spiegato l’UFAM.

PFAS, ovvero TFA, nelle acque minerali. Le 7 marche più contaminate d’Europa.

Un’indagine svizzera di cui abbiamo parlato, aveva già rilevato la presenza di Pfas in alcune marche di acqua minerale. Ancora più noto è il recente scandalo che ha colpito la Francia, dove diverse inchieste sulle acque minerali Nestlé hanno evidenziato gravi anomalie legate alla contaminazione da PFAS (e non solo).
 
Ora, una nuova conferma arriva da un’indagine condotta da Pan Europe che segnala un quadro allarmante per quanto riguarda la presenza di “inquinanti eterni”, appunto PFAS, nell’acqua minerale. Tra questi, è in particolare il TFA (acido trifluoroacetico), prodotto della degradazione di pesticidi e gas fluorurati, a rivelarsi un contaminante significativo. Per condurre il test, tra maggio e giugno 2024, sono stati acquistati campioni di acque minerali da vari paesi europei: Francia, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Ungheria, Austria e Germania. Le acque sono state inviate al Water Technology Centre di Karlsruhe per l’analisi. I test hanno analizzato la presenza di acido trifluoroacetico (TFA), utilizzando un metodo con limite di quantificazione di 50 ng/l.
 
Le acque più contaminate sono risultate, in ordine alfabetico: Gasteiner, Ordal,SPA, Villers, Vittel, Waldquelle.
L’Unione Europea ha fissato un nuovo limite cumulativo per i PFAS nelle acque potabili a 0,5 µg/l, che entrerà in vigore nel 2026. Gli Stati membri sono stati invitati a implementarlo.

Vietare PFAS ovvero TFA nei pesticidi.

L’EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) ha concluso che “l’acido trifluoroacetico (TFA) è uno PFAS ultra-breve rilevato nelle acque sotterranee, nell’acqua potabile e persino in fonti idriche incontaminate in tutta Europa”.
 
Sulla base delle conclusioni dell’EFSA, l’associazione ambientalista francese Générations Futures insieme a PAN Europe e ad altre 48 associazioni (tra cui 4 italiane) ha lanciato un appello urgente alla Commissione Europea per il ritiro dal mercato di tutti i prodotti contenenti flufenacet, un erbicida appartenente alla famiglia dei PFAS, che  provoca concentrazioni inaccettabili di TFA  nelle acque sotterranee, con livelli superiori a 10 µg/L. Il flufenacet non è l’unico pesticida a rappresentare un rischio per la salute e l’ambiente: anche il fluopyram, un fungicida, genera TFA durante la sua degradazione nel suolo.
 
Le evidenze scientifiche indicano che tutti i pesticidi della famiglia degli PFAS hanno il potenziale di rilasciare TFA nell’ambiente,

Il traghetto italiano dei Pfas: Solvay studia come salvare capra e cavoli.

Si sono autodefiniti désamorceurs » i vertici di Ilham Kadri, amministratrice delegata Solvay Syensqo, con Marco Apostolo, country manager in Italia (Ricatto occupazionale della Solvay a Spinetta Marengo), e con il nuovissimo team legale di Guido Carlo Alleva e Riccardo Lucev, nel merito del possibile scenario sulle sorti dello stabilimento di Spinetta Marengo, “champ de mines”, che comprende il processo avviato presso il GUP di Alessandria (Solvay gongola. Con Greenpeace, Lino Balza escluso come parte civile. Cosa c’è dietro. ) e anche le paventate azioni inibitorie e class action di risarcimenti danni. Si è di recente aggiunta la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea: Edison coimputata con Solvay? Di questi “Vertici dei disinnescatori del campo minato”, pomposamente convocati come Riunioni strategiche per tracciare la rotta della navigazione aziendale”, si potrebbero già intravvedere i riflessi nella imminente udienza GUP del 20 dicembre.  

Utile spunto di riflessione a Bruxelles, per le relative “azioni pianificate e strutturate”, verte attorno alle risoluzioni  in USA del sito Solvay di West Deptford. Qui, da Solvay è stato raggiunto un accordo con il “Dipartimento per la Protezione Ambientale (DEP)” dello Stato del New Jersey, poi che la multinazionale belga  è stata portata in tribunale nel 2020.  Esso segue la cessazione, dopo trenta anni, delle miscele Pfas  compreso l’ADV dal 2010 importato da Spinetta Marengo quale sostituto del PFOA. Discusso dallo Stato con Comuni-Organizzazioni-Cittadini, garantirebbe  la tempestiva bonifica di PFAS e sostanze pericolose nelle adiacenze del sito nella Contea di Gloucester, e risarcirebbe la cittadinanza per i danni. Infatti, l’accordo di transazione, prevede  azioni di risanamento ambientale più impegni finanziari di 392,7 milioni di dollari: “finanziare le indagini ambientali critiche, le attività di bonifica e i progetti di ripristino qualità ambientale nelle comunità di Gloucester e Camden County”.

A  prescindere dai rilievi  economici, a complicare la  disamina -tattica e strategica-  dei nuovi  avvocati c’è la diversa giurisdizione penale americana che consente alla Solvay di affermare che “l’indennizzo non va considerato come una ammissione di colpa”; ovvero c’è che la complice latitanza dello Stato italiano -inteso come centrale e locale- ora sarebbe più proficua  se si trasformasse in una edulcorata legge Pfas ispirata dalla Solvay proiettata a dopo il 2027 (l’opposto della messa al bando con il  Disegno di Legge ex Crucioli). La legge “ralenti” sarebbe utile a disinnescare, fra tutte, almeno questa mina: perché Ilham Kadri a Spinetta non  intende cessare a breve le produzioni di Pfas, proprio mentre cresce l’allarme sociale nell’intero territorio alessandrino per  l’avvelenamento acqua-aria-suolo di PFOA C6O4 e ADV -a tacere gli altri 20  tossici e cancerogeni- evidente anche nel biota acquatico e selvatico  e nei  prodotti alimentari raccolti proprio nei suoli implementati di “nuovi” composti a catena mediocorta precipitanti dalle ciminiere: ancor più bioaccumulabili  dei “vecchi” e ovviamente con standard analitici occultati da opportuni diritti brevettuali, al pari dei Fomblin e Aquivion.

In più, non può essere rallentato all’infinito un monitoraggio di massa della popolazione aperto a tutti gli standard analitici. Che potrà aprire il vaso di pandora sui risarcimenti alle Vittime, leggi class action. Il raffronto per gli avvocati va di nuovo alla Solvay di West Depford che, “per evitare l’onere e le spese di un contenzioso continuo” (si legge nella sua dichiarazione), ha accettato di pagare 1,3 milioni di dollari per chiudere una class action sulla contaminazione da Pfas delle riserve idriche del Parco nazionale di West Deptford, intentata per conto dei residenti del Parco nel giugno 2020, prevedendo gli esami del sangue gratuiti a tutti i cittadini, i risarcimenti individuali e per gli immobili residenziali, le spese legali e gli onorari. Inezie per la multinazionale, salvo che restino aperti i risarcimenti per le patologie sofferte.

A proposito di mine, infine, secondo fonti informate, serviranno a Bruxelles altre riunioni (in gergo: operational meetings, réunions opérationnelles) per affrontare l’impatto di una « azione inibitoria », la questione che è stata alla base del cambio del team di avvocati.

Non ti puoi più fidare di nessuno.

Quando hai i soldi puoi permetterti di essere difeso in tribunale dai più costosi luminari sul mercato. Trovi anche chi è disposto a farti una perizia che affermi che la concentrazione di Pfas nell’acqua potabile accertata nella “zona rossa” (i Comuni più inquinati del Veneto) “è protettiva per la salute umana”. Dunque l’allarme è spropositato tanto più, hanno sostenuto, che non esiste nemmeno una correlazione certa tra Pfas e patologie mediche, come le malattie cardiovascolari, la malattia ischemica del cuore, le malattie cerebrovascolari, l’ipertensione arteriosa, l’ipertensione gravidica, il diabete e il cancro; al massimo hanno ammesso  una limitata associazione tra Pfoa e tumori al rene e al testicolo.
 
Per arrivare a tanto, i due accademici, hanno abbattuto di 70 volte la presenza dei Pfas contenuti nell’acqua potabile e di conseguenza il rischio per la salute umana. E’ bastato, per sputtanarli, un avvocato con una calcolatrice in mano.   E’ accaduto al processo in Corte di Assise di Vicenza. dove si è svolto il contro esame dei due illustri docenti universitari, entrambi citati dai difensori dei manager di Icig Miteni di Trissino, Paolo Boffetta, epidemiologo e ordinario di Medicina del Lavoro all’università di Bologna, e Claudio Colosio, docente all’Università statale di Milano. La firma di entrambi è apposta in calce a una “Relazione di consulenza tecnica” (81 pagine!) che ha per oggetto la “revisione critica dell’evidenza sugli effetti sulla salute esercitati da sostanze Pfas”.
 
Se non fosse stato scoperto, “l’errorino”,  di scambiare la “dose massima consentita per ogni chilogrammo di peso” con “la dose massima consentita al giorno”, avrebbe voluto dimostrare come la quantità di Pfas ingeriti (con la sola acqua, ma ci sono anche quelli contenuti negli alimenti) nei Comuni della “zona rossa” fosse perfettamente compatibile con i limiti Efsa Autorità europea per la sicurezza alimentare. Invece hanno provato il contrario.
 
Solvay si è annotata i nomi di Boffetta e Colosio da cancellare  dal carnet dei consulenti al processo di Alessandria.

I Pfas nelle schiume antincendio sono ancora più pericolose di quanto si conosceva.

«Le concentrazioni di PFOA ramificato nella schiuma antincendio raddoppiano dopo un certo periodo di tempo nell’ambiente»: lo rileva il nuovo studio “Characterization of PFOA isomers from PFAS precursors and their reductive defluorination”, pubblicato su Water Research da un team di ricercatori australiani guidato da Denis O’Carroll e Michael Manefield dell’University of New South Wales (UNSW).
 
I ricercatori avvertono che è “importante capire che non c’è un solo PFAS nella schiuma antincendio o in altre fonti come padelle antiaderenti, indumenti, cosmetici, insetticidi ecc. Esiste una combinazione di fattori, ma la versione ramificata del PFOA si forma a partire dai precursori del PFAS attraverso le condizioni ambientali. E’ essenziale riconoscere che un’efficace bonifica dei PFAS richiederà delle combinazioni di trattamenti, poiché è improbabile che una singola tecnologia produca prodotti rispettosi dell’ambiente”.
 
A sua volta,  lo studio Underestimated burden of per- and polyfluoroalkyl substances in global surface waters and groundwaters” pubblicato su Nature Geoscience da un team di ricercatori dell’UNSW e dell’università dell’Oklahoma, ha valutato i livelli di contaminazione da PFAS nelle acque superficiali e sotterranee in tutto il mondo e ha scoperto che gran parte dell’acqua potabile supera i limiti di sicurezza per il consumo di PFAS.

I colpevoli sono gli uomini che i Pfas producono e consumano.

I gabbiani trasportano nel sangue e nelle piume elevate concentrazioni di Pfas, durante loro peregrinazioni in tutto il mondo, Polo Nord compreso. Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Environmental Science & Technology, ricerca, condotta da un team internazionale di scienziati guidato da Don-Jean Léandri-Breton della McGill University, ha analizzato i dati di tracciamento GPS e i campioni di sangue di 64 gabbiani tridattili che nidificano alle Svalbard, un arcipelago norvegese nell’Oceano Artico. I risultati sono allarmanti: i gabbiani che svernavano più a sud, in zone con maggiore presenza di inquinanti, presentavano livelli di PFAS significativamente più elevati, con concentrazioni fino a dieci volte superiori rispetto a quelli che svernavano più a nord.
 
I PFAS, una volta rilasciati nell’ambiente artico attraverso gli escrementi e le uova dei gabbiani, contaminano la catena alimentare, mettendo a rischio la salute di volpi artiche, girifalchi, orsi polari e di tutte le specie che si nutrono di questi uccelli o delle loro uova. La contaminazione sale lungo la catena alimentare, perciò gli orsi sono più a rischio. Infine, sono noti i danni sulla  salute umana: insorgenza di tumori, interferenza con il sistema endocrino, alterando la produzione di ormoni e compromettendo il sistema immunitario, rendendo gli organismi più vulnerabili alle malattie.
 
Questo fenomeno, definito “migrazione di inquinanti”, non è nuovo per la scienza, ma lo studio sui gabbiani tridattili fornisce ulteriori prove sul ruolo degli uccelli marini nella diffusione globale dei PFAS. Soprattutto anche esso rileva come ormai i Pfas rappresentino un problema globale per il pianeta.

2 + 2, microplastiche + pfas, non fa 4 ma 8.

Quando le microplastiche e i PFAS sono presenti contemporaneamente nell’acqua (il che avviene quasi sempre: i Pfas servono a realizzare le microplastiche), avviene una sinergia devastante. L’hanno sperimentato, utilizzando la pulce d’acqua (Daphnia magna) come animale sentinella, i ricercatori dell’Università di Birmingham, come illustrato su Environmental Pollution.
 
Le miscele, infatti, rallentano lo sviluppo sessuale, e l’accrescimento, diminuiscono la fertilità e causano aborti di nidiate, in misura più marcata nelle pulci d’acqua già esposte in passato agli stessi contaminanti. E, soprattutto, microplastiche e PFAS hanno un effetto sinergico e additivo in parametri fondamentali quali la crescita, la sopravvivenza e la riproduzione, e non si neutralizzano a vicenda in nessuno dei parametri controllati. I cambiamenti osservati, inoltre, sono sicuramente sostenuti da mutazioni genetiche.
Gli studi  degli scienziati cinesi, su “ScienceDirect” hanno evidenziato  le  combinazioni di additivi plastici per il loro assorbimento di Pfas, con i conseguenti effetti tossici sinergici, in particolare come tossicità riproduttiva per l’apparato femminile: interruzione del normale ciclo riproduttivo e della fertilità alterando la produzione ormonale e le mestruazioni,  effetto di disruption endocrina dei PFAS sull’endometrio mediato dal progesterone, interferenza con la normale segnalazione riproduttiva e ormonale e lesione dell’ovaio eccetera.  

Divieto uova in Francia. Avvelenate da Pfas. E in Italia?

In Francia le analisi le hanno fatte. In Italia no, ad accezione di Alessandria: dove appunto sono stati trovati i Pfas. Ma il sindaco non ha emesso divieto. I negozianti apporranno il cartello: qui non vendiamo prodotti a chilometro zero?
 
A Verneuil-en-Halatte e Villers-Saint-Paul  a Chemours produce e inquina Pfas quasi quanto la Solvay a Spinetta Marengo. Infatti,  le uova provenienti da piccoli pollai domestici, dove le galline possono razzolare liberamente e sono alimentate in modo ottimale, è scattata l’allerta e il consumo di uova da allevamenti casalinghi è ora vietato: i livelli di Pfas nel 66% dei campioni, quattro pollai su sei, sono fino a 20 volte superiori a quelli consentiti.
 
L’Agenzia Regionale della Salute (ARS) ha emesso un avviso urgente: i risultati confermano le preoccupazioni già avanzate dalla ONG Générations Futures.

Bonifica impossibile: Solvay inquina come prima, più di prima.

Solvay nel 2019 è stata condannata definitivamente dalla Cassazione a bonificare a Spinetta Marengo un mare di  cromo esavalente, pfas ecc.  Nel 2024 è di nuovo sotto  processo  per aver omesso la bonifica. Si difende dicendo che ci vogliono anni per farla. Avrebbe ragione, perché ci vogliono, ad esempio, non meno di quattro decenni per permettere a una falda acquifera contaminata di liberarsi dagli PFAS (sostanze perfluoro alchiliche), i contaminanti perenni e ubiquitari che hanno gravi conseguenze sulla salute umana e sull’ambiente. Ma avrebbe ragione se avesse smesso di inquinare, e invece inquina terreni, acque e atmosfera come prima e più di prima. Dunque ogni bonifica è impossibile  se non si fermano le produzioni. Inutile chiudere il tappo ad una vasca se si lascia il rubinetto aperto.  Bisogna chiudere, subito,  il “rubinetto” e, poi,  ci vogliono 40 anni per svuotare  la “vasca”.  
 
Un esempio ci viene dalla Carolina del Nord dove c’era un impianto di produzione di PFAS dell’azienda Fayetteville Works. I ricercatori dell’Università Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston hanno voluto verificare a che punto fossero le acque più profonde visto che, dal 2019, in teoria, la contaminazione è cessata. Per questo hanno raccolto una serie di campioni in due bacini vicini agli impianti e hanno messo a punto un modello per verificare non solo la situazione attuale, ma anche l’andamento della qualità delle acque nel tempo. Quindi hanno identificato e quantificato diversi tipi di PFAS e, in più, hanno utilizzato dei traccianti radioattivi che riescono a datare le acque, e hanno combinato i dati con quelli dei rilevamenti delle concentrazioni di PFAS in atmosfera, e con quelli della cinetica dei flussi delle acque. Così hanno ottenuto delle formule che permettono di stabilire quantitativamente e temporalmente la presenza di PFAS nelle acque. Come hanno poi riportato su Environmental Science & Technology, i risultati sono stati sconvolgenti, perché hanno mostrato che alcuni PFAS erano lì da almeno 43 anni, con concentrazioni pari a 229 e 498 nanogrammi per litro, mentre la soglia limite per l’acqua potabile per l’HFPO-DA stabilita dalla US Environmental Protection Agency (EPA) è di dieci nanogrammi per litro.