Presto per attribuire… il premio Nobel per la pace a Trump.

I precedenti di Donald Trump nel primo mandato della sua presidenza (2017-2021)
 
Ritiro degli Stati Uniti dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (UNESCO);
minacce contro gli stati membri che hanno votato a favore di risoluzioni anti-israeliane;
tagli ai fondi destinati a un’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, fondata 72 anni fa;
ritiro dall’accordo di Parigi del 2016 sui cambiamenti climatici, definiti una bufala;
 minaccia di “distruggere totalmente” uno stato membro delle Nazioni Unite, la Corea del Nord;
riduzione del  bilancio annuale delle Nazioni Unite di 285 milioni di dollari per il 2018-2019;
tentativo di  far saltare l’accordo nucleare iraniano del 2015.
 
Le promesse elettorali
Ritiro  dal trattato di Parigi sul clima;
drastico taglio del sostegno alla guerra in Ucraina;
definizione dell’ONU come un’istituzione corrotta, defunta e paralizzata;
notevole indebolimento delle Nazioni Unite e delle sue agenzie;
seguendo l’esempio di Israele, taglio di  tutti gli aiuti all’UNRWA nelle attuali terribili condizioni di Gaza;
opposizione anche al più piccolo collegamento con la Palestina;
forte sostegno filo-israeliano;
confronto bellicoso con l’Iran.

“No Meloni day” degli studenti.

Se non ci fossero stati gli “incidenti di Torino”, i giornali e TV telemeloni  non avrebbero speso una parola sulle quaranta manifestazioni pacifiche in tutta Italia per il “no Meloni day” degli studenti (clicca qui). Striscioni e slogan anche molto duri contro la capa del governo e contro il ministro Giuseppe Valditara, identificato con i modelli autoritari delle destre. E per i palestinesi di Gaza e contro Israele. “Soldi alla scuola e non alla guerra”; “Studenti in rivolta contro repressione, genocidio e merito”. “Contro un governo di fascisti e sionisti”. Vernice rossa sui cartelli con i volti di Meloni, di Valditara e della ministra dell’Università Anna Maria Bernini per rappresentare “le mani sporche di sangue per il genocidio del popolo palestinese”. Vernice bianca sull’asfalto per scrivere “Ministero della guerra”. Ma insomma niente di grave.
 
Naturalmente però si parla solo di Torino. Soprattutto per un fumogeno, forse un petardo, lanciato verso le forze dell’ordine in piazza Castello, davanti alla Prefettura: 15 poliziotti sono finiti all’ospedale Oftalmico con un’intossicazione, sembra da cloro. I manifestanti hanno bruciato un fantoccio del ministro Valditara, sono entrati nel Museo del Cinema nella Mole Antonelliana e sul balcone, al primo piano, hanno strappato il tricolore nazionale per sostituirlo con una bandiera palestinese. Altre “irruzioni” le hanno fatte nei fast food accusati di rapporti troppo stretti con Israele. Al Burger King davanti a Palazzo Nuovo, sede delle facoltà umanistiche, hanno imbrattato le vetrine: “Boycott”, “Non comprate qui sono sionisti”, “Burger King finanzia l’esercito israeliano”. Le immagini dei soldati israeliani che mangiano gli hamburger della catena statunitense fanno da mesi il giro del mondo sui social, del resto le ha diffuse la società stessa con messaggi inequivocabili: “Rafforziamo la nazione Israele, i nostri team stanno lavorando diligentemente per continuare a donare migliaia di pasti ai nostri eroi, condoglianze alle famiglie delle vittime”. Che non erano, con tutta evidenza, i civili di Gaza. C’è stato qualche spintonamento con i commessi che tentavano di liberare il locale, come al vicino McDonald’s dove qualche studente ha anche lanciato ai lavoratori i dolci presi da una vetrina. Tutto qui.

Analisi del genocidio.

L’ultimo Rapporto delle Nazioni Unite clicca qui racconta i progressi di Israele nella sua Campagna Genocida a Gaza. Israele è intenzionato, si legge, a espellere i palestinesi, ricolonizzare Gaza e sferrare un attacco decisivo contro la Cisgiordania.

Pro Palestina, pro o (piuttosto) contro Israele, purchè antirazzisti: l’unica razza detestabile è quella umana.

I video mostrano inseguimenti e pestaggi, tifosi del Maccabi Tel Aviv finiti a terra e presi a calci nelle strade di Amsterdam, aggressioni da parte di giovani per lo più arabi, almeno di origine, una trentina di contusi, cinque dimessi dagli ospedali,  fermati  62 loro  assalitori, dei quali alcuni trattenuti in stato di arresto. Ma anche gli ultras israeliani, hanno fatto la loro parte, fin dalla  sera prima come si vede in un video: uno di loro si arrampica su una palazzina occupata di Amsterdam per tirare giù una bandiera palestinese, che poi viene bruciata; in un altro gli ultrà nella metropolitana cantano slogan in cui dicono che “non servono scuole per Gaza perché non ci sono più bambini a Gaza”. Inneggiano al loro esercito: “Finisci il lavoro”. Altrettanto, Casa Pound si sono ripetuti a Bologna.
 
Dentro e fuori gli stadi in tutto il mondo ormai qualunque pretesto è buono per scatenare la violenza tra le opposte fazioni, che di sportivo non hanno nulla, giovani che vanno lì per sfogarsi, urlare, picchiare, neanche la guardano la partita.
 
Per i fatti di Amsterdan è risuonato il termine “antisemita”. E’ usato impropriamente, per ignoranza o malafede. Semiti è un termine che si riferisce a tutti quei popoli che parlano, o hanno parlato, lingue del ceppo semitico, cioè gli Arabi, gli Ebrei, gli Aramei, gli Assiri, i CananeoFenici, e dal punto di vista meramente linguistico anche gli Abissini. Semiti sono anche i Palestinesi. Ma il  termine è famoso, grazie al nazifascismo e con accezione razzista, riferito agli ebrei. In verità, oggi sarebbe più pertinente, definire le manifestazioni Pro Palestina come “antisioniste” o “antisraeliane” (Israele è lo stato più odiato nel mondo dopo gli Usa), piuttosto che “antisemite” o anche solo “antiebraiche”, considerato che gli ebrei israeliani sono minoranza nel mondo.   

Ebrei antirazzisti per la Palestina.

A differenza delle organizzazioni ebraiche che sostengono acriticamente lo Stato di Israele, al Parlamento di Bruxelles è stata presentata sulle orme della statunitense Jewish For Peace, la Rete ebraica europea per la Palestina, che ha visto l’adesione di vari gruppi rappresentanti organizzazioni antirazziste della società civile europea e palestinese, per esprimere “Not in my nime” l’opposizione al genocidio e alla pulizia etnica, all’occupazione coloniale e all’apartheid di Israele in Palestina. 

Promemoria per la sinistra (che la destra sa a memoria ma infrange) e a Mattarella.

Hanno liberamente manifestato in tutto il mondo, meno che in Italia (e Israele)
 
La Costituzione risponde alle due domande.
E’ lecito o no manifestare in piazza a favore della Palestina e/o contro Israele?
Sì, lo è: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero” (art. 21) e “i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi” (art. 17).
È lecito vietare una manifestazione a favore della Palestina?
No, non è lecito. Né pro o contro Palestina, Israele, Hamas, Hezbollah, Ucraina, Russia, Corea del Nord o del Sud,  Madagascar, Mussolini, Hitler, Stalin, Pol Pot, Kim Jong-un, i vaccini, i semafori, gli autovelox e quanto altro venga in mente.
No, non è lecito, quindi la Questura di Roma, il Viminale e il Tar Lazio che hanno vietato la marcia pro-Pal e anti-Israele hanno violato la Costituzione, perché per manifestare pro o contro qualsiasi causa, anche la più orrenda o strampalata, non occorre alcuna autorizzazione preventiva: “Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica” (art. 17).
E “comprovati” vuol dire comprovati, non inventati o immaginati o sognati in base al gradimento o allo sgradimento del governo di turno per gli slogan che si presume verranno espressi dai manifestanti.
Tutto questo, primaDurante e dopo la manifestazione. Se qualcuno commette reati (violenze, minacce, odio razziale, apologie o istigazioni di reato), lo si denuncia o – se previsto dalla legge – lo si arresta.

Razze inferiori.

Titolo e commento di Travaglio sono condivisibili fino alle virgole. 
Quando pensi che si sia toccato il fondo, leggi Repubblica e ti rincuori: c’è ancora molto da scendere, o da scavare. La rappresaglia iraniana dopo la strage israeliana del 31 luglio a Teheran per uccidere Haniyeh, capo politico di Hamas, non c’era stata, grazie alle pressioni di Usa e Russia. Ma dopo la strage israeliana di Beirut per uccidere anche Nasrallah, leader di Hezbollah, è arrivata: un morto (palestinese) e qualche ferito in Israele. Improvvisamente il direttore Molinari, che s’era distratto un attimo per un anno sui 42 mila morti ammazzati a Gaza e sulle migliaia di morti ammazzati (più un milione di profughi) in Libano, ha riscoperto il valore anche di una sola vita umana e ha titolato il suo editoriale: “Se la morte viene dal cielo”. I titoli con il “se” introducono un’ipotesi che spetta al lettore completare: qui ci sta un bel “…dipende da chi sgancia i missili dal cielo e da chi c’è sotto”.
Ma il meglio viene con il commento di Stefano Folli. Che, anziché denunciare l’impunità garantita dall’Occidente allo sterminatore Netanyahu, il doppio standard sulle sue innocenti invasioni e su quelle indecenti di Putin, l’afasia balbettante e inconcludente del Pd che vota la dichiarazione di guerra alla Russia e non osa proporre il ritiro dell’ambasciatore da Israele e qualche straccio di sanzione economica e militare, attacca i dem per la ragione opposta: sono troppo antisraeliani perché non chiedono di vietare il corteo pro Pal di Roma, già peraltro vietato dal governo (ma una vera opposizione il governo lo previene). Infatti Folli già sa che vi si invocherà “lo stesso proposito messo in atto 80 anni fa dai nazisti di Kappler” e si “inneggerà al terrorismo”. Quello arabo, s’intende, perché quello israeliano già lo giustifica il suo giornale. Del resto, come ebbero a dire B. e i neocon, quella araba è una civiltà inferiore. E non solo quella. Folli testuale: “Le migliaia di morti civili a Gaza sono una tragedia che scuote le coscienze. Ma le scuote solo in Occidente, dove esiste una civiltà giuridica e un senso di umanità”. E certo, tra i baluba del mondo arabo, ma anche del resto dell’Asia, in Africa, in Centro e Sud America, quando ammazzano decine di migliaia di civili, per metà bambini, si brinda a champagne. E le coscienze non si scuotono perché chi non ha la fortuna di stare in Occidente una coscienza non ce l’ha: e forse neppure un’anima. Di certo non ha senso di umanità: non si tratta di uomini, ma di bestie. Non resta che continuare a civilizzarli, per quel poco che capiscono, a suon di guerre e bombe, per esportare ovunque i nostri valori di democrazia, umanità e soprattutto civiltà giuridica. Se poi si ostinano a non imparare e organizzano una manifestazione, gliela vietiamo. Siamo o non siamo i buoni?
Marco Travaglio.

Chi può fermare il genocidio palestinese.

La sentenza storica della Corte internazionale di giustizia(ICJ) ha stabilito che “gli insediamenti israeliani in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, e il regime ad essi associato, sono stati creati e vengono mantenuti in violazione del diritto internazionale”. La corte ha stabilito che gli obblighi di Israele ai sensi del diritto internazionale includono “l’evacuazione di tutti i coloni dagli insediamenti esistenti” e il pagamento di una restituzione a tutti coloro che sono stati danneggiati dalla sua occupazione illegale.
 
Il presidente israeliano Netanyahu ha liquidato con aria sprezzante la sentenza della corte affermando che “la nazione ebraica non può essere un occupante nella propria terra”. Questa è esattamente la posizione che la corte aveva respinto, stabilendo che l‘invasione militare e l’occupazione dei Territori Palestinesi Occupati da parte di Israele nel 1967 non gli davano il diritto di insediare lì il proprio popolo, annettere quei territori o renderli parte di Israele.
 
Forse nessuna crisi incarna più chiaramente il fallimento dell’ONU e del sistema internazionale dell’occupazione israeliana dei territori palestinesi, invasi nel 1967 per 57 anni. Nello stesso momento in cui gli Stati Uniti hanno armato Israele fino ai denti, hanno posto il veto a 46 risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU che richiedevano a Israele di rispettare il diritto internazionale, chiedevano la fine dell’occupazione o la creazione di uno stato palestinese, o ritenevano Israele responsabile di crimini di guerra o di insediamenti illegali.
 
A fronte di questo stato di cose, alcuni ricercatori tentano una risposta alla domanda: Il mondo può salvare la Palestina dal genocidio israelo-americano? (clicca qui). 

Il mondo sull’orlo di un precipizio.

La marcia per la pace ad Assisi per riaffermare il no all’escalation.
Il mondo è sull’orlo di un precipizio. La guerra in Ucraina, con il rischio sempre più concreto di un’escalation nucleare, e la drammatica situazione a Gaza, dove la popolazione civile, in particolare bambini e donne, subisce indicibili sofferenze, ci ricordano l’urgenza che la voce della pace si alzi più forte che mai.

Una cronaca dello sterminio di Gaza.

“Tra cataste di cadaveri senza nome e un numero spaventoso di feriti senza speranza di ricevere cure adeguate per mancanza di mezzi. E i più piccoli in cerca di un perché che non c’è. Amputati in sale operatorie buie, senza elettricità, con antidolorifici e antibiotici centellinati. E non esiste un dopo.”
 
Una straordinaria testimonianza di Federica Jezzi, chirurgo pediatrico di Medici Senza Frontiere a Gaza. Clicca qui.  

Quando i morti in guerra diventano “troppi”.

Mezzo milione di bambini morti in Iraq nel ’96 non sono stati “troppi” per Madeleine Albright segretaria di stato Usa. 695 civili israeliani uccisi nel raid di Hamas il 7 ottobre sono considerati “troppi” da Benjamin Netanyahu primo ministro di Israele. 40mila palestinesi, tra cui 14mila bambini (metà non identificati), non sono considerati “troppi” da Netanyahu, anzi è “tremendamente positivo” il rapporto 40 a 1 fra vittime palestinesi e vittime israeliane. Sono considerati «far too many», davvero troppi, da Kamala Harris, candidata presidentessa degli Stati Uniti. 
 
Davvero troppi 40 mila (186mila secondo la rivista medica inglese Lancet)?  Esattamente a che punto diventano «troppe» le vittime civili? Quale sarebbe un numero non eccessivo di persone ammazzabili?  Qual sarebbe la soglia statistica oltre la quale i «danni collaterali» diventano crimini? 
 
Clicca qui una riflessione di Alessandro Portelli su Il Manifesto.

Riceviamo dalla Palestina “zeitun.info”.

 
 
 
 
 
 

La Corte dell’Aja: “Israele occupa illegalmente Gaza e Cisgiordania”.

Mappa della Grande Israele descritta nella Genesi 15:18-21
Il verdetto della Corte di giustizia dell’Onu ordina che Israele deve smantellarle le colonie ebraiche in Cisgiordania in quanto  illegali, e risarcire per l’occupazione. Per la Corte, infatti, “l’occupazione è de facto un’annessione attuata attraverso una sistematica discriminazione, segregazione e apartheid a danno dei palestinesi”.
 
Il verdetto non fa neppure notizia, non tanto perchè la sentenza è “consultiva e non vincolante”, ma perchè Israele non ha mai obbedito ad una risoluzione dell’Onu e neppure riconosce la Corte di giustizia internazionale. Anzi, ha reagito  rivendicando che la Cisgiordania altro non è che “la terra dei nostri antenati in Giudea e Samaria” e proponendosi perciò una annessione di diritto oltre all’attuale di fatto. Insomma una parte della “Grande Israele”.  

Una vittima in più: la libertà di stampa.

Anche i giornalisti italiani hanno ricevuto l’ordine di non parlare più di Gaza,  proprio nel momento in cui la rivista medica britannica “The Lancet” ha fatto una “stima conservativa” di 186.000 morti a Gaza, l’8 per cento della sua popolazione prebellica, e mentre Israele continua a bombardare le scuole dell’ONU che accolgono i rifugiati, 70 per cento delle quali sono state distrutte, sei solo negli ultimi dieci giorni, uccidendo centinaia di bambini. L’ordine proviene dalla democrazia americana che ha provveduto a silenziare tutte le voci dissenzienti. Già diversi mesi fa la CNN aveva provveduto a licenziare tutti i suoi conduttori arabi. Il New York Times, come tutte le grandi testate, ha ridotto il massacro in corso a una nota a piè di pagina. Lo scorso mese il Congresso americano ha persino approvato una norma che vieta al Dipartimento di stato di citare le statistiche sui decessi fornite dal Ministero della Salute di Gaza. Rashida Tlaib, unica rappresentante palestinese al Congresso, ha così commentato: “Stiamo osservando il governo di apartheid israeliano compiere un genocidio a Gaza in tempo reale e questa norma è un tentativo di nasconderlo”.

Aggiornamento del genocidio.

3 luglio 2024. Nel suo rapporto statistico quotidiano, il Ministero della Salute Palestinese  aggiorna lo sterminio di Gaza: nelle ultime 24 ore  Israele ha commesso 3 massacri contro famiglie nella Striscia di Gaza, provocando 28 morti  e 125 feriti arrivati​​negli ospedali nelle ultime 24 ore. Il bilancio del genocidio è salito a 37.953 morti  e 87.266 feriti dallo scorso 7 ottobre.

Bloccato il porto in solidarietà con la Palestina.

Varchi del porto bloccati e traffico in tilt a Genova per la manifestazione pro Palestina indetta da varie sigle tra cui i portuali del Calp, l’assemblea contro la guerra, i sindacati Si.Cobas e Usb e varie altre associazioni. Per i manifestanti il porto di Genova è il transito “da dove passano massicciamente le armi che contribuiscono al massacro del popolo palestinese” per cui “bloccando il porto di Genova, simbolicamente blocchiamo la guerra nella sua configurazione logistica”. 

Torino: gli studenti per la Palestina bloccano gli ingressi del rettorato del politecnico.

Continua  a Torino la protesta di studentesse e studenti pro Palestina che hanno bloccato gli ingressi del rettorato del Politecnico, dove si sarebbe dovuto tenere il Consiglio di amministrazione dell’ateneo dopo le elezioni della scorsa settimana.

Dagli studenti e studentesse: “Stamattina alle 8:30 abbiamo bloccato gli ingressi alle sedi amministrative del Politecnico, in occasione della riunione del CDA dell’Ateneo prevista per la tarda mattinata di oggi. 

Questa azione avviene in risposta all’incrinarsi delle trattative che da un paio di settimane erano state intavolate tra una delegazione di senatori e un gruppo di student3 occupanti. Ieri durante il quarto incontro del tavolo di trattativa abbiamo assistito ad una drastica operazione ricattatoria nei nostri confronti. I senatori ci hanno minacciat3, dicendoci di dover per forza sottostare a tutte le loro condizioni per avere in cambio la convocazione di un Senato Accademico straordinario; senza nemmeno darci la certezza che in tale sede sarebbe passata la mozione riscritta da loro, contenente dei punti già molto al ribasso rispetto alle nostre richieste. Di fatto non è stata una trattativa, ma una richiesta impositiva di liberazione degli spazi, senza nessuna concessione concreta dalla loro parte.

Durante il blocco di oggi, in cui chiediamo ancora una volta in modo pacifico una presa di posizione chiara da parte del Politecnico riguardo al genocidio e un chiaro segnale verso demilitarizzazione dei proprio accordi di ricerca, è avvenuta ancora una volta una smisurata risposta repressiva, in cui uno studente isolato è stato aggredito da quattro guardie private, strattonato e schiacciato contro la porta mentre cercava di allontanarsi.

Nonostante il persistente silenzio istituzionale, le intimidazioni e i ricatti, la nostra richiesta rimane chiara, vogliamo un senato accademico straordinario il prima possibile, in cui venga discussa la mozione con le nostre richieste”.

Liliana Segre senza parole o senza ragioni?

“Sono senza parole di fronte a gioventù ignorante della storia che va in università a gridare l’accusa di genocidio nei confronti  di Israele, è una bestemmia” : sostiene   la senatrice a vita Liliana Segre.

Invece per gli studenti, e non solo, con  genocidio, secondo la definizione adottata dall’ONU, si intendono «gli atti commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso». A parte 75 anni di atti di sterminio  in Palestina, replicano gli studenti, non bastano gli attuali numeri di morti (in maggioranza bambini) e di distruzioni nella strisciolina di Gaza? Quale è il numero minimo per Segre?

Le bandiere palestinesi alla Festa di Liberazione.

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Oggetto: Re: Ragazzi, pronti ad andare a combattere in Ucraina?

Ho letto con interesse quanto scritto, ma non mi è chiaro quale posto
hanno le bandiere palestinesi nel celebrare il 25 aprile dato che non
hanno nulla a che vedere con la liberazione dal nazifascismo e che,
strano non venga mai ricordato, gli arabi della Palestina mandataria
erano alleati di Hitler.
Mi chiedo se la strumentalizzazione politica annotata nell’ultima parte
dell’articolo debba essere vista proprio nella presenza palestinese che
con questa storia  non ha niente a che fare. Certo sarebbe interessante
coinvolgere popoli che stanno cercando l’indipendenza come i curdi, gli
armeni i saharawi, per farne solo alcuni esempi.
Disponibile al dialogo e al confronto, ringrazio per avermi permesso
questa riflessione.
Cordiali saluti.

Silvia Guetta PhD

Associate Professor in General and Social Pedagogy

– _Member of Italian Delegation IHRA_ (International Holocaust
Remembrance Alliance)

– _Director of Post-__Academic Course of Holocaust Education_ UNIFI

_- Associate Member of _ _UNESCO Transdisciplinary Chair in Human
Development and Culture of Peace- UNIFI_

– _Member of  Kindness Network – Municipality of Florence_

Department of Education, Languages, Intercultures, Literatures and
Psychology
University of Florence
via Laura, 48 – 50121 Florence (Italy)

L’Italia difende Israele.

Benchè la Procura  della Corte Penale Internazionale abbia chiesto il mandato di cattura per Netanyahu e Gallant contestando sia crimini di guerra, sia crimini contro l’umanità. L’atto di accusa evidenzia che le prove raccolte “dimostrano che Israele ha intenzionalmente e sistematicamente privato la popolazione civile in tutte le zone di Gaza di beni indispensabili alla sopravvivenza umana. 
 
Ciò è avvenuto attraverso l’imposizione di un assedio totale su Gaza che ha comportato la chiusura completa dei tre valichi di frontiera, Rafah, Kerem Shalom ed Erez, a partire dall’8 ottobre 2023 per periodi prolungati e poi limitando arbitrariamente il trasferimento di rifornimenti essenziali – compresi cibo e medicine – attraverso i valichi di frontiera dopo la loro riapertura. L’assedio ha incluso anche l’interruzione delle condutture idriche transfrontaliere da Israele a Gaza – la principale fonte di acqua potabile per i gazawi – per un periodo prolungato a partire dal 9 ottobre 2023, e l’interruzione e l’impedimento delle forniture di elettricità almeno dall’8 ottobre 2023 fino a oggi.
 
 Ciò è avvenuto insieme ad altri attacchi contro i civili, compresi quelli che facevano la fila per il cibo; all’ostruzione della consegna degli aiuti da parte delle agenzie umanitarie; agli attacchi e alle uccisioni di operatori umanitari, che hanno costretto molte agenzie a cessare o limitare le loro operazioni a Gaza. (…)
 
Questi atti sono stati commessi come parte di un piano comune per usare la fame come metodo di guerra e altri atti di violenza contro la popolazione civile di Gaza come mezzo per (…) punire collettivamente la popolazione civile di Gaza, percepita come una minaccia per Israele. Gli effetti dell’uso della fame come metodo di guerra, insieme ad altri attacchi e punizioni collettive contro la popolazione civile di Gaza, sono acuti, visibili e ampiamente noti (…) Tra questi, la malnutrizione, la disidratazione, le profonde sofferenze e il crescente numero di morti tra la popolazione palestinese, tra cui neonati, altri bambini e donne”. 
 
Israele, come tutti gli Stati, ha il diritto di agire per difendere la propria popolazione, ma, quali che siano gli obiettivi militari, conclude il Procuratore “i mezzi scelti da Israele – ovvero causare intenzionalmente morte, fame, grandi sofferenze e gravi lesioni al corpo o alla salute della popolazione civile – sono criminali.”

Amnesty International: genocidio di Israele.

Vengono definiti atti di genocidio quelli commessi con “l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo protetto”, come ad esempio un gruppo nazionale, etnico, religioso o razziale. Partendo da questa definizione, lo scorso 29 dicembre, il governo sudafricano ha presentato alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia un’istanza contro Israele, riguardante la presunta violazione da parte di Israele degli obblighi derivanti dalla Convenzione sulla prevenzione e repressione del delitto di genocidio, in reazione al violento attacco di Hamas del 7 ottobre 2023.

Tra le prove utilizzate dal Sudafrica per sostenere la denuncia presso la Corte ci sono anche i dati raccolti da Amnesty International, che ha documentato in modo schiacciante crimini di guerra e altri crimini di diritto internazionale commessi da Israele nei suoi intensi bombardamenti contro la Striscia di Gaza: attacchi diretti contro civili e obiettivi civili, attacchi indiscriminati e altri attacchi illegali, trasferimenti forzati di civili e punizioni collettive contro la popolazione civile. Nella denuncia del Sudafrica, vengono citate le ricerche di Amnesty International secondo le quali il sistema israeliano di dominazione e oppressione ai danni dei palestinesi costituisce apartheid. Il 26 gennaio, la Corte ha emesso delle misure cautelari, mentre ci vorrà molto più tempo per analizzare l’accusa di presunto genocidio commesso ai danni del popolo palestinese.

Con 15 voti a favore e due contrari, la Corte internazionale di giustizia ha stabilito sei misure cautelari, tra cui l’obbligo per Israele di astenersi da atti contemplati dalla Convenzione sul genocidio, di prevenire e punire l’incitamento diretto e pubblico al genocidio, nonchè di adottare misure immediate ed efficaci per garantire l’assistenza umanitaria ai civili nella Striscia di Gaza. In modo cruciale, la Corte ha anche ordinato a Israele di conservare le prove del genocidio e di presentare entro un mese una relazione dettagliata alla Corte su tutte le misure adottate in conformità con la sua disposizione. La decisione della Corte internazionale di giustizia di emanare misure cautelari in risposta alla denuncia di genocidio presentata dal Sudafrica contro Israele rappresenta un passo significativo che potrebbe contribuire a salvaguardare la popolazione palestinese nella Striscia di Gaza occupata, evitandole ulteriori sofferenze e danni irreparabili. Ma soprattutto dimostra che c’è ancora speranza per la giustizia internazionale.

Due terrorismi. Israele: terrorismo di stato, Hamas: terrorismo non statale.

Il Procuratore presso la Corte penale internazionale (CPI) chiede mandati di arresto per esponenti di spicco di Hamas e israeliani con l’accusa di crimini di guerra e crimini contro l’umanità per gli attacchi del 7 ottobre contro Israele e la successiva invasione  a Gaza. Rispettivamente: per il leader Yahya Sinwar, il capo politico Ismail Haniyeh e il leader del braccio armato Mohammed Diab Ibrahim al-Masri, meglio conosciuto come Mohammed Deif e per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Gallant.

Clicca qui un giudizio di Alessandro Orsini su Netanyahu, (accusato di “avere causato lo sterminio, di avere causato la fame come metodo di guerra, compresa la negazione di forniture di aiuti umanitari, di avere deliberatamente preso di mira i civili durante il conflitto”), nel quale sostiene che scaricare tutte le colpe su di lui è la strategia cognitiva autoassolutoria tipica dell’uomo eurocentrico. Le democrazie occidentali sono corresponsabili della tragedia dei palestinesi. Dire che Netanyahu ne è il solo responsabile è un’affermazione anti-scientifica”.

E’ fattibile la teoria “due popoli due stati”?

Se non impossibile, o poco probabile, comunque è realizzabile in tempi assai lontani, se riflettiamo (clicca qui) su questa ricostruzione storica del colonialismo anglo ebraico  in Palestina, sulla  ultra-decennale storia di oppressione economico-politica, che gli economisti critici chiamano “teoria della dipendenza” (lo “sviluppo” delle nazioni ricche deriva dall’attiva creazione di “sottosviluppo” in quelle povere), ovvero su come la struttura economica della periferia (Palestina) è stata trasformata per soddisfare le esigenze del centro (Israele). Prova ne sia il Pil di Israele: già il doppio di quello palestinese nel 1967, oltre 14 volte tanto nel 2022, in valori assoluti oggi è quasi 20 volte quello palestinese.

Anti israeliano cioè anti semita?

Alessandro Orsini, docente universitario, scrittore e opinionista per varie trasmissioni tv e giornali, già collaboratore dell’ambasciata di Israele,   è stato denunciato dal presidente della Comunità Ebraica di Roma, Victor Fadlun,  per istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa, con riferimento a una presunta “propaganda antisemita”. Essa consisterebbe in questi post sui social apertamente anti israeliani: “Lo sterminio di un popolo sarà sempre possibile fino a quando ci saranno persone come Netanyahu”; “Il governo Netanyahu è una delle dittature più brutali e razziste del mondo” (8 ottobre 2023); “Tra Netanyahu e Isis non esiste nessuna differenza. Entrambi massacrano i bambini di religione diversa (…)” (14 ottobre 2023); “Netanyahu è diventato ufficialmente il più grande massacratore di bambini innocenti dopo Hitler” (15 ottobre 2023); “Israele non è una democrazia. Nessuna democrazia include l’apartheid nel proprio sistema politico e il terrorismo di Stato” (19 ottobre 2023). Prima domanda: chi è contro Israele perché sarebbe antisemita (razzista anti ebraico)? Seconda domanda: perché i cittadini italiani di religione ebraica debbono sempre e comunque essere dalla parte di Israele?

Brigate Rosse infiltrate nelle università.

I movimenti studenteschi che protestano contro la guerra in Israele hanno legami con gli ex brigatisti rossi. E per di più si rischia di tornare alla violenza del terrorismo rosso (non quello nero, di matrice fascista) degli anni ‘70 e ‘80. Sono queste le tesi allarmanti sostenute in un documento riservato che l’Ufficio Studi di Fratelli d’Italia ha inviato martedì sera ai vertici e dirigenti del partito per dare la linea sulle proteste nel mondo studentesco contro la guerra nella Striscia di Gaza. Si parte dagli esempi delle ultime manifestazioni che hanno impedito al giornalista David Parenzo e al direttore di Repubblica Maurizio Molinari di partecipare a incontri nelle università. E adesso ci si mettono anche i Senati accademici.

Fame e malattie sono la bomba più atroce a Gaza.

Condizioni igienico-sanitarie disastrose, blocco e inefficienza degli aiuti: a Gaza l’emergenza epidemica si somma ai bombardamenti: 342 i medici feriti o addirittura uccisi, 100 quelli arrestati o fermati, 106 le ambulanze distrutte o danneggiate, il 16% per cento dei bambini soffre di grave malnutrizione (ne sarebbero morti già dieci secondo UNICEF perché non mangiano e non bevono), 265.000 affetti da infezioni all’apparato respiratorio, 70.000 da malattie della pelle, 210.000 casi di diarrea, 80.000 i casi di epatite A. Gaza da campo di concentramento a celo aperto è diventato un campo di sterminio con i mezzi più atroci. Clicca qui.

Gli artisti, studiosi, intellettuali non possono fare da spettatori bensì devono salire sul palco.

Gli artisti e le artiste, gli/le intellettuali, le associazioni culturali che firmano questa Lettera aperta (clicca qui), avvertono l’ineludibile bisogno di prendere posizione di fronte a quanto sta accadendo a Gaza e in tutta la Palestina, e di invitare alla mobilitazione, nelle forme e nei modi che decideremo insieme.

Voci dalla Palestina.

Riceviamo dalla Palestina e pubblichiamo.

L’aiuto umanitario è uno strumento genocida nelle mani di Israele e degli USA

L’amore ai tempi del genocidio

I medici di Gaza hanno riferito alla BBC che le truppe israeliane li hanno picchiati e umiliati dopo i raid in ospedale

Ecco cosa dice in realtà per conto dell’ONU Pramilla Patten nel suo rapporto sulle violenze sessuali del 7 ottobre

Una nuova ondata di avamposti dei coloni sta terrorizzando e cacciando i palestinesi dalle loro terre

Appello degli ebrei italiani contro la guerra di Netanyahu.

L’appello, firmato anche da Edith Bruck, non solo l’aperta condanna dei crimini di guerra compiuti da Israele in reazione al criminale pogrom di Hamas del 7 ottobre – di fatto un’atroce vendetta contro l’intera popolazione palestinese – ma ribadisce che essere contro questa guerra non può essere considerato una forma di antisemitismo pur in un contesto, compreso il nostro paese, dove l’antisemitismo cresce e trova nuova forza. Clicca qui.

Il collasso del sistema sanitario di Gaza come genocidio.

Alle voci che si alzano a livello internazionale per chiedere il cessate il fuoco e  la fine dell’offensiva militare israeliana nella Striscia di Gaza si unisce un nutrito team di medici e scienziati che hanno redatto un paper intitolato “Sul dovere internazionale di proteggere la popolazione di Gaza, come il collasso del sistema sanitario indica l’intenzione di genocidio”.
Il dettagliato documento è stato redatto a fine gennaio da una ventina di medici e ricercatori di calibro internazionale ed è attualmente in revisione al 
Journal of Public Health and Emergency, autorevole rivista scientifica specializzata in analisi su sanità pubblica ed emergenze sanitarie.

Nel testo gli autori affrontano la questione da un punto di vista strettamente sanitario, utilizzando il termine “genocidio” perché ritengono il deterioramento del sistema sanitario a Gaza non sia un “effetto collaterale”, ma un atto deliberato per infliggere danni massicci alla popolazione. Un attacco sistematico e intenzionale contro un gruppo di persone, e nel contesto specifico, attraverso la negazione dei diritti alla salute e alla sopravvivenza. “Attacchi militari e bombardamenti degli ospedali, assedio e occupazione delle strutture sanitarie, privazione di carburante e forniture mediche, cibo e acqua, uccisione del personale e detenzioni indiscriminate”. Nell’articolo scientifico la conta delle vittime degli attacchi al sistema sanitario al 22 gennaio: 374 tra medici e infermieri uccisi e 99 sanitari arrestati per non aver obbedito agli ordini di evacuazione. (continua)

Non dobbiamo chiamarlo genocidio?

“Genocidio” è la parola giusta per definire gli oltre già 25mila morti di Gaza? C’è chi difende Israele: “E solo una carneficina come le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, o la totale distruzione di tante  città tedesche durante la Seconda guerra mondiale. Semmai chiamiamoli crimini di guerra ma non genocidi”.

Ebbene, secondo la definizione ufficiale delle Nazioni Unite: «Per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale: (a) uccisione di membri del gruppo; (b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; (c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; (d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; (e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro».

Ebbene, in 75 anni Israele nei confronti dei palestinesi rientra di diritto in tutti questi atti. Invece per Israele la definizione “genocidio” può essere riferita in esclusiva  solo a “olocausto”: 6 milioni di ebrei pari ai due terzi degli ebrei d’Europa, ma non ai palestinesi finchè non raggiungono i 4 milioni di uccisi, feriti, miseri e affamati, espulsi, deportati, incarcerati. Eppure questa cifra è già stata raggiunta.  

A più di 1.000 bambini sono state amputate una o entrambe le gambe.

Più di 10 bambini al giorno, in media, hanno perso una o entrambe le gambe a Gaza dall’inizio del conflitto tre mesi fa. Lo dichiara Save the Children, l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini e garantire loro un futuro.

Dal 7 ottobre, secondo l’UNICEF, a più di 1.000 bambini sono state amputate una o entrambe le gambe. Molte di queste operazioni sui bambini sono state effettuate senza anestesia, a causa della paralisi del sistema sanitario nella Striscia causata dal conflitto e della grave carenza di medici e infermieri e di forniture mediche come anestetici e antibiotici, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

Solo 13 dei 36 ospedali di Gaza rimangono parzialmente funzionanti, ma operano in modo limitato e instabile a seconda della possibilità di accesso al carburante e alle forniture mediche di base in ogni giorno. Clicca qui.

Gesù Cristo sotto le macerie.

Se Gesù dovesse nascere oggi, nascerebbe sotto le macerie a Gaza.

Quando glorifichiamo l’orgoglio e la ricchezza, Gesù è sotto le macerie…

Quando ci affidiamo al potere, alla forza e alle armi, Gesù è sotto le macerie…

Quando giustifichiamo, razionalizziamo e teologizziamo il bombardamento dei bambini, Gesù è sotto le macerie…

Gesù è sotto le macerie. Questo è il suo presepe. È a casa con i marginalizzati, i sofferenti, gli oppressi e gli sfollati. Questo è il suo presepe.

Clicca qui il Rev. Dr. Munther Isaac Evangelical Lutheran Christmas Church Bethlehem.

Quest’anno nessun gesù bambino nasce a Betlemme.

Esperti Onu hanno lanciato un appello alla comunità internazionale affinché impedisca  il genocidio della popolazione palestinese. Studiosi dell’Olocausto e del genocidio hanno reiterato l’urgenza di un intervento per scongiurarne il pericolo. Raz Segal: è un caso da manuale di genocidio.  Ministro della Difesa Yoav Gallant: “Stiamo imponendo un assedio totale a Gaza. Niente elettricità, niente cibo, niente acqua, niente carburanti. Stiamo combattendo animali umani e agiremo di conseguenza”. Il generale Ghassan Alian: “Avete voluto l’inferno, avrete l’inferno”.

Clicca qui I bambini di Gaza

Il rapporto è intitolato “Diari di guerra: il genocidio israeliano in corso a Gaza”.

Fino alla data del 15 dicembre 2023, secondo un rapporto della ong Euro-Med Human Rights Monitor, con sede a Ginevra, Israele ha ucciso quasi 25.000 palestinesi, tra cui circa 10.000 bambini.

Precisamente  sono stati uccisi 24.711 palestinesi, il 92% civile negli attacchi aerei e di artiglieria, tra cui 9.643 bambini, 3.109 donne, 210 operatori sanitari e 83 giornalisti. Nel frattempo, 50.112 palestinesi sono rimasti feriti, centinaia dei quali gravemente; questo numero include migliaia di vittime che sono ancora bloccate sotto le macerie degli edifici, mentre altre centinaia non vengono conteggiate, ma probabilmente sono intrappolate sotto le macerie o ferite nelle strade.

Inoltre ci sono più di 1.850 milioni di sfollati nella Striscia di Gaza che rimangono senza un rifugio sicuro in condizioni disumane. 62.990 unità abitative sono state completamente distrutte, mentre altre 172.055 sono state parzialmente danneggiate. Tra le infrastrutture vitali, sono state distrutte   286 scuole, 1.356 strutture industriali, 124 strutture sanitarie, inclusi 22 ospedali,  142 moschee, 3 chiese e 140 addetti stampa.

Il massacro dei bambini.

Se interroghi Wikipedia quale è stato il il più grande massacro di bambini ti cita Babij Jar nei pressi della città ucraina di Kiev, sito di massacri ad opera dei nazisti e collaborazionisti ucraini ai danni della popolazione locale, il più noto quello compiuto tra il 29 e il 30 settembre 1941. Fu uno dei tre più grandi massacri della storia dell’Olocausto, superato solo dal massacro della operazione Erntefest in Polonia, nel 1943. Alla stessa domanda riferita a questo secolo, Wikipedia ancora non risponde, in attesa dei conteggi dalla Palestina.

L’appello per il cessate il fuoco in Palestina delle Ong italiane.

“La pausa umanitaria temporanea a Gaza è stata insufficiente, solo con un cessate il fuoco permanente sarà possibile raggiungere in piena sicurezza gli oltre 2 milioni di civili, assicurando beni e servizi essenziali e interventi salvavita”. È la richiesta delle Organizzazioni della società civile italiana impegnate da decenni sul campo in attività umanitarie, di cooperazione internazionale e di tutela dei diritti umani, firmatarie dell’appello internazionale “Cease Fire Now”, attualmente sottoscritto da oltre 700 organizzazioni di tutto il mondo e oltre un milione di cittadini. 

È possibile firmare la petizione globale “Cease Fire Now” su: https://t.ly/ceasefirenow

Organizzatrici dell’iniziativa: ActionAid Italia, Amnesty International Italia, Amref Italia, Azione contro la Fame Italia, Defence for Children International Italia, Fondazione L’Albero della Vita, Medici Senza Frontiere (MSF), Oxfam Italia, Save the Children Italia, SOS Villaggi dei Bambini, Terre Des Hommes Italia, VIS – Volontariato Internazionale per lo Sviluppo, WeWorld. Aderiscono inoltre le reti di organizzazioni: AOI, CINI. Ovviamente Movimento di lotta per la salute Maccacaro.