Proseguono le udienze al processo Pfas di Vicenza. Mentre al processo gemello di Alessandria associazioni e avvocati dovrebbero -senza nascondersi dietro il mignolo della Procura della Repubblica- sottoporsi ad un esame di coscienza (A fronte di un siffatto disastro sanitario ed ecologico, quanti ad Alessandria hanno la coscienza a posto?) dopo aver ascoltato le richieste di risarcimenti di Wwf, Medicina democratica, Italia Nostra, Isde, al processo Miteni di Vicenza. E precisamente 250mila euro ciascuno i 53 operai parti civili e 110mila euro per ciascuna organizzazione. Legambiente ha chiesto 330mila euro. Sconcertante confrontare Vicenza con Alessandria, dove Solvay offre
per uscire pulita dal processo- un patteggiamento a Comuni-Regione-Ministero, e dove avvocati stanno contrattando… 3.500 euro per ciascuna parte civile fisica.
Invece a Vicenza, non sono “le due ultime ruote del carro” come ad Alessandria, bensì sono 15 i manager della Miteni di Trissino, o a quest’ultima riconducibili, finiti alla sbarra (121 anni di carcere) per avvelenamento delle acque, disastro ambientale, gestione di rifiuti non autorizzata, inquinamento ambientale e reati fallimentari con l’aggravante della condotta dolosa: per consapevolezza e occultamento, insomma per “un crimine efferato, un crimine voluto”, come dovrebbe per Solvay di Alessandria e non è. Anzi, le parti civili venete hanno chiesto la condanna di tutti e quindici gli imputati, senza lo sconto assolutorio dei PM per 6 di essi.
Anzi, hanno inoltre chiesto di inviare alla Procura della repubblica gli atti che riguardano le condotte del medico aziendale, il professore Giovanni Costa -lo stesso di Spinetta Marengo- inserito in un disegno strategicamente inteso giustappunto “all’occultamento delle responsabilità aziendali”. Questo medico, infatti, in possesso di secretate analisi del sangue di Trissino (Miteni) e Spinetta (Ausimont), inviò nel 2001 le provette ai laboratori di 3M a Denver in Colorado e a Brema in Germania: tutte che superavano le soglie limite Pfas. Al punto che le Assicurazioni rifiutarono polizze per l’esposizione Pfas in quanto di “alto il rischio associato all’industria chimica, in termini di responsabilità civile, operai e ambiente”. Ma, fregandosene, Miteni e Ausimont, poi Solvay… aumentarono addirittura le produzioni, e fregandosene degli allarmi dell’EPA (Ente Protezione Ambientale) americana. Non solo, Costa nel 2014 su incarico di Solvay effettuò uno studio sui risultati delle campagne annuali di monitoraggio biologico nei lavoratori esposti a PFAS.
Infine, le richieste delle parti civili non istituzionali al processo di Vicenza sono chiare: la battaglia per l’acqua e per l’ambiente non può concludersi senza un completo ripristino della risorsa idrica. Il disastro ambientale non si è fermato con il termine dei capi d’imputazione del processo in corso, e chi ha inquinato deve assumersi la responsabilità di riparare il danno. La Procura è chiamata a intervenire per garantire giustizia e impedire che il problema venga lasciato irrisolto. Affiancandosi alle oltre 300 parti civili già costituite, infatti la società di servizio idrico integrato Viacqua ha ribadito che dopo il 2013 Mitsubishi Corporation e ICIG (ex Miteni) non hanno minimamente provveduto allabonifica dell’area contaminata dai Pfas: nelle falde e nel sangue di migliaia di cittadini tra Vicenza, Verona e Padova; anzi, è mancata l’interdizione dell’area dopo il fallimento di Miteni nel 2018.
Non sfugga che anche in Veneto, come in Piemonte, in palese contrasto con le parti civili che tutelano onestamente le Vittime persone fisiche, sono invece “compiacenti” le istituzioni accusate di omissioni e complicità: le richieste risarcitorie del ministero dell’Ambiente che si accontenta di 56 milioni di euro, della Regione Veneto, delle aziende sanitarie di Vicenza, Padova e Verona, del comune di Trissino, che hanno avanzato un conto di 20 milioni.
I processi di Vicenza e Alessandria sono fratelli ma non gemelli: hanno grosse differenze. Quello di Alessandria è il secondo perché Solvay di Spinetta Marengo, malgrado la sentenza in Cassazione ha continuato a inquinare come prima e più di prima con 21 cancerogeni fra cui i PFAS, e, invece di una conseguente pesante condanna per reiterato comportamento doloso e criminale, rischia addirittura di concludersi prima di iniziare con un assolutorio patteggiamento: un mercimonio di pochi centinaia di milioni di euro anziché miliardi.
A Vicenza, invece, una dignitosa Procura, nel processo che sta per concludersi, disastro ambientale e avvelenamento delle acque, ha chiesto la condanna per dolo, “consapevolezza di avere inquinato senza prendere contromisure”, di 9 amministratori e manager (Miteni, Mitsubishi, ICIG) che si sono succeduti nella gestione PFAS della Miteni di Trissino: la pena più pesante è di 17 anni e sei mesi, la più tenue di 4 anni di reclusione. In totale le richieste di condanna raggiungono i 121 anni e 6 mesi di reclusione.
Solvay Syensko, unica produttrice di Pfas in Italia, ha bilanci in attivo stratosferici, Miteni invece è fallita e senza soldi per i risarcimenti (con o senza coperture assicurative). In comune i due processi hanno lontane anni luce le bonifiche non solo dal completamento ma pure dal concepimento: suolo-acqua-aria di 21 cancerogeni per Spinetta e, per Trissino l’avvelenamento da Pfas della falda più grande d’Europa, in modo che i Pfas si sono trasferiti negli acquedotti finendo nei rubinetti delle case di decine di Comuni nelle province di Vicenza, Verona e Padova, coinvolgendo il sangue di 350mila persone, causando gravissime malattie e tumori: un’indagine epidemiologica ha quantificato in 4.000 le vittime in un arco di tempo di circa trent’anni.
Quali “bombe atomiche ad orologeria innescate” (definizione del pm Hans Roderich Blattner), il Veneto ha in comune con il Piemonte che rimane ammantata da un alone di ambigua omertà la catena delle responsabilità dei soggetti pubblici che avrebbero dovuto impedire che si materializzasse uno dei casi ambientali più gravi della storia recente del Vecchio continente.
A monte dei due processi epocali giganteggiano gli interessi in gioco. Sono colossali. I Pfas sono sostanze artificiali cruciali per una miriade di applicazioni: microprocessori e produzione bellica in primis. Scalfire gli interessi del complesso militare industriale è una sfida di non poco conto. In Italia la Solvay Syensko, unica produttrice di Pfas nello stabilimento di Spinetta Marengo, guida la lobby confindustriale che blocca una legge di messa al bando dei Pfas in produzione e consumo. In Europa può esistere una maggioranza a favore del divietototale, tuttavia la proposta di restrizione universale, avanzata da Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia, sta subendo un rallentamento inaccettabile a causa appunto delle lobby del settore chimico, che stanno investendo milioni per bloccare il divieto. L’esito dei due processi italiani diventa dunque cruciale.
Il 29 gennaio, la facciata metallica dell’edificio Berlaymont, sede della Commissione Europea, tra le bandiere europee, è stata illuminata da un messaggio in lettere bianche e gialle accompagnato da un teschio: “ Bando al PFAS adesso! ”. Il clamoroso messaggio ha fatto seguito… allo scarico di secchi di terra contaminata davanti al cancello di Chemours a Dordrecht (Paesi Bassi), all’aver distribuito birre contaminate da PFAS agli operai di una fabbrica chimica a Zwijndrecht (Belgio) ed essersi accampati davanti al tribunale durante il processo Miteni a Vicenza (Italia).
Dietro questo appello all’esecutivo europeo, con richiesta di incontro con Ursula von der Leyen, presidente della Commissione, ci sono due organizzazioni ambientaliste, European Environmental Bureau e WeMove Europe, alle quali hanno aderito rappresentanti delle popolazioni belga, olandese, francese e italiana colpite dall’inquinamento da PFAS. In un’indagine in quattro episodi pubblicata dal 14 al 17 gennaio 2025 dalla RTBF e dai suoi 28 partner del progetto Forever Lobbying , hanno rivelato il costo colossale del disinquinamento dei PFAS in Europa: tra 95 miliardi di euro e più di 2.000 miliardi di euro in Europa nel corso di 20 anni, a seconda dello scenario. Oppure 100 miliardi di euro all’anno “in perpetuo”. Insomma, fermare ora la produzione di Pfas, in Italia fermare Solvay, sarebbe la soluzione più conveniente.
Questa indagine ha anche messo in luce un’attività di lobbying su scala senza precedenti da parte dell’industria chimica, fino ai vertici dell’esecutivo europeo, per ostacolare un piano di messa al bando degli “inquinanti eterni”. In Italia, il Movimento di lotta per la salute Maccacaro ha denunciato (clicca https://www.rete-ambientalista.it/2025/01/18/2-000-miliardi-di-danni-la-lobby-dei-pfas-e-linciucione-italiano/) che la lobby delle aziende chimiche e industriali capitanata da Solvay è tutt’altro che rassegnata: grandi manovre sono in corso attorno ai processi Miteni di Vicenza e Solvay di Alessandria, con il sospetto che si voglia spegnerli, quando meno impacchettarli. In Veneto clicca(https://www.rete-ambientalista.it/2025/01/11/delitto-perfetto-2-vicenza/) l’allarmato documento diMamme No Pfas, Isde, Cillsa, Legambiente, Cgil Veneto e Rete dei comitatidenuncia l’esistenza di unsemiclandestino tavolo di autorità politiche, istituzionali e giudiziarie che tratta con le aziende imputate coprendone le responsabilità penali e risarcitorie In Piemonte: è in corso l’altro “inciucio” della tabula rasa dei patteggiamenti giudiziali a danno delle Vittime e della bonifica, (https://www.rete-ambientalista.it/2025/01/11/delitto-perfetto-2-alessandria/ ).
Rispetto a quando per la prima volta (1990) scrivemmo che lo stabilimento di Spinetta Marengo scaricava Pfas in Bormida. Rispetto a quando dai primi anni 2000 eravamo in pochi, se non i soli, a diffondere sui Pfas informazioni e documenti internazionali sempre più allarmanti, anche trasmettendoli -come Movimento di lotta per la salute Maccacaro– in forma di esposti (venti) alla Procura di Alessandria. Ebbene, rispetto a quei tempi, fino a quelli odierni, per tutti i quali ci appuntiamo la medaglietta di indefessa costanza, ebbene oggi si può affermare che la tragedia Pfas primeggia quasi in tutti gli organi di informazione, merito anche negli ultimissimi anni dell’accelerata mediatica della campagna di Greenpeace in Italia ( http://bit.ly/3FAJ7H0 ). Meglio tardi che mai. Ma non ancora a sufficienza.
Infatti, a tutt’oggi, le produzioni dei cancerogeni e tossici Pfas della Solvay non sono state fermate ad Alessandria e l’uso dei Pfas non è stato messo al bando in Italia.
Lo stallo malmostoso è il segno che la lobby delle aziende chimiche e industriali capitanata da Solvay è tutt’altro che rassegnata: grandi manovre sono in corso attorno ai processi Miteni di Vicenza e Solvay di Alessandria, con il sospetto che si voglia spegnerli, quando meno impacchettarli. In Veneto l’allarmato documento di Mamme No Pfas, Isde, Cillsa, Legambiente, Cgil Veneto e Rete dei comitati denuncia l’esistenza di unsemiclandestino tavolo di autorità politiche, istituzionali e giudiziarie che tratta con le aziende imputate coprendone le responsabilità penali e risarcitorie (https://www.rete-ambientalista.it/2025/01/11/delitto-perfetto-2-vicenza/). In Piemonte: l’altro “inciucio” della tabula rasa dei patteggiamenti giudiziali a danno delle Vittime e della bonifica, su cui hanno preso posizione Legambiente e Movimento di lotta per la salute Maccacaro (https://www.rete-ambientalista.it/2025/01/11/delitto-perfetto-2-alessandria/ ).
A lato di questo “inciucione”, la lobby è quanto mai aggressiva in campagne di pressione sui politici e di disinformazione atte a sviare l’attenzione pubblica dalle loro responsabilità verso i rischi per la salute e i relativi costi sociali (esemplari furono le campagne pro-tabacco). Lo scopo delle centinaia di lobbisti (addirittura Mario Draghi) è duplice: indebolire e affossare la proposta di Bruxelles di vietare la vendita e commercializzazione dei Pfas, e spostare il peso economicodei lavori di bonifica dalle aziende ai cittadini.
La multinazionale belga in Europa mantiene, con Ilham Kadri amministratrice delegata di Syensqo spin off di Solvay, un ruolo apicale nella “Campagna di disinformazione” dopo la richiesta di restrizione e divieto dei Pfas promossa nel 2023 dai cinque Stati europei (Danimarca, Germania, Norvegia, Olanda, Svezia). La campagna punta all’esclusione dal divieto dei fluoro polimeri: da considerarsi innocui prodotti finiti rispetto ai Pfas “storici” intermedi di produzione, e soprattutto da affermarsi essenziali per lo sviluppo della nuova tecnologia verde sponsorizzata dal Green Deal e finanziata in parte dal PNRR. Il nuovo fluoropolimero essenziale per l’idrogeno verde sarebbe “Aquivion, che dal 2025 a Spinetta noi produrremo senza utilizzo di pfas”. Falso. Aquivion rimane un Pfas e una volta riversato in ambiente il prodotto degrada in Pfas”: clicca qui.
Nella sua campagna, la lobby sta anche fronteggiando l’indagine interdisciplinare transfrontaliera coordinata da Le Monde,Forever Lobbying Project (FLP), che coinvolge 46 giornalisti di diverse redazioni , 18 esperti accademici e avvocati internazionali e 29 media partner in 16 Paesi. L’indagine “sulla peggiore crisi di inquinamento che l’umanità abbia dovuto affrontare”, utilizzando una metodologia articolata e basata su criteri scientifici, ha infatti portato a galla quanto costerà ripulire dal “veleno del secolo” 23.000 siti in Europa, tra cui quelli, come Alessandria e Vicenza, considerati “hotspot PFAS”, dove la contaminazione ha già dimostrato di aver raggiunto livelli particolarmente pericolosi per la salute delle popolazioni esposte. A prescindere dagli incalcolabili costi umani e sociali in morti e ammalati e dall’impatto dei PFAS sui nostri sistemi sanitari, l’indagine si è “limitata” a calcolare i costi per bonificare le falde acquifere e i terreni impregnati di PFAS.
La cifra è da capogiro, ed equivale a 2 trilioni e mezzo di euro, 2,5 mila miliardi di euro in un periodo di 20 anni, ovveroun costo annuale pari a 100 miliardi di euro. Per l’Italia, ad esempio, l’opera di pulizia costerebbe intorno a 12 miliardi di euro l’anno: stima assai per difetto se solo si guardano i costi depositati presso il tribunale di Vicenza. Cifre che comunque esploderebbero ulteriormente, in perpetuo, se non ci sarà lo stop immediato dei Pfas. Il nodo politico è: questi costi da chi verranno affrontati? dalle aziende che hanno messo in circolazione il PFAS, o dai cittadini tramite le proprie tasse?
Il principio sarebbe: chi inquina paga. Dunque il nodo è politico: mentre gli altri Paesi CEE chiedono a gran voce all’Agenzia Europea delle Sostanze Chimiche (ECHA) di mettere al bando i PFAS, in Italia la storica complicità politica e sindacale, delle istituzioni locali e governative, non ferma le produzioni Pfas della Solvay a Spinetta Marengo, primo indispensabile passo verso il divieto in Italia dell’uso di Pfas in tutte le manifatture, come fu (1992) per l’Eternit e l’amianto.
Lino Balza Movimento di lotta per la salute Maccacaro
Grandi manovre attorno ai processi di Vicenza e Alessandria; rispettivamente contro Miteni, (Mitsubishi e Icig) e contro Solvay, con il sospetto che si voglia spegnerli, quando meno impacchettarli.
A Vicenza il processo Miteni, sulle responsabilità del maxi inquinamento da Pfas in Veneto, arriva alle ultime battute: a febbraio inizieranno la requisitoria del pubblico ministero e le arringhe delle parti civili e delle difese. Incombe sempre l’ombra della prescrizione.
In questo contesto si colloca l’allarmato documento dei comitati e delle associazioni ambientaliste del Veneto. L’esplosiva presa di posizione denuncia l’esistenza di “Un tavolo di autorità politiche, istituzionali e giudiziarie che si sta occupando in modo alquanto misterioso della trattativa con le società coinvolte nel processo per disastro ambientale e inquinamento di acque”. E’ più di un sospetto, in quanto precisano:
“Da una audizione in Commissione parlamentare del procuratore Lino Giorgio Bruno è emersa l’esistenza di un tavolo, oltre quelli istituzionali, di cui non si conosce né la composizione, né i contenuti discussi, le priorità stabilite e i risultati conseguiti. Incontri promossi dal prefetto di Vicenza vedono la partecipazione dello stesso procuratore, di rappresentanti della Provincia, dei legali delle tre aziende imputate, nonché della Marzotto, la società che oltre quarant’anni fa diede vita alla Rimar, le cui ricerche portarono poi alla costituzione della Miteni, l’origine degli sversamenti chimici”.
L’accusa è precisa: “Riteniamo grave questo modo di agire connotato da poca trasparenza e scarsissima informazione”, che tende a coprire dodici anni di inefficienze e omissioni istituzionali, compresa la magistratura. L’opacità riguarda “lo stato della bonifica, sia per il terreno che per la falda”; fatto sta che “né la bonifica né la messa in sicurezza del sito sono cominciate”, mentre “non si ha notizia dell’avvio di un’indagine per omessa bonifica, che pur costituisce un reato gravemente punito dalla legge”.
Manca un aggiornamento da parte della Regione della mappa delle zone impattate, anche con campionamenti di terreni e degli alimenti. A loro volta, le indagini epidemiologiche sono ferme a uno studio di cinque anni fa e la mappa delle zone contaminate non viene aggiornata. Tant’è che “allo studio di mortalità nella popolazione veneta (4.000 decessi in più rispetto alla media di altre zone) non è stato dato seguito in termini di misure conseguenti”.
In definitiva, sarebbe un “inciucio”. “Dietro le quinte, un tavolo di autorità politiche, istituzionali e giudiziarie, senza trasparenza si sta occupando della trattativa con le società coinvolte, con l’effetto di avvolgere nel silenzio un disastro ambientale di portata epocale irrisolto”. Sapendo che ”l’inquinamento continua inesorabilmente a scendere verso valle e a propagarsi, bioaccumulandosi in ambiente e negli organismi”. In più, sarebbe un “inciucione” se dietro dietro le quinte, ci fosse lo zampino di Solvay, che ha tutto interesse di instaurare una “pax pfas” in Italia.
Altro che “dieta mediterranea”. Se vivi nella “zona rossa”, quella più contaminata da Pfas in Veneto, devi stare attento anche alle uova delle galline dietro casa e ai prodotti a chilometro zero. Un recente studio realizzato dai dottori Armando Olivieri e Mario Saugo, in collaborazione con il professor Hyeong-Moo Shin della Baylor University di Waco in Texas, ha dimostrato che, per la popolazione già con precedente presenza di Pfas nel sangue, il consumo di alimenti locali vegetali e animali è un’ulteriore accumulo di Pfas: “inquinanti eterni”. Insomma, i residenti veneti dovrebbero fare una dieta priva di prodotti locali per almeno 10-20 anni, mentre si curano le patologie contratte già prima della chiusura della Miteni di Trissino.
A maggior ragione, la dieta dovrebbe soprattutto essere d’obbligo per la popolazione di Alessandria, dove, nel sobborgo di Spinetta Marengo, la fabbrica Solvay, unica produttrice di Pfas in Italia, inquina da decenni terra-aria-acqua di Pfas e altri 20 veleni tossico cancerogeni.
Di quali patologie stiamo parlando?
L’esposizione ai PFAS comporta una regressione del metabolismo e del trasporto dei lipidi e di altri processi correlati allo sviluppo ovarico, alla produzione di estrogeni, all’ovulazione e al funzionamento fisiologico del sistema riproduttivo femminile; dunque i PFAS sono dannosi per la fertilità e lo sviluppo fetale.L’esposizione produce una sovraregolazione del gene ID1, coinvolto nello sviluppo di vari tipi di tumore, tra cui tiroide, leucemia, cancro al seno e al pancreas. Inoltre, dai dati emerge che gli individui affetti da neoplasie maligne dei tessuti linfatici ed ematopoietici, come milza, fegato e midollo osseo, hanno più probabilità di andare incontro a esiti fatali se esposti continuativamente a questi composti. L’esposizione provoca l’indebolimento delle reazioni immunitarie, della produzione di anticorpi e delle risposte alle vaccinazioni, osservato nei bambini esposti ai PFAS durante il periodo prenatale e postnatale; entrare in contatto con Pfas aumenta anche la concentrazione nel siero dei marcatori di stress infiammatorio e ossidativo, favorendo lo sviluppo di malattie sistemiche, come il danno epatico e le malattie cardiovascolari, tra cui l’aterosclerosi e gli eventi tromboembolici.
L’analisi complessiva di tutti gli studi condotti sul tema è stata realizzata dai ricercatori dell’Università di Bologna e dell’Università di Padova che hanno comparato i diversi lavori, pubblicando i risultati in un’analisi comparativa trascrizionale sulla rivista Toxics., con il titolo “Cross-Species Transcriptomics Analysis Highlights Conserved Molecular Responses to Per- and Polyfluoroalkyl Substances”. Questo studio del Dipartimento di farmacia e biotecnologie dell’Università di Bologna e del Dipartimento di scienze cardiache, toraciche, vascolari e sanità pubblica dell’Università di Padova, è la più ampia analisi della risposta trascrizionale ai PFAS mai realizzata.
La dieta per le popolazioni che sono o sono state direttamente colpite aria-acqua-suolo dalle aziende produttrici di Pfas (ieri Montedison e Miteni, oggi Solvay) deve essere addirittura drastica. Ma tutta la popolazione in generale deve stare attenta a cosa mangia, a come limitare dalla propria dieta questi interferenti endocrini associati a forme di tumore e infertilità.
Quali consigli?
Non acquistare alimenti dalle suddette zone piemontesi e venete, né dalle zone dove i fanghi di depurazione vengono usati come alternativa al fertilizzante sui terreni agricoli, dove l’acqua per le colture e per il bestiame può risultare contaminata, così come i mangimi per animali, né dalle zone con fabbriche che usano Pfas, esempio concerie.
In cucina non usare imballaggi e prodotti per la casa contenenti Pfas, a cominciare dagli utensili da cucina, primi fra tutti le padelle antiaderenti che non contengono l’etichetta “pfas free”. Per la scelta di cibi confezionati meglio preferire il vetro alla plastica.
Insomma, è possibile solo una dieta che riduca l’esposizione da Pfas. Fino a quando non intervenga una legge di messa al bando di produzione e uso di Pfas, a cominciare dalla chiusura delle uniche produzioni in Italia della Solvay di Spinetta Marengo.
“Seguo il caso PFAS da molti anni. Ho dimostrato, con documenti, perché è inquinata la città di Arzignano, che si trova dalla parte opposta della Valle dell’Agno, però stesso livello dell’Agno alla Barchesse di RIMAR/MITENI; che si trova a 110 metri sul livello del mare. Il caso inquinamento, si scopre anni dopo…” Continua qui la storia, che riceviamo da Vittorio Rizzoli.
Quando hai i soldi puoi permetterti di essere difeso in tribunale dai più costosi luminari sul mercato. Trovi anche chi è disposto a farti una perizia che affermi che la concentrazione di Pfas nell’acqua potabile accertata nella “zona rossa” (i Comuni più inquinati del Veneto) “è protettiva per la salute umana”. Dunque l’allarme è spropositato tanto più, hanno sostenuto, che non esiste nemmeno una correlazione certa tra Pfas e patologie mediche, come le malattie cardiovascolari, la malattia ischemica del cuore, le malattie cerebrovascolari, l’ipertensione arteriosa, l’ipertensione gravidica, il diabete e il cancro; al massimo hanno ammesso una limitata associazione tra Pfoa e tumori al rene e al testicolo.
Per arrivare a tanto, i due accademici, hanno abbattuto di 70 volte la presenza dei Pfas contenuti nell’acqua potabile e di conseguenza il rischio per la salute umana. E’ bastato, per sputtanarli, un avvocato con una calcolatrice in mano. E’ accaduto al processo in Corte di Assise di Vicenza. dove si è svolto il contro esame dei due illustri docenti universitari, entrambi citati dai difensori dei manager di Icig Miteni di Trissino, PaoloBoffetta, epidemiologo e ordinario di Medicina del Lavoro all’università di Bologna, e Claudio Colosio, docente all’Università statale di Milano. La firma di entrambi è apposta in calce a una “Relazione di consulenza tecnica” (81 pagine!) che ha per oggetto la “revisione critica dell’evidenza sugli effetti sulla salute esercitati da sostanze Pfas”.
Se non fosse stato scoperto, “l’errorino”, di scambiare la “dose massima consentita per ogni chilogrammo di peso” con “la dose massima consentita al giorno”, avrebbe voluto dimostrare come la quantità di Pfas ingeriti (con la sola acqua, ma ci sono anche quelli contenuti negli alimenti) nei Comuni della “zona rossa” fosse perfettamente compatibile con i limiti Efsa Autorità europea per la sicurezza alimentare. Invece hanno provato il contrario.
Solvay si è annotata i nomi di Boffetta e Colosio da cancellare dal carnet dei consulenti al processo di Alessandria.
Fiumi veneti sotto la lente di Legambiente, che come ogni anno ha dato vita alla campagna di monitoraggio Operazione fiumi. Nell’edizione 2024 la novità sono i Pfas. Preoccupante incremento dei valori di Pfoa e Pfos allo scarico sul Fratta Gorzone, a Cologna Veneta (Verona). Così anche a Padova come a Vicenza per lo stato del Bacchiglione e del canale Piovego. Per il Sile superamenti della media annua di Pfos presumibilmente derivante dallo scarico di depuratore e dalle attività aeroportuali.
Il contesto è che tra le province di Vicenza, Verona e Padova c’è uno dei più gravi casi di contaminazione di questi “inquinanti eterni” dell’intero continente europeo: per un avvelenamento della Miteni di Trissino che interessa oltre 180 km quadrati e 350mila persone che stanno subendo da anni l’emergenza sanitaria.
A sua volta, Greenpeace in 220 tappe sta monitorando i Pfas nelle acque potabili delle città italiane. Le quali in gran parte omettono i controlli fra le maglie sbrindellate della regolamentazione nazionale. La stessa Direttiva europea partirà già vecchia nel 2026 con limiti ormai superati dagli studi scientifici internazionali, tant’è che molte nazioni (ma non l’Italia!) hanno già introdotto soglie piùcautelative per la salute umana, in considerazione dell’aumento delle patologie cancerogene generate da questi interferenti endocrini: danni alla tiroide, al fegato, problemi alla fertilità, incremento dei livelli di acidi grassi nel nostro corpo, diabete gestazionale ecc.
Alla messa al bando dei Pfas (in parlamento giace da anni il Disegno di Legge Crucioli) si oppone la potente lobby capitanata da Solvay, unico produttore nazionale, che fa quadrato attorno a queste produzioni dai lauti profitti, pur consapevole che per la totalità del settore industriale in cui vengono impiegati i PFAS, esistono le alternative più sicure.
«Le contaminazioni storiche possono essere anche oggi fonti attive.Un terreno impregnato di Pfas può essere una fonte perenne». È quanto riportato nel copioso studio riassunto, in Corte d’assise di Vicenza, dagliingegneri chimici Maurizio Onofrio e Amedeo Zolla al processo che vede imputati 15 manager di Miteni, Mitsubishi Corporation e Icig, accusati a vario titolo di avvelenamento delle acque, disastro ambientaleinnominato, gestione di rifiuti non autorizzata, inquinamento ambientale e reati fallimentari. Per dare un ordine di grandezza, i consulenti hanno stabilito che «una goccia e mezza di contaminantedispersa, che è pari a un trentesimo di grammo, contamina con 30 nanogrammi un litro d’acqua». Le dichiarazioni dei due consulenti sono quanto mai attendibili, quali ammissioni, in quanto essi sono addirittura nominati dagli imputati.
Le loro drammatiche conclusioni valgono tanto per il polo chimico Miteni di Trissino che per quello Solvay di Spinetta Marengo, con l’aggravante per quest’ultimo che a Vicenza la fabbrica è chiusa mentre ad Alessandria quotidianamente sono aggiunti altri veleni in acqua e aria, che neppure la magistratura sembra determinata a fermare tramite la chiusura degli impianti.
Prima direttore operativo, poi addirittura amministratore delegato, Luigi Guarracino è stato responsabile degli scarichi idrici che da Trissino hanno contaminato i Comuni delle province di Vicenza, Verona e Padova. In concorso con altri 15 manager e dirigenti dell’ex Miteni, è accusato di disastro innominato nell’ambiente e avvelenamento delle acque, con tutte le migliaia di ammalati e morti annesse e connesse. In tribunale a Vicenza si è dichiarato innocente: “Sono a posto con la coscienza”. Che coscienza ha? Quando lo accusai pubblicamente di dolo per la Solvay di Spinetta Marengo, una quindicina di anni fa, mi scriveva: lei mi accusa, non mi conosce, prendiamo un caffè insieme. Ma mi faccia il piacere. Se l’era già cavata per il rotto della cuffia nel processo Solvay di Bussi. Poi finalmente ha subìto nel 2019 una condanna in Cassazione per il disastro Solvay di Spinetta Marengo. Una condanna lieve (1 anno e 8 mesi) perché non gli è stato riconosciuto il dolo. Il sottoscritto era invece d’accordo con la Procura generale e chiedeva 11 anni per dolo. Tratta da “Ambiente Delitto Perfetto, clicca qui lo stralcio della mia “Memoria di replica in Corte di assise d’Appello di Torino” riguardante appunto la posizione processuale di Luigi Guarracino.
Non sono bastati due volumi (disponibili a chi ne fa richiesta), stiamo scrivendo un terzo sempre con lo stesso titolo “AmbienteDelitto Perfetto”, aggiornato di disastri ambientali che hanno causato migliaia di vittime e sono finiti nelle aule dei tribunali, per sfociare però in archiviazioni, assoluzioni, prescrizioni. Delitti perfetti.
Aggiorneremo con i processi Pfas di Vicenza e Alessandria e dell’Ilva di Taranto. Nonché con un viaggio dal Nord al Sud nelle inchieste sull’ambiente svenduto, sulle quali ci anticipa questo servizio su Il Fatto Quotidiano (clicca qui) per quanto riguarda le ecatombi dell’Eternit, della Caffaro, della Miteni, delle Solvay, della discarica di Malagrotta, della Montedison di Bussi, di Montedison e Pertusola a Crotone, del quadrilatero della morte Priolo Augusta Melilli Siracusa, delle raffinerie Eni di Gela, delle raffinerie sarde Saras e Sarroch.
Avevamo avuto ragione nel 2015 a titolare “Ambiente Delitto Perfetto”(*) il nostro libro (Barbara Tartaglione e Lino Balza, prefazione di Giorgio Nebbia). “Perché”, come dimostrammo in due voluminosi volumi, “nelle aule giudiziarieimpuniti si consumano scandalizzanti delitti contro il bene comune per eccellenza , che è la salute ovvero l’ambiente”. Uno di questi è la recente sentenza Ilva. Forse il più grave, non solo perché assolve i responsabili di uno dei più efferati disastri eco sanitari perpetrati In Italia, ma soprattutto perché crea un pericolosissimo precedente: i processi non si potranno celebrare nei territori dove l’inquinamento è avvenuto, anzi, quelli già in corso e le relative condanne potranno essere annullati anni e anni dopo.
Con il cavillo che alcuni giudici vivessero negli stessi quartieri in cui abitano persone costituitesi parte civile o che ex magistrati fossero parti offese, la Corte d’assise d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha annullato le 3.700 pagine della sentenza del Tribunale di Taranto che, in dodici anni di udienze, perizie e testimonianze, avevano condannato i Riva a 22 e 20 anni, Niki Vendola a 3 anni e 6 mesi, eccetera per altri 23 imputati. Così il maxi-processo “Ambiente Svenduto” dovrà ripartire da zero e se ne occuperanno i magistrati di Potenza. Con un rischio enorme: la prescrizione rischia di cancellare buona parte dei reati. Per maggiori dettagli clicca qui.
Per scongiurare questo delitto, “E’ auspicabile che la decisione della Corte d’appello sia impugnata dalla Procura e portata in Cassazione”: così si esprime Alessandro Marescotti, presidente dell’associazione PeaceLink, (clicca qui), “evitando un allungamento dei tempi e un rischio concreto di prescrizione per reati gravissimi come la concussione e, probabilmente, l’omicidio colposo”.
Il pronunciamento favorevole della Cassazione eviterebbe presumibili rischi in altri processi di natura ambientale. Si pensi che gli avvocati difensori altrimenti chiederebbero che il processo Miteni sia spostato da Vicenza, o che la sentenza (prevista per la primavera) potrebbe essere annullata negli anni seguenti. Si pensi al processo Solvay di Alessandria che neppure potrebbe avviarsi a fine anno.
(*) “Ambiente Delitto Perfetto” è disponibile a chi ne fa richiesta.
La lunga mano dell’industria chimica sulla scienza, per meglio dire: sugli organismi internazionali preposti a definire regole e limiti, non molla la presa sui Pfas. La lobby chimica ha infiltrato nel Comitato dell’OMS Organizzazione Mondiale della Sanità ricercatori legati all’industria, cioè i propri consulenti prezzolati, allo scopo di definire per Pfoa e Pfos soglie limite nelle acque potabili (100 parti per trilione ptt) superiori agli stringenti limiti (4 parti per trilione) fissati da regolatori in Usa ed Eu (*). Lo scopo è di utilizzare (come sta facendo ad esempio Solvay in Cina) questi frivoli limiti nei permissivi paesi invia di sviluppo, piuttosto che affrontare negli Stati Uniti l’Ente Protezione Ambientale EPA che ha concluso che nessun livello di esposizione a Pfoa e Pfos nell’acqua potabile è sicuro. Insomma, come noi sosteniamo, il vero limite è zero.
E’ talmente enorme il conflitto di interesse, contro il quale è insorta la comunità scientifica indipendente, che l’OMS è stata costretta a costituire un nuovo Comitato con meno scienziati legati all’industria. Il quale rivedrà le linee guida che, ovviamente, saranno ricontestate dai consulenti delle lobbies chimiche, perché il mettere in discussione la scienza fa parte della loro strategia più ampia. Come ben utilizzano i loro avvocati nei processi Solvay ad Alessandria e Miteni a Vicenza.
Lino Balza Movimento di lotta per la salute Maccacaro.
(*) È stata appena pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea la Comunicazione della Commissione “Linee guida tecniche sui metodi d’analisi per il monitoraggio delle sostanze per- e polifluoro alchiliche (PFAS) nelle acque destinate al consumo umano” volte a imprimere un’accelerazione al monitoraggio dei PFAS con criteri omogenei nell’ambito dell’Unione Europea.
Di fronte alle Vittime: nell’aula del tribunale di Vicenza ha affermato con cipiglio che i Pfas non erano pericolosi, non meritevoli di allarme. Giovanni Costa era il medico aziendale della Miteni di Trissino e della Solvay di Spinetta Marengo, per le quali certificava le analisi del sangue degli operai, e li rassicurava dell’innocuità. Eppure essi avevano nel sangue valori che già nell’esposto del 2009 alla Procura della Repubblica di Alessandria denunciavo estremamente allarmanti secondo i noti parametri scientifici internazionali.
Rispetto a questa testimonianza che ha reso a difesa della Miteni e del proprio operato, Costa può essere accusato di aver svolto un ruolo cruciale nella storia del disastro ecosanitario dei Pfas in Italia.
Ne abbiamo abbondantemente trattato da pagina 329 primo volume del dossier “Pfas. Basta!” (disponibile a chi ne fa richiesta). Nello stralcio della Rete Ambientalista (https://www.rete-ambientalista.it/2022/09/28/due-medici-al-centro-dei-processi-pfas-di-vicenza-e-alessandria-giovanni-costa/ ) è ricostruito il ruolodi questo medico garante improbabile delle problematiche di rischio sanitario e ambientale collegato ai Pfas, e delle correlate azioni di prevenzione e limitazione, ovvero di divieto del loro uso.
In estrema sintesi. Costa rappresentava l’azienda tra i produttori mondiali di Pfas e anche nei meeting internazionali: aveva una conoscenza aggiornata e tempestiva su tutte le novità emerse nei decenni dalla comunità scientifica sui gravissimi rischi connessi ai Pfas. Conoscenza che i produttori appunto nascondevano. Infatti la “Commissione parlamentare di inchiesta sugli ecoreati” contesta diffusamente ogni attendibilità delle sue tranquillizzanti “relazioni cliniche” sullo stato di salute dei lavoratori, per concludere la censura: “In realtà, l’unico obiettivo delle varie relazioni del professor Costa sembra essere, per un verso, quello di dimostrare il rispetto dei valori di riferimento indicati, come invece si è visto molto elevati e, per altro verso, l’assenza di ‘significativo rischio di patologie correlate al lavoro’. Insomma, Costa si sarebbe sempre impegnato a coprire gli interessi aziendali di produrre ad ogni costo… umano.
Nel suddetto stralcio si può leggere che avevamo anticipatogià dal 2009 lacensura della “Commissione parlamentare di inchiesta sugli ecoreati”,denunciando ufficialmente “di occultare la gravità della condizione sanitaria dei lavoratori e dei cittadini ingannando l’ignavia dell’Arpa”. Lino Balzasfidò invano Giovanni Costa ad un confronto pubblico tramite il basilare documento depositato 15 anni fa in Procura articolato in 24 dettagliatissimi punti / capi di imputazione quanto meno morali”.
Così concludeva la ventiquattresima domanda: “24) In conclusione, dott. Costa, Lei è d’accordo con Solvay che rassicurante sostiene essere questa sostanza – che provoca tumori/ malformazioni/alterazioni sessuali – pressoché innocua o benefica all’uomo italiano, anzi associata a cromo esavalente e a una montagna di altri 20 veleni che colano nelle falde acquifere? Oppure ammette che, dopo gli studi internazionali, dopo i miliardi di risarcimenti, dopo che è messo al bando in tutto il mondo perché tossico/teratogeno/mutageno/cancerogeno, il PFOA deve essere finalmente, oggi, 2009, senza rinvii, eliminato dalle lavorazioni dello stabilimento di Spinetta Marengo che contaminano il sangue di lavoratori e cittadini, e avvelenano le falde e i fiumi Bormida, Tanaro e Po fino alla foce, e che debbono essere indennizzati i danni alle persone e all’ambiente? I lavoratori e i cittadini si costituiranno parti civili al processo”.
Purtroppo le Vittime non sono ancora state risarcite. Men che meno puniti i responsabili, oggi 2024.
Il Tar del Veneto ha sentenziato che ai costi di bonifica dell’inquinamento Pfas dovrà provvedere anche Mitsubishi, la più grande holding finanziaria del Giappone e una delle più importanti del mondo in numerosi settori industriali . Il colosso a Trissino (Vicenza) alla fine degli anni ottanta sostituì la Miteni e se ne liberò nel 2009 con una finta vendita dell’azienda a Ici (poi fallita nel 2013): “per la somma simbolica di 1 euro, premurandosi di escludere la garanzia del venditore in merito ad eventuali criticità ambientali”.
Mitsubishi si appellerà, perché coimputata nel processo penale che vede i dirigenti della Miteni e delle società a essa legate, addirittura attraverso una “condivisione delle medesime persone fisiche nelle cariche societarie”, accusati a vario titolo di avvelenamento di acque, inquinamento ambientale, disastro innominato aggravato e bancarotta fraudolenta, a seguito dell’inquinamento dalle sostanze perfluoroalchiliche di una vasta falda acquifera che nel 2013 ha scoperto coinvolti 350mila cittadini nelle aree di Vicenza, Verona e Padova, con campionamenti di valori elevati di Pfas nel sangue dei residenti, con dichiarazione nel 2018 dello stato di emergenza e divieto di consumo di acqua potabile e istituzione di una zona rossa in 30 comuni, dove lo studio degli scienziati dell’Università degli studi di Padova, pubblicato sulla rivista scientifica Enviromental Health, ha calcolato che tra il 1985 e il 2018 si è verificato un aumento di mortalità per malattie cardiovascolari e malattie neoplastiche maligne.
L’aggravante anche per Mitsubishi è “il comportamento gravemente omissivo nei confronti degli Enti competenti, impedendo di fatto di avviare il procedimento di messa in sicurezza e/o di bonifica che la normativa applicabile riconduce sotto il controllo delle Autorità pubbliche, procedimento che con un ragionevole grado di certezza avrebbe permesso sin da allora di eliminare, o quantomeno di limitare efficacemente gli effetti pregiudizievoli dell’inquinamento in atto, incidenti sull’ambiente e sulla salute di migliaia di persone”. I giudici sottolineano che si trattava di “composti da tempo sotto l’attenzione della comunità scientifica internazionale, e delle autorità di protezione ambientale”, poiché “sospettati di effetti dannosi sulla salute umana”, tra cui“alti livelli di colesterolo ed acido urico nel sangue, nonché una possibile correlazione con taluni tipi di cancro al fegato, al rene, al testicolo e alla tiroide”.
Mitsubishi sarà chiamata -quando e quanto?- alla bonifica, ma il risarcimento alle Vittime, morte e ammalate, non sarà riconosciuto come già accaduto nel processo Solvay ad Alessandria?
Importante, a complemento del Dossier “Pfas. Basta!” (già oltre 800 pagine) che il “Movimento di Lotta per la salute Maccacaro” sta componendo giorno per giorno dagli anni ’90, è l’inchiesta presentata da Greenpeace“La contaminazione da Pfas in Italia”, basata sui dati Ispra raccolti tra il 2019 e il 2022 (clicca qui https://ilmanifesto.it/mettere-al-bando-i-pfas-lappello-di-greenpeace-alla-camera ) che dimostra quella verità inquietante che abbiamo denunciato e documentato in questi anni: la contaminazione da Pfas è presente in tutte le Regioni dove sono state effettuate le discontinue e frammentarie indagini Arpa nei corpi idrici (fiumi, laghi e acque sotterranee). Ma è ancora più vergognoso che nella maggioranza delle Regioni siano stati niente affatto effettuati monitoraggi dalle Arpa, per responsabilità delle Amministrazioni locali in complicità con i Governi: tutti consapevoli – soprattutto dopo i casi emblematici della Miteni di Trissino e della Solvay di Spinetta Marengo- della portata dell’avvelenamento ambientale e sanitario dei Pfas nel mondo e in Italia.
Le malattie tiroidee derivano da fattori genetici e comportamentali ma anche ambientali. Infatti gli studi scientifici accendono di frequente i riflettori sul ruolo chiave che svolgono i Pfas sulle patologie connesse ad alterazioni ormonali: obesità, diabete, malattie della tiroide, ipotiroidismo giovanile, infertilità, osteoporosi ecc, oltre che nel cancro e in oltre 400 malattie rare. Cioè, i livelli degli ormoni oscillerebbero semplicemente in base all’età e al tipo di alimentazione, se, contro natura, non fossero aggrediti dall’avvelenamento da Pfas.
Per l’associazione tra Pfas e tumore della tiroide, in particolare il carcinoma papillare, è incontrovertibile lo studio caso-controllo multicentrico (Usa, Olanda, Israele), pubblicato nel 2023, e replicato dai ricercatori dell’Icahn Scool of Medicine at Mount Sinai di New York.
Questa è la situazione già ampiamente verificabile nei dati epidemiologici dei pazienti colpiti dall’avvelenamento da Pfas nelle aree venete e piemontesi ad opera rispettivamente della Miteni di Trissino e della Solvay di Spinetta Marengo.
L’occasione per focalizzare il ruolo dei Pfas sarà nel corso della “Settimana mondiale della tiroide” che si celebrerà a partire dal 20 maggio e si concluderà il 25 maggio, in occasione della “Giornata Mondiale della tiroide”.
L’iniziativa è patrocinata dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e promossa dalle principali società scientifiche endocrinologiche, mediche e chirurgiche, quali Associazione Italiana della Tiroide (AIT), Associazione Medici Endocrinologi (AME), Società Italiana di Endocrinologia (SIE), Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP), Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG), Società Italiana Unitaria di Endocrino Chirurgia (SIUEC), Associazione Italiana Medicina Nucleare (AIMN), European Thyroid Association (ETA), insieme a CAPE Comitato delle Associazioni dei Pazienti Endocrini e sostenuta con un contributo incondizionato da parte di Eisai, IBSA Farmaceutici e Merck Serono».
Zero in Piemonte, perchè la Regione -complice della Solvay di Spinetta Marengo– non li ha mai voluti conteggiare: non effettuando nessun monitoraggio del sangue della popolazione della “area rossa” dell’alessandrino e dunque lasciando scollegati gli eccessi di mortalità emersi dalle indagini epidemiologiche.
4mila in Veneto, secondo la ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Environmental Health condotta dal prof. Annibale Biggeri assieme al suo team dell’ Università di Padova, in collaborazione con il Registro Tumori dell’Emilia – Romagna, il Servizio Statistico dell’Istituto Superiore di Sanità, sulla mortalità da Pfas 1985-2018 della popolazione più colpita dalla Miteni di Trissino:30 comuni della cosiddetta “Area Rossa”, nelle province di Vicenza, Padova e Verona, dove le sostanze Pfas sono state rilevate in concentrazioni preoccupanti nelle acque superficiali, sotterranee e potabili, avvelenando circa 350mila persone.
In particolare è stata dimostrata un’associazione causale tra l’esposizione PFAS e rischio elevato di morte per malattie cardiovascolari, aumento del rischio di insorgenza di malattie tumorali al diminuire dell’età, tra cui cancro del rene e ai testicoli,Pfas dal sangue materno al feto durante la gravidanza e l’allattamento ecc. Lo studio conclude avvertendo: “Queste drammatiche evidenze scientifiche sottolineano che il Piano di Sorveglianza Sanitaria non basta: non esistono più scuse per ritardare ulteriormente l’avvio dello Studio di Coorte, deliberato dalla Regione del Veneto già nel 2016, ma mai iniziato.” (Piano di sorveglianza sanitario e Studio di coorte sono assenti nel vocabolario sanitario del Piemonte).
Infine, gli scienziati sono perentori: “Questo nuovo studio conferma ulteriormente il livello di tossicità di queste sostanze, che ormai sono presenti ovunque, dall’aria, all’acqua, a quello che mangiamo. Pertanto sosteniamo con forza la necessità di bandire la produzione e l’utilizzo delle Pfas, come intera classe si sostanze, a livello globale”.
Anche ipotizzando l’impraticabile (per scienza e costi), togliere i PFAS nel momento i cui è attinta l’acqua dal rubinetto non risolverebbe il problema della contaminazione globale: «Una volta rilasciati nell’ambiente, è incredibilmente difficile sbarazzarsene, se non impossibile» ha spiegato al New York Times David Andrews, scienziato dell’Environmental Working Group, organizzazione no-profit che si occupa di salute dell’uomo e del Pianeta. L’unica soluzione è non usarli all’origine, non produrli, non lavorarli, metterli al bando in tutto il mondo.
Non rappresentano, infatti, solo un immane inquinamento attorno ai siti di produzione (esempio Solvay di Spinetta Marengo o Miteni di Trissino), dove la loro presenza nell’acqua del rubinetto è già stata dimostrata, ma questi composti chimici industriali, resistenti ai maggiori processi naturali di degradazione e ormai onnipresenti nell’ambiente, stanno inquinando in modo pervasivo le fonti di acqua, inclusa quella potabile, anche in campioni idrici di falda o di superficie prelevati lontano dai siti notoriamente contaminati. La ricerca è stata pubblicata su Nature Geoscience.
La nuova analisi ha preso in considerazione circa 45.000 campioni di acqua raccolti e analizzati in quasi 300 studi precedenti sui PFAS condotti in varie parti del mondo (principalmente tra USA, Canada, Europa, Australia e la costa pacifica dell’Asia). Il 31% dei campioni di acqua di falda prelevati in siti che non si trovavano vicino a fonti note di contaminazione da PFAS è risultato comunque avere livelli di queste sostanze considerati “fuori soglia”, rispetto ai valori sicuri stabiliti dall’EPA, l’Agenzia per la Protezione Ambientale degli Stati Uniti. Lo stesso discorso è valso per il 16% dei campioni di acqua di superficie (fiumi, torrenti, laghi, stagni) testati.
L’inquinamento da Pfas è ormai pervasivo perché i Pfas, grazie alle loro formidabili proprietà idrorepellenti e oliorepellenti, sono ampiamente utilizzati nei prodotti industriali per aumentare la resistenza alle alte temperature, all’acqua e al grasso, e si trovano nei rivestimenti delle padelle antiaderenti, nel packaging di carta ad uso alimentare, in tappeti e prodotti di abbigliamento, nelle schiume antincendio, in vernici e pesticidi, cosmetici e prodotti farmaceutici eccetera; però, proprio per le loro caratteristiche chimiche permangono senza degradarsi nel suolo e nell’acqua, con devastanti effetti sulla salute: da alcuni tipi di tumori alle malattie della tiroide e del sistema endocrino, dall’ipertensione in gravidanza alle patologie dell’intestino.
Secondo il direttore Solvay di Spinetta Marengo, sedicente “esperto di economia circolare”, un po’ di C6O4 è ben tollerato dai testicoli. Più modestamente, si permette, al XVII Convegno di Medicina svoltosi nei giorni scorsi a Lecce, di esprimere parere contrario il professor Carlo Foresta, già ordinario di Endocrinologia all’Università di Padova: “Molte forme di inquinamento, soprattutto i PFAS, sono responsabili dell’aumento dei casi di tumori ai testicoli, e i dati scientifici ce lo dimostrano. Il tumore al testicolo è tra i primi 5 tumori in termini di frequenza, sul totale delle neoplasie incidenti per fascia di età. Nella fascia 0-49 anni, l’incidenza in Italia della neoplasia testicolare ha subito nell’ultimo anno un aumento del +2,6%, secondo i recenti dati dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica Aiom. Nel contesto regionale del Veneto l’incidenza del tumore testicolare è passata dal 3,8% del 1987 all’8% del 2017”. In Veneto è considerata responsabile Miteni, invece nessun sospetto su Solvay in Piemonte tant’è che l’assessore regionale alla Sanità, Luigi Genesio Icardi, laurea di economia e commercio, evita di effettuare screening per queste patologie, e può ben vantarsi di essere stato riconfermato per altri quattro anni nel Consiglio di Amministrazione dell’Istituto Superiore di Sanità, con decreto del ministro della Salute, Orazio Schillaci. Inspiegabilmente la Sanità è al centro delle manifestazioni di protesta in Italia.
A differenza delle omologhe piemontesi, Cisl Veneto, Cisl Vicenza e Femca Cisl Vicenza si sono costituite parte civile nel processo sull’inquinamento da Pfas provocato dal sito chimico della Miteni, nella zona industriale di Trissino nel Vicentino, che però ha interessato anche le reti idriche delle province di Verona e Padova. Clicca qui.
Quanti hanno seguito in questi venti anni il nostro Sito, ovvero i 40mila che ricevono la nostra mailing, non hanno appreso novità dalla puntata di Presa Diretta del 18 marzo su Rai 3, ma hanno senz’altro apprezzato il livello giornalistico e scientifico della trasmissione, la straordinaria capacità di analisi e di sintesi. Raccomandiamo assolutamente la visione di questa puntata di Presa Diretta (clicca qui) e siamo convinti che sarà accompagnata da una ulteriore puntata che si estenda al giacente disegno di legge per la messa al bando dei Pfas, che approfondisca i risvolti degli imminenti procedimenti giudiziari nonché le gravi responsabilità che sono poste in rilievo sul nostro dossier “Pfas. Basta!”
Il Dossier è una piccola enciclopedia scientifica che, in oltre 600 pagine,racconta anche la storia in Italia delle lotte contro gli inquinatori Solvay e Miteni, dalle denunce degli scarichi in Bormida degli anni ’90 fino ai processi 2024 ad Alessandria e Vicenza. Una lunga storia di mobilitazioni anche contro connivenze, complicità, corruzioni, ignavie di Comune, Provincia, Regione, Governo, Asl, Arpa, Sindacati, Magistratura e Giornali.
La lunga storia dei PFAS (PFOA e C6O4 e ADV) nelle Regioni italiane è tratta in breve da stralci dei libri “Ambiente Delitto Perfetto” (Barbara Tartaglione – Lino Balza, prefazione di Giorgio Nebbia) e “L’avventurosa storia del giornalismo di Lino Balza”, nonché del Sito “Rete Ambientalista Movimenti di lotta per la salute, l’ambiente, la pace e la nonviolenza” gestito dal “Movimento di lotta per la salute Giulio A. Maccacaro”. Il Dossier “Pfas. Basta!, è disponibile on line a chi ne fa richiesta.
Avevamo, anche come iscritti, stimolato più volte la CGIL (non solo di Alessandria) a occuparsi della catastrofe eco sanitaria della Solvay di Spinetta Marengo. Esempio clicca qui con lettera PEC al segretario generale della Camera del lavoro di Alessandria, Franco Armosino. L’invito pressante era di partecipare con Comitati e Associazioni alle azioni verso Solvay a tutela della salute e dei diritti dei lavoratori e dei cittadini.
Finalmente, stante CISL e UIL sempre assenti, la CGIL annuncia che chiederà di costituirsi parte civile nel prossimo processo-bis con l’ipotesi di reato di disastro ambientale colposo. Lo fa con molta prudenza: senza formulare precise accuse all’azienda ma specificando che rappresenterebbe “persone potenzialmente esposte a inquinanti antichi e recenti”. “Potenzialmente”: l’inquinamento (dai dati Arpa) e le morti e le malattie (dalle indagini epidemiologiche) non sono, per Armosino, certezze ma… ipotesi. Come non avesse neppure in mano le cartelle delle analisi dei lavoratori.
Tant’è che la CGIL di Alessandria, a differenza della consorella di Vicenza (per Miteni), si è ben guardata finora da aprire vertenze Inail e giudiziarie Solvay per ottenere risarcimenti per le morti e le malattie dei lavoratori dello stabilimento chimico di Spinetta Marengo. E non venga a raccontare che i risarcimenti verranno dal processo-bis: essendo anche esso circoscritto al reato di disastro ambientale ed escludendo i danni alle Vittime. O che “si apriranno benefici previdenziali”: bella consolazione.
Un serbatoio da 10mila metri cubi d’acqua libera da Pfas, 21 chilometri di nuovi acquedotti per portare acqua dal fiume Brenta e un esborso pari a 25 milioni di euro, per aggirarela falda di Almisano (in Comune di Lonigo): la più grande d’Europa, ma con la sua acqua contaminata da Pfas non più utilizzabile. Sono passati dieci anni alla prima denuncia all’autorità giudiziaria, tramite l’Arpav, a poche settimane dalla pubblicazione dello studio Cnr-Irsa che ha portato alla luce l’inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche, prima sconosciute, nei bacini fluviali di numerose regioni italiane.Dopo il completamento del Mosav, i filtri a carboni attivi rimarranno installati sui pozzi di emungimento. Oltre alle spese milionarie, delle quali si occupa il processo in corso al tribunale di Vicenza con imputati 15 manager Miteni e Mitsubishi, rimangono sul tappeto le questioni centrali: il filone sanitario per i cittadini, il cui sangue è contaminato, e il rischio connesso agli alimenti.
Alla vigilia del secondo processo contro Solvay, Greenpeace ammonisce “Non possiamo sempre sperare nella magistratura come garante di qualsiasi contenzioso. Se ci sono dati e numeri inequivocabili, il legislatore deve intervenire. Invece, rispetto al caso Pfas, la politica in questi anni ha deciso consapevolmente di non intervenire. Ma da che parte stanno le istituzioni, con le lobby industriali o con l’interesse pubblico?”. Giuseppe Ungherese, responsabile dell’associazione non mostra molta fiducia sull’esito dei procedimenti penali: né di Vicenza per la Miteni già iniziato né questo di Alessandria che, per le solite manovre dilatorie, stenta ad avviarsi davanti al GUP. Forse non parteciperà, forse opterà per azioni giudiziarie in sede civile. Infatti negli Stati Uniti c’è stata una lunga battaglia giudiziaria di cause civili che ha dato vita a risarcimenti impressionanti e indotto le aziende a cessare le produzioni.
Per i disastri eco sanitari le istituzioni sotto accusa sono quelle locali, Comuni e Regioni, mentre i governi sono rimasti preda delle lobby industriali; così il Disegno di Legge del senatore Crucioli, per la messa al bando dei Pfas in Italia giace sepolto in Parlamento.
Secondo l’inchiesta di “The forever pollution project” più di 17.000 siti in tutta Europa sono contaminati dai PFAS. In Italia sono stati trovati in tutte le Regioni, beninteso: in tutte le Regioni dove sono stati cercati.
Nord Italia:
Veneto, in particolare nelle province di Vicenza, Verona e Padova, dove si trovavano gli stabilimenti Miteni e Chemours, che producevano PFAS, ovvero attorno agli inceneritori.
Piemonte, nella zona di Alessandria, dove si è verificato il primo caso di inquinamento da PFAS in Italia e dove Solvay è l’unico produttore in Italia, nonché nel Torinese e in Valle Scrivia.
Lombardia, nelle province di Brescia e Bergamo, soprattutto in aree limitrofe ai fiumi Brembo e Serio.
in EmiliaRomagna, nelle province di Modena e Bologna, in particolare nella zona di Maranello.
in Friuli Venezia Giulia, nella provincia di Udine, in particolare nella zona di Codroipo.
Centro Italia:
in Toscana, nella provincia di Pisa, in particolare nella zona di Castelfranco di Sotto.
in Umbria, Marche (Mondavo) e Lazio.
in Campania ,nella provincia di Napoli, in particolare nella zona di Giugliano
in Puglia, nella provincia di Brindisi, in particolare nella zona di Torchiarolo.
in Sicilia, nella provincia di Siracusa, in particolare nella zona di Priolo Gargallo.
e in Sardegna, nella provincia di Cagliari, in particolare nella zona di Elmas.
Stefano Colosio se lo può permettere? Subentra come direttore a Andrea Diotto da poi che è imputato nel processo bis contro Solvay. Passeranno almeno cinque anni prima che sia imputato anche lui in un processo ter. Nel frattempo no, non può permettersi -neppure con quello stipendio- battutacce tipo: “Fa strano venire ancora additati come coloro che hanno messo in giro il Pfoa”. “Noi lo abbiamo utilizzato come tante aziende in Italia e all’estero, non è giusto che sia additata proprio Solvay”.
Colosio è grande e grosso: ha 53 anni e nel potente archivio aziendale si è letto quanto negli ultimi trenta anni si è scritto (ho scritto) sui Pfas e raccolto già nelle seicento pagine del Dossier“Pfas. Basta”. Ha letto che nel 1990 Balza denuncia gli scarichi in Bormida di Pfoa: sicché il direttore è rinviato a giudizio. Ha letto che nel 2002 la Cgil denuncia l’uso del Pfoa a Spinetta mentre già in Usa veniva abbandonato. Ha letto che nel 2007 lostudio Perforce dell’Università Stoccolma dichiara Solvay responsabile dello sversamento dei Pfas nel bacino del Po. Ha letto che nel 2008 Balza ha depositato il primo dei 20 esposti in cui si denunciano in uso non solo Pfoa ma anche gli altri Pfas -non autorizzati- cC6O4 e ADV, e che è contaminato il sangue dei lavoratori e dei cittadini. Ha letto che, dopo la chiusura definitiva del 2017della Miteni di Trissino, Solvay resta l’unica produttrice di Pfas in Italia, addirittura con il brevetto esclusivo C6O4.
Ha letto tutte le indagini epidemiologiche fino al 2019. Ha letto, anzi sta leggendo, che in acqua-aria- suolo l’Arpa rileva i valori oltre ogni limite di Pfas in tutta la Provincia. Sta leggendo non solo di Pfas ma anche il superamento sensibile dei limiti di Tetracloruro di Carbonio, Tricloroetilene, Triclorofluorometano, Cromo VI, Selenio Arsenico, Antimonio, Cloroformio ecc. Ma per qualche anno non se ne preoccupa, pensando allo stipendio e alla successiva carriera. Però, Colosio, non rischiare il ridicolo con certe battutacce da boomerang.
L’intensificazione della campagna nazionale di Greenpeace per la messa al bando dei Pfas, da noi iniziata vent’anni fa, inchioda inesorabile le responsabilità delle amministrazioni piemontesi a cominciare dalla Regione. Per decenni hanno chiuso occhi-bocca-orecchi sulla Solvay, sulpolo chimico di Spinetta Marengo, su Pfas e altri 20 inquinanti tossici cancerogeni in suolo-aria-acqua,sulle indagini ambientali Arpa, sulle almeno nove indagini epidemiologiche (l’ultima, del 2019), sull’indagine Pfas dell’Università di Liegi,sulle ispezioni ONU e del Parlamento,sui miei 20 esposti, sul processo penale fino alla Cassazione, sul processo Miteni in Veneto, sul disegno di legge parlamentare,sull’allarme Pfas in tanti Stati e altre Regioni italiane, sulla sterminata letteratura scientifica,sull’espandersi della divulgazione giornalistica alla quale abbiamo dato un incessante contributo.
Da venti anni la Regione Piemonte, subalterna con i sindaci alla multinazionale belga, si oppone alla nostra richiesta di monitoraggio ematico di massa della popolazione alessandrina, onde evitare l’esibizione di un gigantesco delitto sanitario: la prova regina, “la pistola fumante” che costringerebbe Solvay a quella fermata delle produzioni incriminate che spettava al sindaco quale massima autorità sanitaria locale. Oggi, ha avviato, obtorto collo, un mini monitoraggio del sangue ridicolizzato dalla spettacolare iniziativa di Greenpeace: un campione di studio diluito in un anno o due, limitato ad un centinaio di persone le più lontane possibile dall’epicentro urbano inquinato, sparse nelle campagne a decine di chilometri di distanza.
Insomma, il cosiddetto biomonitoraggio regionale altro non è che un goffo lento espediente teso a non dimostrare nulla: magari addirittura escludendo C6O4 e ADV tra i Pfas, cioè un “rallenty” utile alla giunta regionale per bypassare la scadenza elettorale ma soprattutto che serve strategicamente alla Solvay per prendere tempo per tirare a campare … e far tirare le cuoia alla gente. Nella strategia a medio termine di Solvay, apprendiamo alla viva voce di Marco Apostolo, Country Manager di Solvay-Syensqo in Italia, infatti, ci stanno una simulata fuoriuscita dai Pfas e alcuni snodi di carattere giuridico. Uno è il nuovo processo penale in coda alla sentenza di Cassazione, che prende avvio dal GUP il 4 marzo prossimo. L’altro è la partenza di cause civili e azioni collettive, anche inibitorie, con l’assistenza di un pool di legali di Alessandria e Torino.
Guardandoquesto video di Rai3 qualcuno potrebbe immaginare che sia stato girato quindici anni fa quando denunciai anche in magistratura che i Pfas della Solvay di Spinetta Marengo, tramite scarichi in aria-suolo-acqua, si accumulavano indistruttibili nelle falde acquifere e nel sangue dei lavoratori e dei cittadini di Alessandria.
Invece, nel 2024, si ascolta nel video un dirigente della Sanità del Piemonte affermare “quando sapremo se ci sono Pfas nel sangue, saranno prese delle misure di sanità pubblica”, anzi avanza già il dubbio che “le malattie non siano state contratte a Spinetta Marengo ma in altre sedi di lavoro”. Sembra uno che, malgrado l’età, negli ultimi 20 anni non abbia mai sentito parlare del polo chimico spinettese, dei Pfas e degli altri 20 inquinanti tossici cancerogeni, né delle indagini ambientali Arpa, delle almeno nove indagini epidemiologiche (l’ultima, del 2019, è citata dall’ex assessore), né dell’indagine dell’Università di Liegi, delle ispezioni ONU e del Parlamento, né dei miei 20 esposti, del processo penale fino alla Cassazione, del caso Miteni, né dell’allarme Pfas nelle Nazioni mondiali e nelle Regioni italiane, della sterminata letteratura scientifica, dell’espandersi della divulgazione giornalistica… ormai fin anche su Topolino.
O lo è, oppure lo fa. Lo fa, lo fa: perché già mette le mani avanti: è tutto da dimostrare che “le malattie siano state contratte a Spinetta Marengo oppure in altre sedi di lavoro”. Mica vogliamo incolpare Solvay. Lofa, lo fa. E’ da venti anni che la Regione Piemonte, subalterna con i sindaci alla multinazionale belga, si oppone alla nostra richiesta di monitoraggio ematico di massa della popolazione alessandrina, onde evitare l’esibizione di un gigantesco delitto sanitario: la prova regina, “la pistola fumante” che costringerebbe Solvay a quella fermata delle produzioni incriminate che spettava al sindaco quale massima autorità sanitaria locale. L’avvio, obtorto collo, di un mini monitoraggio del sangue -un centinaio di persone discoste dall’epicentro urbano inquinato- è un altro lento espediente: “rallenty” utile alla giunta regionale per bypassare la scadenza elettorale ma soprattutto che serve strategicamente alla Solvay per prendere tempo per tirare a campare … e far tirare le cuoia alla gente. (clicca qui).
Nella strategia a medio termine di Solvay ci stanno una simulata fuoriuscita dai Pfas e alcuni snodi di carattere giuridico. Uno è il nuovo processo penale in coda alla sentenza di Cassazione, che prende avvio dal GUP il 4 marzo prossimo. L’altro è la partenza di cause civili e azioni collettive, anche inibitorie, con l’assistenza di un pool di legali di Alessandria e Torino. Queste azioni stanno dimostrando una efficacia sottovalutata in passato. Infatti, quando si trattava di reati ambientali e sanitari, gli avvocati in Italia non andavano oltre le cause in sede penale (peraltro con deboli benefici per l’ambiente), a differenza di altri Paesi, soprattutto degli Stati Uniti dove il fenomeno delle “class actions” costituisce uno dei punti fondamentali del sistema processuale perché fornisce valide forme di tutela alle varie situazioni a rilevanza sovra individuale.
Alle azioni collettive, alla class action, sollecitava il procuratore generale della Suprema Corte di Cassazione: «Mi auguro che seguano centinaia, migliaia di cause civili per toccare questa gente nel portafoglio”.
Non pare certo che ad Alessandria i sindacati in rappresentanza dei lavoratori si costituiranno parte offesa nell’imminente procedimento penale contro Solvay di Spinetta Marengo. Neppure è probabile che avviino in sede civile cause per il risarcimento dei danni ai dipendenti e ai pensionati, come invece ha fatto la CGIL a Vicenza nei confronti della Miteni di Trissino. Anzi, non risulta che, quanto meno, abbiano aperto un contenzioso nei confronti dell’Inail.
Eppure, per la prima volta in Italia, l’Inail ha accolto la richiesta di riconoscimento di malattia professionale per 19 lavoratori della Miteni, che lavorarono a stretto contatto con i Pfas. Il bio-accumulo di Pfas nel sangue dei lavoratori ha determinato un danno riconosciuto del 2%, che non dà diritto a risarcimenti, ma che stabilisce un precedente importante riconoscendo il rischio e la nocività della presenza delle sostanze derivate dal fluoro nell’organismo, potenziali causa di patologie correlate.
Eppure non abbiamo registrato una presa di posizione dei sindacati all’invito di partecipare con Associazioni e Comitati alle azioni verso Solvay a tutela della salute e dei diritti dei lavoratori e dei cittadini. Attendiamo replica fattuale (Cisl e Uil non avevano mai risposto in precedenza) alla lettera (PEC 20/4/23) al segretario della Camera del lavoro di Alessandria, che qui riproduciamo.
Appena espletata l’udienza del Gup, in Corte di Assise di Alessandria, di fronte abbiamo il professor Philippe Grandjean, considerato uno dei massimi esperti di Pfas a livello mondiale di sostanze perfluoroalchiliche e consulente delle parti civili al processo di Vicenza contro Miteni, e il professor Enrico Pira, arruolato consulente permanente a difesa dei maggiori gruppi industriali italiani imputati di inquinamento.
La conclusione della corposa relazione di Grandjean per Alessandria non può che ricalcare quella depositata a Vicenza: “Esiste una documentazione sostanziale che dimostra una chiara associazione tra esposizione a Pfas ed effetti avversi sulla salute umana nella popolazione generale, soprattutto a livelli elevati come quelli osservati nella zona”.
Pira: “Tra le diverse agenzie internazionali che si occupano di salute umana ci sono discrasie nelle conclusioni”. Grandjean: “Ribadisco: il Pfoa è tossico quanto la diossina che è il composto più tossico realizzato dall’uomo”. Danni al sistema immunitario, tossicità epatica, anomalie riproduttive, disturbi endocrini e anomalie metaboliche, malattie cardiovascolari e aumento del rischio di alcuni tumori e aumento della mortalità: sono le patologie indicate nella relazione di Grandjéan e associate alle esposizioni di Pfas. Pira:“Documenti di Efsa e agenzie Usa in merito al rapporto esposizione Pfas e conseguenze sulla salute e su vari temi sono arrivate a conclusioniinterlocutorie, scarse certezze, prove insufficienti o bisogno di ulteriori approfondimenti”.Grandjean: “Che vi siano ulteriori approfondimenti non vi è dubbio. Ad alcuni lavori ho partecipato anch’io, come ne sono attesi ulteriori per il passare del tempo, ma confermo nella sua interezza la mia relazione”.
La perentorietà di Grandjean deriva dal fatto che per oltre trent’anni è stato consulente in tossicologia per il Ministero della Salute danese, ha fatto parte anche del Comitato scientifico dell’Agenzia Europea per l’ambiente e del gruppo di esperti sui contaminanti dell’Agenzia Europea per la sicurezza alimentare. A tagliare la testa al toro, Grandjean mostra a Pira le conclusioni definitive dell’ Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) altrettanto perentorie e definitive: “Il Pfoa è sicuramente cancerogeno per l’uomo e tossico per l’ambiente”. Ora a Pira resta da dimostrare che i fratelli del Pfoa, ADV e C6O4 brevetto esclusivo della Solvay di Spinetta Marengo, sparsi col Pfoa nei Comuni di Alessandria e limitrofi, non sono tossici e cancerogeni (come sostenuto per decenni a favore dello stesso Pfoa).
Sulla richiesta di messa al bando a livello mondiale delle sostanze chimiche Pfas, nella sala del consiglio comunale di Capannori, iniziativa pubblica organizzata dall’associazione Senza Confini con Tommaso Pianigada e di Greenpeace con il responsabile nazionale Giuseppe Ungherese, e la partecipazione del sindaco e presidente della provincia di Lucca Luca Menesini .
In Italia non esiste una legge che ne vieti la produzione e l’utilizzo. Il Disegno di Legge dell’ex senatoreMattia Crucioli giace in Parlamento. E fermamente osteggiato dalla Confindustria perchè detta “Norme per cessazione della produzione e dell’impiego dei Pfas”. Insomma li mette al bando in Italia.Vieta la produzione, l’uso e la commercializzazione di PFAS o di prodotti contenenti PFAS, ne disciplina la riconversione produttiva e le misure di bonifica e di controllo. Insomma assumele istanze di tutti i Movimenti, Associazioni e Comitati, che da anni si battono per eliminare questi cancerogeni bioaccumulabili e persistenti, praticamente indistruttibili, dalle acque, dall’aria, dagli alimenti, insomma dal sangue dei lavoratori e dei cittadini altrimenti ammalati e uccisi.
I primi beneficiari di questa legge sarebbero le popolazioni toscane e venete (concerie ed ex Miteni di Trissino), lombarde (Solvay di Bollate) e piemontesi (Solvay di Spinetta Marengo). D’altronde gli scarichi della Solvay in Bormida raggiungono la foce del Po. Ma ormai, come abbiamo ripetutamente documentato, in tutte le Regioni italiane, dove si sono mosse le Arpa, è dimostrato che la calamità mondiale dei Pfas è una questione nazionale.
Con la nuova legge Crucioli sarebbe ancor più palese l’inammissibile alibi degli omissivi e complici Comune, Provincia e Regione, che si nascondono dietro il dito dell’assenza di limiti nazionali: sono fuorilegge al pari dell’azienda!
Abbassamento della risposta immunitaria ai vaccini e maggior rischio di contrarre patologie tumorali per i residenti nei Comuni della zona rossa, quelli che si ritrovano nel sangue concentrazioni più alte di Pfas. Due temi già trattati nel corso del processo in svolgimento in Corte d’assise a Vicenza che vede imputati 15 manager di Miteni, Icig e Mitsubishi Corporation, accusati a vario titolo di avvelenamento delle acque, disastro ambientale innominato, gestione di rifiuti non autorizzata, inquinamento ambientale e reati fallimentari. Sono stati ulteriormente dettagliati da Annibale Biggeri, professore ordinario di statistica medica all’università di Padova.
Due gli studi di riferimento. Il primo, finanziato dall’università, realizzato con la società per l’epidemiologia e prevenzione “Maccacaro” per l’Istituto superiore della sanità, ha indagato la mortalità inerente il Covid-19, che nella zona rossa è risultata superiore alle medie nazionali. Il secondo studio, commissionato dalla Regione e condotto per l’università di Padova, ha analizzato il tasso di mortalità nelle aree colpite dagli sversamenti di Miteni: in pratica un morto in eccesso ogni tre giorni, in particolare patologie oncologiche a reni e testicoli.
A loro volta, hanno testimoniato il prof. Adriano Zamperini, ordinario di psicologia sociale all’università di Padova, che ha relazionato sulle ricadute psicosociali tra la popolazione in zona rossa e arancione, e Francesco Bertola, presidente di Isde-Medici per l’ambiente di Vicenza sull’infertilità nei soggetti contaminati
Ogni anno, da sei anni, coordinato da Donata Albiero, il Gruppo educativo Zero PFAS del Veneto – costola del grande Movimento No PFAS – va a parlare ai giovani, entrando letteralmente nelle scuole, per offrire un vero e proprio percorso pedagogico “One health. Pfas inquinanti per sempre” sul più grande inquinamento da PFAS d’Europa. 7mila gli studenti veneti incontrati, 32 le scuole e 4 le Province attraversate. Le persone avvelenate da Pfas nella zona rossa del Veneto sono ormai decine di migliaia e oltre l’80% dei bambini veneti ha quantità di PFAS nel sangue superiori a quelle rilevate nelle popolazioni esposte a contaminazione di fondo. Presero consapevolezza dell’inquinamento Miteni solo nel 2013.
Che “i Pfas sono come l’amianto” è un tormentone che chi scrive ripete da anni. Ha prodotto vasta eco tale affermazione resa dal supertestimone al processo di Vicenza contro Miteni. Infatti Philippe Grandjean è uno dei maggiori esperti mondiali di Pfas: a capo dell’Unità di ricerca sulla medicina ambientale presso l’Università della Danimarca meridionale e professore aggiunto di salute ambientale presso la Harvard School of Public Health, co-fondatore della rivista Environmental Health e consulente per il Consiglio nazionale della sanità in Danimarca.
Grandjean ha spiegato che le aziende sapevano e nascondevano la pericolosità dei Pfas immessi nell’ambiente: gli studi sui rischi da esposizione prolungata erano noti da decenni. Dunque Solvay e Miteni dovrebbero essere accusati del reato di dolo, ma così non è nei processi di Alessandria e Vicenza. Lo scienziato non ha dubbi: “I Pfas sono come l’amianto. Come l’amianto non si eliminano. Siamo di fronte ad una vera tragedia sanitaria. Quello delle sostanze perfluoroalchiliche è un caso di violazione dei diritti umani, da portarsi davanti alla Corte internazionale di Giustizia, tanto più che le Nazioni Unite stanno già considerando se sollevare il caso per le autorità americane”.
Infatti proprio in questo fine settimana l’Onu ha riconosciuto che la crisi della contaminazione da Pfas (di Dupont, Chemours e Corteva) che si sta verificando nella regione di Lower Cape Fear, in North Carolina, è una violazione del diritto internazionale dei diritti umani da parte degli Stati Uniti. L’azione è partita da un gruppo di base locale, Clean Cape Fear, che ha chiesto i risarcimenti per l’impianto Chemours di Fayetteville Works.
E l’Italia? “E’ già in ritardo”: giudica il professor Grandjean. I limiti di esposizione dovrebbero puntare a zero. Il disegno di legge per la messa al bando dei Pfas in Italia non è stato ripresentato in questa legislatura e le amministrazioni locali omettono gravissimi atti di ufficio nascondendosi dietro governi e parlamento. Non sono partite le class action, cause civili per risarcire le Vittime di Solvay e Miteni.
«Nel 2020 mi è stato diagnosticato un tumore al testicolo ed ho dovuto sottopormi ad un intervento chirurgico. Ora ho controlli ed esami diagnostici ogni 6 mesi ai quali mi presento con il dubbio se riuscirò ad arrivare anche al prossimo». Lo ha detto un giovane di 25 anni di Montecchio Maggiore, cresciuto in campagna ad un centinaio di metri dal torrente Poscola, considerato tra i veicoli della contaminazione da Pfas, testimoniando in Corte d’assise a Vicenza, dove si sta celebrando il processo che vede imputati 15 manager di Miteni, Icig e Mitsubishi .
Le drammatiche testimonianze delle parti civili al processo. Un padre: «Tutti e tre i miei figli hanno seri problemi di salute» Clicca qui.
Tra le lacrime, le testimonianze dei genitori al processo di Vicenza contro i 15 manager dell’ex Miteni, Icig e Mitsubishi Corporation che sono accusati a vario titolo di disastro ambientale, gestione dei rifiuti non autorizzata, inquinamento ambientale, avvelenamento delle acque e di reati fallimentari per l’ex azienda chimica Miteni di Trissino. Clicca qui.
Sfilano (clicca qui) le testimonianze delle Vittime Pfas al processo di Vicenza contro Miteni di Trissino. Sono analoghe alle testimonianze che ascoltammo più di due lustri fa al processo di Alessandria contro Solvay di Spinetta Marengo, che si risolse dieci anni dopo in Cassazione senza nessun risarcimento delle morti e dei tumori delle Vittime. Nonché senza condanne ai vertici dell’azienda, né alle istituzioni. Nonchè senza bonifica, anzi, il reato è stato fino ad oggi reiterato.
Al Congresso nazionale dell’Associazione medici per l’ambiente – ISDE Italia è stato premiato lo studio che sta dimostrando la correlazione tra Pfas e fertilità maschile. Lo studio promosso dal dottor Francesco Bertola è in corso avendo già esaminato 900 ragazzi residenti nelle zone del Veneto contaminate da Pfas e riscontrato che il 30 per cento presenta anomalie a livello riproduttivo.
Lo studio, che si avvia alla conclusione con sei mesi di anticipo rispetto al previsto, si prefigge di arruolare oltre 1000 giovani maschi residenti nell’area rossa ai quali vengono offerti gratuitamente visite mediche, esami di laboratorio sul sangue e sullo sperma, densitometria ossea, ecografia testicolare, con l’obiettivo di evidenziare precocemente anomalie dello sperma che sono già presenti in circa il 30% dei circa 900 soggetti finora esaminati. Per completare lo studio indipendente c’è bisogno di numerosi fondi che possono essere donati, e dedotti dalle tasse, seguendo le indicazioni riportate alla pagina www.isde.it/pfas dove sono riportati anche tutti i dettagli dello studio stesso.
ISDE sta conducendo lo studio su «Pfas e fertilità maschile” nella cosiddetta “area rossa” del Veneto, pesantemente contaminata dalle sostanze perfluoroalchilicheovvero le «molecole per l’eternità» perché non decadono. Si tratta di unaenorme contaminazione delle acque potabili del Veneto causata dalle lavorazioni delle industrie – prima di tutte la Mitenidi Trissino – che hanno usato composti impermeabilizzanti(Pfas) e per lo sbrinamentodelle ali degli aerei (Pfos).
I Pfas sono universalmente riconosciuti come interferenti endocrini e potenziali cancerogeni, legati all’infertilità e a malattie cardiovascolari, al punto che scienziati e studiosi di tutto il mondo ne chiedono la messa al bando come produzione e come utilizzo. A causa dell’inquinamento della Miteni di Trissino i Pfas si sono diffusi nella falda di un’area abitata da 350mila persone, tra Vicenza, Verona e Padova.
Ebbene, ha lasciato allibiti Giuseppe Venditti, GIP di Vicenza, che ha archiviato l’indagine preliminare sulla concentrazione di Pfas nel sangue di lavoratori e lavoratrici della ex Miteni, impedendo così l’accertamento dei fatti e delle responsabilità. La lettura della sentenza chiarirà la frase che come motivazioni gli viene attribuita sulla “carenza del nesso causa-effetto tra esposizione e patologie”: una connessione «esclusa dalla letteratura scientifica prevalente» oltre qualsiasi ragionevole evidenza «tra elevati livelli» di Pfas nel sangue, ovvero nel siero dei lavoratori, e «patologie tumorali»”. Basti dire che è l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) dell’Organizzazione Mondiale della Sanita ad aver classificato il PFOA come “possibilmente associato” (gruppo 2b) ai tumori del rene e del testicolo”.
Inoltre, i Pfas sono responsabili, non solo delle patologie tumorali, ma anche di infarti e ictus cerebrali e una lunga lista di altre malattie. Basti ricordare l’istogramma relativo ad una ricerca epidemiologica regionale pubblicata nel 2012, in cui si evidenzia che gli ictus cerebrali riscontrati nella ULSS 5 (quella di cui, all’epoca, facevano parte alcuni comuni della zona rossa) erano quasi il doppio della media regionale. E’ noto che tali patologie sono correlate all’aumento del colesterolo nel sangue, provocato dal Pfoa”. O basti ricordare la ricerca epidemiologica del 2019, dei dottori Paolo Girardi e Enzo Merler, sulla “mortalità in soggetti di sesso maschile esposti ad acidi polifluoroalchilici con elevata dose interna di acido perfluoroottanoico”, che documenta morti e malattie gravissime tra le fila degli sfortunati lavoratori, mai informati di ciò cui andavano incontro.
Facciamo rientrare questa sentenza nella casistica penale del libro “Ambiente Delitto Perfetto”, in attesa del proseguimento della inchiesta principale, per disastro ambientale, presso la Corte di Assise di Vicenza.
Il terzo Convegno Ecologista di Arzignano ha stigmatizzato 50 anni di tolleranza istituzionale alla Miteni e dieci anni di silenzio e minimizzazione dalla scoperta “ufficiale” del CNR: da parte delle autorità, in primis dalla Regione Veneto, sulla più grande contaminazione da PFAS avvenuta in Europa, con stime ufficiali, al ribasso, di 200 chilometri quadrati di tre provincie venete inquinate irrimediabilmente da Miteni, 350.000 persone a rischio. Le istituzioni hanno brillato per la loro assenza e spiccano per il loro assenteismo le associazioni dei medici di famiglia, dei sindacati dei medici ospedalieri e l’Ordine dei Medici, sordo agli appelli. Un muro di gomma di dimensioni ciclopiche, una omertà vergognosa.
I danni sono incalcolabili e le patologie scaturiscono come bombe ad orologeria. E’ necessario costruire una rete dal basso, che difenda concretamente la salute dei cittadini, per introdurre misure di prevenzione e precauzione, controlli sui bambini e donne gravide, sicurezza sugli alimenti, razionalità delle cure, per citare alcune delle misure mai prese in considerazione dal Dipartimento di Prevenzione della Regione Veneto.
Relazione di Giovanni Fazio. Tra gli interventi al Convegno: sulle lotte contro gli inceneritori di Fusina e di Schio, l’azione dei Medici per l’Ambiente (ISDE), la relazione di Gianluigi Salvador sull’avvelenamento delle popolazioni della provincia di Treviso, la relazione di Francesco Bertola sulla importante indagine epidemiologica da lui ideata e diretta che l’ISDE sta svolgendo nel Veneto sui danni agli organi riproduttivi dei giovani nati da mamme contaminate da PFAS durante la gravidanza, una riflessione e testimonianza del rapporto tra contaminazione da PFAS e disabilità nel Veneto.
La vera storia di come i Pfas hanno -dolosamente- contaminato l’Italia. J’accuse: enormi responsabilità di Magistratura e Istituzioni. Oggi siamo ad un punto di svolta.
La storia delle lotte dal 1990 in Italia contro i Pfas è compresa nelle circa 500 pagine del Dossier “Pfas. Basta!”: a cura di Lino Balza del “Movimento di lotta per la salute Maccacaro”. E’ disponibile a chi ne fa richiesta. Clicca qui la sintesi cronologica, in particolare comparata tra Solvay/Piemonte e Miteni/Veneto, che così conclude:
“L’assenza di una legge nazionale non giustifica né assolve le gravi responsabilità delle Autorità locali: non è un alibi. Una legge come l’ex DDL Crucioli non pare praticabile a breve nell’attuale quadro politico. Denunciamo il vuoto: la calamità mondiale dei Pfas (Forever Pollution Project denuncia oltre 17mila siti contaminati da Pfas in Europa) ha in Italia le sue punte di iceberg nei disastri ambientali e sanitari (stigmatizzati anche dall’ONU) del Veneto (made in Miteni di Trissino) e del Piemonte (Solvay di Spinetta Marengo), ma ormai non lascia indenne nessuna regione della penisola: Lombardia, Toscana, Lazio, Trentino eccetera, come abbiamo più volte documentato sul nostro Sito www.rete-ambientalista.it”.
L’accusa non è rivolta al Piemonte, che l’indagine neppure l’ha mai avviata!! ma alla Regione Veneto, che si vanta (Zaia) di una efficienza sanitaria impeccabile. Al processo di Vicenza contro Miteni, l’ha dimostrata, documenti alla mano, Pietro Comba, responsabile del Dipartimento di Epidemiologia ambientale dell’Istituto Superiore di Sanità, nonché consulente dei pubblici ministeri vicentini.
Nel 2016, l’ISS attese invano dalla Regione (complice il Ministero della Sanità) il co-finanziamento per un’indagine epidemiologica della durata di tre anni sulla popolazione delle aree colpite del Veneto (Vicenza, Verona, Padova) per monitorare le condizioni sanitarie degli abitanti (in termini epidemiologici) e per cercare eventuali correlazioni (retrospettive) tra l’assunzione dei Pfas e l’insorgere di patologie gravi come i tumori.
Tony Fletcher è il supertestimone della Procura al processo di Vicenza contro Miteni. Per noi è una conoscenza vecchia di quindici anni. Lo segnalammo infatti -inutilmente- negli esposti alla Procura di Alessandria, nonché ai giornali. Come segue.
“”Abbiamo segnalato per primi la questione eco sanitaria con alcuni ricorsi (Alessandrini, Berto, Ferrarazzo, lavoratori poi licenziati) alla Procura relativi alla presenza di PFOA tanto nel sangue dei lavoratori quanto nelle acque dei fiumi Bormida, Tanaro e Po, nonché delle falde superficiali e forse non solo. Nella copiosa documentazione del ricorso, si fa proprio riferimento agli studi americani citati da Tony Fletcher, professore alla London School of Hygiene end Tropical Medicine. Lo scienziato, definito uno dei tre maggiori epidemiologi mondiali, pur nella sua veste di consulente di parte (della Dupont, azienda produttrice di PFOA che ha già indennizzato per 101,5 milioni di dollari) ci conferma il drammatico allarme su un prodotto accertato da anni negli animali come cancerogeno, mutageno e teratogeno, ma si dichiara attendista per quanto riguarda analoghi effetti sugli esseri umani: ‘Fra circa 18 mesi concluderemo gli studi’. La nostra Associazione ritiene invece, in base agli studi internazionali, che se il prodotto perfluorurato è cancerogeno per gli animali non può non esserlo per gli umani, come dimostrano le metodologie comunemente utilizzate nella ricerca medica e farmaceutica. Tanto più che il ‘principio di precauzione’ impone di sospendere un prodotto quando sospetto, senza attendere di conteggiare a posteriori i morti e gli ammalati. Perciò abbiamo chiesto che la Solvay di Spinetta Marengo interrompa immediatamente l’utilizzo del PFOA e il suo rilascio in aria e acqua. Siamo invece completamente d’accordo con il professor Fletcher, avendola invano già richiesta a Procura e Asl, sulla necessità di analisi del sangue di massa per il PFOA: come hanno fatto in USA per 70.000 persone.””
“Chi inquina paghi” è un vecchio slogan che rischia sempre di rimanere tale. Ma non per quanto riguarda i PFAS. A cominciare dagli USA. Tre dei principali gruppi chimici statunitensi, Chemours, Dupont e Corteva, sono stati costretti ad un accordo di 1,2 miliardi di dollari di risarcimenti per aver contaminato con i Pfas fonti d’acqua di tutti gli Stati Uniti. Anche il gigante industriale 3M ha firmato un miliardario accordo di principio per risolvere tutte le richieste di risarcimento relativi ai PFAS nell’acqua potabile. La 3M è stata oggetto di cause legali per i Pfas anche in Europa: nel 2022 ha accettato un accordo di 571 milioni di euro con la Regione belga delle Fiandre per gli scarichi di PFAS intorno allo stabilimento di Zwijndrecht vicino alla città di Anversa. Il governo olandese ha chiesto indennizzi alla 3M per i danni nel fiume Shelda occidentale che sfocia nel Mar del Nord. Così 3M ha dichiarato di cessare i Pfas entro il 2025.
E in Italia? Miteni e Solvay sono sotto processo. Miteni ha dichiarato fallimento prima di essere costretta a risarcire. Solvay anche dal secondo processo penale non rischia reclusioni a spese di chi detiene i cordoni della borsa, però ad Alessandria potrà essere costretta ad aprirli in sede civile a seguito di cause collettive -class action- delle Vittime, lavoratori e cittadini.
Prima di Fletcher, Robert Billot, l’avvocato americano che per primo ha sconfitto le multinazionali produttrici dei Pfas ha testimoniato al processo in corso a Vicenza contro Miteni, i cui capi di imputazione non riguardano le conseguenze sanitarie dell’ecocidio, cioè i risarcimenti agli ammalati e ai morti tra la popolazione coinvolta. Pur significativa in sede penale, la testimonianza di Billot sarà determinante in sede civile ad Alessandria per inchiodare le responsabilità di Solvay a Spinetta Marengo. (continua)
Come da testimonianza dell’avvocato Robert Billot, ben prima del 1976 gli studi evidenziano i pericoli sanitari dei Pfas, pur se le multinazionali e i loro medici chiudevano i dati nei cassetti. Non solo le aziende sapevano, anche le Istituzioni sapevano. Sapevano ben prima che scoppiasse nel 2013 il caso Veneto dopo la chiusura della Miteni. Già dagli anni ’80Lino Balza denunciava ondate di scarichi in Bormida ai quali Asl e magistratura non diedero il nome di Pfas. Già nel 2002 la CGIL con volantino denunciava ai lavoratori dello stabilimento per nome queste sostanze tossiche e cancerogene. Già nel 2009 Balza aveva sfidato Solvay col suo medico Giovanni Costa sui giornali e aveva denunciato e documentato in Procura gli studi scientifici internazionali e, soprattutto, che i Pfas erano stati rilevati nel sangue dei lavoratori della Solvay di Spinetta Marengo e secretati dall’azienda. Però solo nel 2022 la magistratura di Alessandria, dopo otto esposti, ha provveduto al sequestro delle cartelle cliniche! (continua)
“Chi inquina paghi” è un vecchio slogan che rischia sempre di rimanere tale in Italia? In Usa si stanno accumulando cause legali – intentate da governi statali, gruppi di difesa ambientale, servizi idrici e altri. E in Italia? Chi ha fatto profitti enormi sulle spalle dell’ambiente e della salute dei cittadini pagherà? Miteni e Solvay sono sotto processo penale. Miteni ha dichiarato fallimento prima di essere chiamata a risarcire. Solvay, a sua volta, anche dal secondo (imminente?) processo penale -con debole imputazione: disastro colposo e non doloso- da un lato non rischierà reclusioni a carico di chi detiene i cordoni della borsa ma “sacrificherà” con miti pene due direttori retribuiti allo scopo, e dall’altro tenderà a scaricare i costi della bonifica (se e quando) sullo Stato. E per quanto riguarda i risarcimenti alle Vittime: ammalati e morti, lavoratori e cittadini? Il rischio del danno e della beffa è atroce. Ecco allora che ci apprestiamo ad avviare in tribunale ad Alessandria in loro favore cause civili: cause collettive, class action. (continua)