Brutta aria in magistratura.

Interno del palazzo di giustizia di Alessandria (foto repertorio  La Stampa)
Ha fatto notizia, grazie al GUP di Alessandria, un esempio di come funziona la giustizia in Italia. L’episodio è relativo all’ordinanza in sede di udienza preliminare con la quale il giudice Andrea Perelli ha fatto fuori dal processo Solvay-bis i due più temibili avversari di Solvay: Greenpeace e ancor  più inverosimilmente  Lino Balza, da oltre 50 anni l’antagonista storico nel polo chimico di Spinetta Marengo. Clicca qui Solvay gongola. Con Greenpeace, Lino Balza escluso come parte civile. Cosa c’è dietro.  e qui 6 (+ 1) ragioni affinchè Lino Balza debba partecipare al processo per rinchiodare 39 prove che condannano Solvay e imputati.
 
Sono pervenuti tantissimi commenti di solidarietà e anche complimenti (immeritati ma che comunque tengono su il morale). Il primo, quasi in tempo reale, mi ha commosso:
Caro Lino non demordere. Ciao Lino,
leggo con orrore della tua esclusione dal processo. Ma non mi
meraviglio, con una magistratura serva ancora una volta dei potenti.
Sembra di essere tornati indietro agli anni ’70. Non demoralizzarti,
troverai il modo di farti accettare come parte lesa. Tu sei un giusto, e
i giusti non vengono mai abbandonati da Dio. Pregheremo per te.  Oggi ti
bonifico 10 Euro a sostegno della tua, della nostra battaglia. Un
abbraccio, e mi raccomando NON DEMORDERE !!!
Ciao! Giacomo.
 
Nello stesso tono, Enrico: “Ciao, Lino. Non ti deprimere e tieni duro, ti dico che provo solo nausea.” Maria Chiara: “Rendermi conto del livello cui è caduta almeno in parte la nostra magistratura mi ha inorridito e molto amareggiato”. Non altrettanto riproducibili, senza uso di eufemismi, sono altri commenti coloriti. In generale,  sono assai rari i commentatori rimasti sorpresi. Anzi, un dotto mi definisce vittima ancora di “fumus persecutionis”.
 
Chi usa il sarcasmo: “Pazzesco. E poi dicono che i giudici sono tutti comunisti…!” Chi raccomanda che “Certe sedi di tribunale sarebbe una fortuna scansare”. E fa il nome di Alessandria come “porto delle nebbie”. In effetti, per tutte le rappresaglie subìte mi sono sempre rivolto (vincendo) ai tribunali di Milano. Per questo processo Solvay bis non posso che tentare in sede di dibattimento in assise di rientrare dalla porta dopo che il GUP mi ha scaraventato dalla finestra. Certo, non piacerebbe nè a Solvay nè  alla Procura il mio contributo all’accertamento di responsabilità e verità.
 
Luigi Maconi fa riferimento al “comma 2 dell’articolo 1 dei 12 PRINCIPI FONDAMENTALI della COSTITUZIONE: La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” per ritenere che “questo principio , letti anche i tuoi precedenti rispetto al processo Solvay, a me pare ampiamente violato dal GUP di Alessandria”.
 
Il termine “giustizia di classe” magari non viene da tutti i commentatori pronunciato ma la sostanza della loro valutazione è di una giustizia costruita su leggi che sono state fatte su misura dalle classi dei potenti, magari proprio da quegli impuniti che giornalmente  attaccano quella magistratura invece implacabile con i più deboli, spesso poveracci indifesi, che non tutela le Vittime: come  avviene per  delitti contro l’ambiente e la salute (come ho documentato nei tre volumi  di “Ambiente Delitto Perfetto”, disponibili a chi ne fa richiesta). Da aggiungere al libro ci vengono segnalati significativi esempi da Vito Totire, Luigi Maconi, Enrico Martini.
 
 A tutti quelli che mi hanno chiesto “Che fare?”, ho risposto: tutti assieme,  possiamo denunciare in tutte le sedi questa giustizia italiana che non tutela le Vittime e salva gli inquinatori.

Solvay gongola. Con Greenpeace, Lino Balza escluso come parte civile. Cosa c’è dietro.

FATTI FUORI DAL PROCESSO AD ALESSANDRIA
Talvolta  si usano titoli ad effetto. Il nostro non è  titolo civetta: è l’esempio che la realtà può superare la fantasia. Se pronunci  Lino Balza -ad Alessandria e non solo- tutti  pensano subito al polo chimico di Spinetta Marengo. E viceversa. E’ una associazione di termini automatica, da oltre mezzo secolo. Nomina omina. Se nel 2024 inizia un nuovo processo contro Solvay, dunque, si può immaginare che non sia ammesso Lino Balza? No, non si può immaginare. Sarebbe una situazione tipica della narrativa kafkiana ispirata all’incomprensibilità e all’assurdità, talvolta comica,  dell’esistenza umana,  sconfinando nella farsa
 
Eppure, in questo surreale episodio, chi ha escluso Lino Balza dal processo non è boemo o ucraino, non si chiama Franz Kafka Nikolaj Vasil’evič Gogol’-Janovskij bensì il genovese Andrea Perelli, giudice del Tribunale di Alessandria con incarico di Giudice Sezione G.I.P. – G.U.P.  Detto per inciso, Perelli, 39 anni, è il più giovane della Sezione per anzianità di servizio, ma non è un pivello: laurea all’Università di Genova, dottorando nel 2016 (anche rappresentante dei dottorandi), magistrato ordinario a trentadue anni, tirocinio a Genova, docente di commissione, autore di articoli, relatore a convegno eccetera. E non è un ingenuo, come vedremo.
 
La sua ordinanza, dalla prosa non pari all’acchittata compostezza con papillon, al processo ha ammesso oves et boves tutte le  300 parti civili persone fisiche: indistintamente CHIUNQUE ad eccezione di Lino Balza: “Non vanta diritto” (sic) perché, udite udite, “non presenta un collegamento qualificato con l’area che si assume inquinata”.
 
Ebbene, in quella “assunta area” Lino Balza 76 anni fa è nato e vi abita tuttora, ha lavorato per 35 anni nel polo chimico, sindacalista e ambientalista con il fardello per rappresaglia di 7 cause in pretura, 4 in appello, 2 in cassazione (tutte vinte), compreso il tentato licenziamento, aggiungendo il corollario di mobbing, cassa integrazione, tre trasferimenti, uffici confino, dequalificazione professionale e provvedimenti disciplinari minori [*]. Da quella fabbrica si è portato dietro il tumore maligno con i suoi supplementi,  nonché  i veleni che ancora oggi persistono nelle certificate analisi del suo sangue, insieme a quelli aggiunti dagli imputati. In più, da sopravvissuto pensionato, scrittore e giornalista, abita in quell’area dove resta pur sempre l’animatore (e in Italia) della lotta per la salute collettiva (anche del Perelli), contro l’ecocidio Solvay e a favore delle Vittime di Solvay, insieme alle mamme che si  disperano per i Pfas nel sangue dei figli. Scomodo ad azienda e magistratura.  
 
Solvay in sede dibattimentale si opporrà alla pletora di persone fisiche ammesse (“con la sola eccezione di Balza Lino”: ha tenuto a sottolineare Perelli Andrea) quali parti offese… semplicemente “per essere o essere stati residenti, o figli di residenti,  entro un’area di otto chilometri  individuata dagli studi di Arpa di Alessandria a rischio di neoplasie o quantomeno per metus (paura, n.d.r.) di vivere o aver vissuto in tale zona”. Peraltro, la presunta “zona rossa” degli otto chilometri (“con la sola eccezione di Balza Lino”)  è assai inventata perché non esiste alcuna “certificazione” dell’Arpa che delimiti un’area a rischio. Tant’è che Arpa non ha centraline dovunque ma dove ha cercato ha sempre trovato Pfas:  non solo nei sobborghi e nel capoluogo ma anche in Comuni della Provincia, per esempio a Montecastello che dista ben  oltre i fantomatici  otto chilometri, a tacere il fiume Bormida. In base al criterio territoriale e psichico, la popolazione potenzialmente parte offesa -oggi e domani- ammonterebbe a decine di migliaia di persone. Comprendendo la presunta incompatibilità ambientale di giudici e giurati, col rischio di trasferimento del processo.    
 
SOLVAY GONGOLA.
Dalla clamorosa udienza del GUP, Solvay porta a casa che  sono stati fatti fuori dal processo i due più temibili avversari di Solvay: Greenpeace e Lino Balza, che chiedono subito la chiusura delle produzioni  inquinanti  dello stabilimento di Spinetta Marengo. Infatti, attualmente Greenpeace è l’associazione più impegnata ai massimi livelli a denunciare le fonti di inquinamento da Pfas su tutto il territorio nazionale, a cominciare da Alessandria, e a chiedere la loro messa al bando in Italia. Ebbene, non si sa se ridere o piangere, Greenpeace è stata esclusa… “per non aver svolto attività strettamente legata al territorio di interesse”.  
 
E Lino Balza, che paradossalmente abita a molto meno dei fatidici otto chilometri?  Per l’azienda belga, “Linò Balzà, ça va sans dire, est l’ennemi numéro 1”  dalla notte dei tempi, ancor prima del primo processo e ancor più dopo [**]. In più, è oltremodo scomodo alla vigente Procura. Proprio la Procura l’aveva escluso fra le parti offese. Presto spiegato: con ripetuti (11 su un totale di 20) esposti, depositati e anche pubblici [***], aveva per anni pressato il procuratore capo Enrico Cieri a intervenire d’autorità per le tutele della salute pubblica (si pensi, fra tutte, alle donazioni e trasfusioni di sangue infetto), a  contrastare gli illeciti ecosanitari, a procedere contro il management della multinazionale  (e non solo contro i due direttori), e soprattutto per il reato di dolo. E, di conseguenza, aveva criticato la Procura per il blando capo di imputazione, disastro ambientale colposo e illecito amministrativo, che esclude alle Vittime il risarcimento per le morti e le malattie (a parte l’eventuale elemosina del “metus”). [SI LEGGA IN DETTAGLIO L’ARTICOLO CHE SEGUE IL PRESENTE].
 
IL PATTEGGIAMENTO?
In aula, alla lettura della “strana” ordinanza del GUP,  tra gli avvocati si è cercato una connessione con le insistenti voci di un patteggiamento (rectius nel linguaggio forense) premiale per l’imputato e le parti civili. E hanno presunto la disponibilità della Procura come preannunciata nella di lei imbarazzata e sconcertante audizione davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta: praticamente l’assoluzione a priori ad “un imprenditore che crediamo abbia ottemperato agli adempimenti di legge, salvo inadeguatezze  che valgono il rimprovero di una colpa”. Una tiratina di orecchi. Clicca qui.
 
Altro segnale avvertito è il cambio degli avvocati della difesa con Riccardo Lucev  e Guido Carlo Alleva. Lucev è esperto in diritto penale della responsabilità medica e addirittura Officer del Criminal Law Committee della International Bar Association. Guido Carlo, soprannominato con Giulia Alleva  “avvocati del vino” (la rinomata “Tenuta Santa Caterina” per miliardari) è DOC in quanto storico difensore dell’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny nei processi Eternit.  A confronto, i risarcimenti  nel caso Solvay, stringi stringi, sarebbero irrisori in un patteggiamento?  “Ça va sans dire,   avevano ragionato a Bruxelles,  ci verrà a fagiolo “tomber à pic” l’esclusione dalle parti civili di Lino Balza, così attivo ad opporsi al patteggiamento di un’elemosina ma a favore di una class action. Infine, l’azione della Procura nel patteggiamento, per quanto scalpore possa fare, pour nous  sarebbe un ombrello, anzi un paracadute: “Il suffit de mettre un parachute, ça va sans dire”. “Notre avantage”, e per Regione e Sindaco, sarebbe palese: si allenterebbe il fiato sul collo da parte dell’opinione pubblica che li addita come complici di Solvay e chiede monitoraggi di massa per la popolazione e addirittura ordinanze di chiusura degli impianti. Non li si può tenere a bada all’infinito. Ça va sans dire.
 
In conclusione. A Solvay, ça va sans dire, il patteggiamento servirebbe a derubricare ulteriormente i reati ma soprattutto a prendere in tranquillità il tempo necessario per la sua strategia post 2026. Un modesto patteggiamento potrebbe essere un’alternativa all’incertezza della richiesta di trasferimento (“rimessione alla sede”) del processo (trasmissione degli Atti a Milano) “per incompatibilità ambientale”: eventualità che in aula a loro volta gli avvocati della difesa discutevano con preoccupazione.
 
La richiesta di patteggiamento, spiegavano gli avvocati, può essere formulata fino alla presentazione delle conclusioni in udienza preliminare, e fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento. Andrea Perelli sarebbe assai favorevole, poco o tanto che sia stato intimidito dal trascorso tentativo di ricusazione di Solvay.   Dunque già nella prossima udienza del 20 dicembre potrebbe esserci una delle due sorprese [****].
 
[*] “L’avventurosa storia del giornalismo di Lino Balza” in 4 volumi.
[**] “Ambiente Delitto Perfetto”, volume primo. “Pfas. Basta!”, in tre volumi.
[***] “Ambiente Delitto Perfetto”, volume secondo.
[****] “Ambiente Delitto Perfetto”, volume terzo.
Tutti i libri sono disponibili a chi ne fa richiesta.
 
 

Solvay e Miteni: contaminazioni perenni, bonifiche impossibili.

«Le contaminazioni storiche possono essere anche oggi fonti attive. Un terreno impregnato di Pfas può essere una fonte perenne». È quanto riportato nel copioso studio riassunto, in Corte d’assise di Vicenza, dagli ingegneri chimici Maurizio Onofrio e Amedeo Zolla al processo che vede imputati 15 manager di Miteni, Mitsubishi Corporation e Icig, accusati a vario titolo di avvelenamento delle acque, disastro ambientale innominato, gestione di rifiuti non autorizzata, inquinamento ambientale e reati fallimentari. Per dare un ordine di grandezza, i consulenti hanno stabilito che «una goccia e mezza di contaminante dispersa, che è pari a un trentesimo di grammo, contamina con 30 nanogrammi un litro d’acqua». Le dichiarazioni dei due consulenti sono quanto mai attendibili, quali ammissioni, in quanto essi sono addirittura nominati dagli imputati.
 
Le loro drammatiche conclusioni valgono tanto per il polo chimico Miteni di Trissino che per quello Solvay di Spinetta Marengo, con l’aggravante per quest’ultimo che a Vicenza la fabbrica è chiusa mentre ad Alessandria quotidianamente sono aggiunti altri veleni in acqua e aria, che neppure la magistratura sembra determinata a fermare tramite la chiusura degli impianti.

«Sono a posto con la coscienza».

La legge è uguale per tutti.

Prima direttore operativo, poi addirittura amministratore delegato, Luigi Guarracino è stato responsabile degli scarichi idrici che da Trissino hanno contaminato i Comuni delle province di VicenzaVerona e Padova. In concorso con altri 15  manager e dirigenti dell’ex Miteni,  è accusato di disastro innominato nell’ambiente e avvelenamento delle acque, con tutte le migliaia di ammalati e morti annesse e connesse.  In tribunale a Vicenza si è dichiarato innocente: “Sono a posto con la coscienza”. Che coscienza ha? Quando lo accusai pubblicamente di dolo per la Solvay di Spinetta Marengo, una quindicina di anni fa, mi scriveva: lei mi accusa, non mi conosce, prendiamo un caffè insieme. Ma mi faccia il piacere. Se l’era già cavata per il rotto della cuffia nel processo Solvay di Bussi. Poi finalmente ha subìto nel 2019 una condanna in Cassazione per il disastro Solvay di Spinetta Marengo. Una condanna lieve (1 anno e 8 mesi) perché non gli è stato riconosciuto il dolo. Il sottoscritto era invece d’accordo con la Procura generale  e chiedeva 11 anni per dolo. Tratta da “Ambiente Delitto Perfetto, clicca qui lo stralcio della mia “Memoria di replica in Corte di assise d’Appello di Torino” riguardante appunto la posizione processuale di Luigi Guarracino.

Nuove denunce Pfas di Italia Nostra alla magistratura umbra.

Allarmante la situazione PFAS  per lo stato delle acque potabili a Terni e Narni. Secondo l’ARPA, la Conca Ternana, è  toccata massivamente dall’inquinamento sistematico dei propri pozzi, con il 60% delle stazioni di monitoraggio interessate dal fenomeno e addirittura il 72% dei campioni ‘positivi’. Ai fini del bioaccumulo, per i residenti occorre anche osservare come i pozzi locali registrino generalmente la presenza non di una, ma di plurime sostanze chimiche associate ai PFAS (fino a cinque diverse), vicenda che rende ancor più inquietante l’intero fenomeno. Sono svariate decine di migliaia i cittadini ternani e narnesi interessati dalla contaminazione da PFAS delle acque potabili, vicenda finora sconosciuta. Infatti, per quanto il report ARPA Umbria sia recuperabile on line, nessuno ne ha mai divulgato gli inimmaginabili contenuti, con la popolazione del tutto ignara di cosa stia bevendo. “Italia Nostra” ha intanto presentate nuove denunce alla Magistratura a riguardo dello stato di saluto delle acque.

Ambiente svenduto. Ambiente delitto perfetto.

Non sono bastati due volumi (disponibili a chi ne fa richiesta), stiamo scrivendo un terzo sempre con lo stesso titolo “Ambiente Delitto Perfetto”, aggiornato di disastri ambientali che hanno causato migliaia di vittime e sono finiti nelle aule dei tribunali, per sfociare però in archiviazioni, assoluzioni, prescrizioni. Delitti perfetti.
 
Aggiorneremo con i processi Pfas di Vicenza e Alessandria e dell’Ilva di Taranto. Nonché con un viaggio dal Nord al Sud nelle inchieste sull’ambiente svenduto, sulle quali ci anticipa questo servizio su Il Fatto Quotidiano (clicca qui) per quanto riguarda le ecatombi dell’Eternit, della Caffaro, della Miteni, delle Solvay, della discarica di Malagrotta, della Montedison di Bussi, di Montedison e Pertusola a Crotone, del quadrilatero della morte Priolo Augusta Melilli  Siracusa, delle raffinerie Eni di Gela, delle raffinerie sarde Saras e Sarroch.

“Delitti perfetti” nei tribunali se non interviene la Cassazione.

Avevamo avuto ragione nel 2015 a titolare “Ambiente Delitto Perfetto” (*) il nostro libro (Barbara Tartaglione e Lino Balza, prefazione di Giorgio Nebbia). “Perché”, come dimostrammo in due voluminosi volumi, “nelle aule giudiziarie impuniti si consumano scandalizzanti delitti contro il bene comune per eccellenza , che è la salute ovvero l’ambiente”. Uno di questi è la recente sentenza Ilva. Forse il più grave, non solo perché assolve i responsabili di uno  dei più efferati disastri eco sanitari perpetrati In Italia, ma soprattutto  perché crea un pericolosissimo precedente: i processi non si potranno celebrare nei territori dove  l’inquinamento  è avvenuto, anzi, quelli già in corso e le relative condanne potranno essere annullati anni e anni dopo.
 
Con il cavillo che alcuni giudici vivessero negli stessi quartieri in cui abitano persone costituitesi parte civile o che ex magistrati fossero parti offese, la Corte d’assise d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha annullato le 3.700 pagine della sentenza del Tribunale di Taranto che, in dodici anni di udienze, perizie e testimonianze, avevano condannato i Riva a 22 e 20 anni, Niki Vendola a 3 anni e 6 mesi, eccetera per altri 23 imputati. Così il maxi-processo “Ambiente Svenduto” dovrà ripartire da zero e se ne occuperanno i magistrati di Potenza. Con un rischio enorme: la prescrizione rischia di cancellare buona parte dei reati. Per maggiori dettagli clicca qui.
 
Per scongiurare questo delitto, “E’ auspicabile che la decisione della Corte d’appello sia  impugnata dalla Procura e portata in Cassazione”: così si esprime Alessandro Marescotti, presidente dell’associazione PeaceLink, (clicca qui), “evitando un allungamento dei tempi e un rischio concreto di prescrizione per reati gravissimi come la concussione e, probabilmente, l’omicidio colposo”.
 
Il pronunciamento favorevole della Cassazione eviterebbe presumibili rischi in altri processi di natura ambientale. Si pensi che gli avvocati difensori altrimenti chiederebbero che il processo Miteni sia spostato da Vicenza, o che la sentenza (prevista per la primavera) potrebbe essere annullata negli anni seguenti. Si pensi al processo Solvay di Alessandria che neppure potrebbe avviarsi a fine anno.
 
 (*) “Ambiente Delitto Perfetto” è disponibile a chi ne fa richiesta. 

7) Migliaia di cause civili per toccare questa gente nel portafoglio. E Solvay in USA paga con dollari sonanti.

L’urgenza della condizione eco sanitaria della popolazione di Alessandria rende indifferibile la chiusura immediata delle produzioni Solvay a Spinetta Marengo, e allo stesso tempo i risarcimenti alle Vittime.
 
Aveva ragione Ferdinando Lignola, il Procuratore Generale di Cassazione, quando, nel 2019 nella sua arringa finale contro Solvay, incitò: “Mi auguro che seguano centinaia, migliaia di cause civili per toccare questa gente nel portafoglio”. Perché era pienamente cosciente  che in sede penale non si va oltre ad una risibile condanna  ai livelli più bassi di questa gente delittuosa, e non si va oltre ad una virtuale condanna di bonifica a spese di questa gente.
 
Soprattutto era conscio dell’ingiustizia massima: in sede penale neppure le Vittime vengono risarcite per le morti e le malattie provocate dal delitto ecosanitario di questa gente. Eppure in Italia gli studi legali stentano ad avventurasi nella legislazione aprendo cause in sede civile. Come potranno, con azioni inibitorie risarcitorie, per la belga Solvay proprietaria dello stabilimento di Spinetta Marengo: nell’occhio del ciclone per i veleni in aria-acqua -suolo della popolazione di Alessandria, dei quali i famigerati Pfas sono solo la punta dell’iceberg locale.
 
E fuori dall’Italia, è proprio la Solvay, e proprio per i Pfas, a doversi mettere le mani al portafoglio. Solvay Specialty Polymers USA ha accettato di pagare 1,3 milioni di dollari per chiudere una class action sulla contaminazione da Pfas delle riserve idriche del Parco nazionale di West Deptford ad opera del suo impianto di produzione di Leonard Lane. La causa è stata  intentata per conto dei residenti del Parco Nazionale nel giugno 2020, risarciti per ora con 8.000 dollari ciascuno, ma l’accordo prevede il pagamento degli esami del sangue per tutte le persone che hanno vissuto nel distretto dal 1° gennaio 2019 al 28 febbraio 2024: il fondo include 784.000 dollari per la “classe di biomonitoraggio”. Anzi, “Non è incluso il costo di qualsiasi potenziale interpretazione del risultato dell’esame del sangue da parte di medici o professionisti sanitari.” Dunque restano aperti i risarcimenti per le patologia sofferte.
 
Il fondo inoltre comprende circa 244.000 dollari per le spese legali e gli onorari degli avvocati. Nonché l’accordo  prevede addirittura pagamenti (200.000 dollari) alle persone che hanno posseduto o affittato immobili residenziali nel distretto nello stesso periodo.
 
Solvay ha  concordato di raggiungere l’accordo “per evitare l’onere e le spese di un contenzioso continuo“, si legge nella sua dichiarazione. D’altronde Solvay deve affrontare numerose cause legali per l’inquinamento da PFAS nel South Jersey, per il suo stabilimento della contea di Gloucester.

12) Rimettere in funzione gli impianti Pfas inquinanti: è una condotta sempre più dolosa della Provincia.

Due ecocidi mondiali e locali. Con i Pfas si ripete la tragedia dell’amianto e dell’Eternit di Casale Monferrato. La belga Solvay Syensqo  è l’unico produttore in Italia dei diffusissimi Pfas tossici cancerogeni e, con la complicità di Sindaco e Regione, compromette direttamente  la salute della popolazione alessandrina, a cominciare dai lavoratori.
 
C6O4, ADV e PFOA sono impiegati nei cicli aziendali da decenni, e alcuni  attualmente prodotti: l’ARPA di Alessandria da qualche anno, finalmente, ne denuncia e documenta che i reflui dallo stabilimento  di Spinetta Marengo fuoriescono ed inquinano sempre più pesantemente le falde acquifere, il fiume Bormida e l’atmosfera dei Comuni della provincia, provocando morti e malattie.  
 
Nei primi mesi del 2024, l’azienda non è più riuscita a nascondere che l’impianto di produzione del cC6O4, il più moderno inaugurato in pompa magna da pochi anni, stava accusando gravi problemi di funzionamento. Al punto  da costringere la Solvay stessa ad autodenunciarsi alla Provincia ed a fermare l’impianto. I problemi funzionali causano enormi perdite in falda acquifera: l’ARPA addirittura ha misurato (11 aprile ) nel pozzo G adiacente all’impianto di produzione una concentrazione di cC6O4 di 191.262μg/l contro gli 0,5 μg/l ammessi!
 
La Provincia di Alessandria è stata, obtorto collo, costretta  a ingiungere a Solvay, tramite diffida, che l’impianto doveva fermarsi e poteva essere riavviato solo dopo interventi tecnologici risolutori e approvazione certificata di ARPA, tramite incontri tecnici fra Provincia, Comune, Arpa, Asl.
 
Scandalosamente poi la Provincia si è rimangiata l’ingiunzione. voltagabbana
Ancor prima del voltafaccia, Claudio Lombardi, ex assessore comunale Ambiente, già denunciava che Solvay pretendeva  di aver risolto il problema stabilimento  grazie anche ad una ‘super efficiente barriera idraulica’. Niente di più falso. L’ARPA ha contestato nell’ultimo incontro tecnico un forte aumento delle quantità di C6O4 nella falda acquifera esterna allo stabilimento. La barriera idraulica, dunque, non funziona minimamente e, oltre a non trattenere C6O4, lascia fuoriuscire all’esterno le altre sostanze tossiche e cancerogene interne alla fabbrica. Questo gravissimo fatto,  conclude Lombardi, mette in risalto  due nodi relativi all’esistenza stessa del sito produttivo Solvay di Spinetta Marengo. Innanzitutto, “la produzione del cC6O4 non poteva  essere ripresa se non solo dopo interventi tecnologici risolutivi comprovati e certificati per adeguato lasso temporale (non certo di giorni ma di mesi)”.
 
Soprattutto, “la barriera idraulica si dimostra impianto non idoneo a contenere le fuoriuscite degli inquinanti interni allo stabilimento, come d’altra parte recitò la sentenza della Corte di Cassazione nella sentenza di condanna dei dirigenti Solvay nel dicembre 2019”. Sentenza che, viene ribadito, riguardava  ben oltre i Pfas: cioè la bonifica di una massa di veleni, una ventina insieme al cromo esavalente, bonifica che è stata, su ordine di Bruxelles, consapevolmente disattesa sull’altare dei profitti da Solvay, la quale, anzi ha peggiorato la situazione ecosanitaria.
 
Su questo punto, il capo di accusa nell’imminente processo penale bis  andrebbe riformulato sul versante dolo. E portato al massimo livello apicale di Syensqo. Dove: anche in sede civile  con azioni inibitorie che risarciscono  le Vittime, come stimolava a fare il Procurate generale in Cassazione: “Quella gente dovete toccarla nel portafoglio”.  
 
Non si può nascondere il dissenso con la Procura di Alessandria.

13) Saranno o non saranno risarcite le Vittime di Miteni e Solvay ad Alessandria e Vicenza?

Di fronte alle Vittime: nell’aula del tribunale di Vicenza ha affermato con cipiglio che i Pfas non erano pericolosi, non meritevoli di allarme. Giovanni Costa era il medico aziendale della Miteni di Trissino e della Solvay di Spinetta Marengo, per le quali certificava  le analisi del sangue degli operai, e li rassicurava dell’innocuità. Eppure essi avevano nel sangue valori che già nell’esposto del 2009 alla Procura della Repubblica di Alessandria denunciavo estremamente allarmanti secondo i noti parametri scientifici internazionali.
 
Rispetto a questa testimonianza che ha reso a difesa della Miteni e del proprio operato, Costa  può essere accusato di aver svolto un ruolo cruciale nella storia del disastro ecosanitario dei Pfas in Italia.
Ne abbiamo abbondantemente trattato da pagina 329 primo volume  del dossier “Pfas. Basta!” (disponibile a chi ne fa richiesta). Nello stralcio della Rete Ambientalista (https://www.rete-ambientalista.it/2022/09/28/due-medici-al-centro-dei-processi-pfas-di-vicenza-e-alessandria-giovanni-costa/ ) è ricostruito il ruolo di questo medico  garante improbabile delle problematiche di rischio sanitario e ambientale collegato ai Pfas, e delle correlate azioni di prevenzione e limitazione, ovvero di divieto del loro uso.
 
In estrema sintesi. Costa rappresentava l’azienda tra i produttori mondiali di Pfas e anche nei meeting internazionali: aveva una conoscenza aggiornata e tempestiva su tutte le novità emerse nei decenni dalla comunità scientifica sui gravissimi rischi connessi ai Pfas. Conoscenza che i produttori appunto nascondevano. Infatti la “Commissione parlamentare di inchiesta sugli ecoreati” contesta diffusamente ogni attendibilità delle sue tranquillizzanti “relazioni cliniche” sullo stato di salute dei lavoratori, per concludere la censura: “In realtà, l’unico obiettivo delle varie relazioni del professor Costa sembra essere, per un verso, quello di dimostrare il rispetto dei valori di riferimento indicati, come invece si è visto molto elevati e, per altro verso, l’assenza di ‘significativo rischio di patologie correlate al lavoro’Insomma, Costa si sarebbe sempre  impegnato a coprire gli interessi aziendali di produrre ad ogni costo… umano.
 
Nel suddetto stralcio si può leggere che avevamo anticipato già dal 2009 la censura della “Commissione parlamentare di inchiesta sugli ecoreati”, denunciando ufficialmente “di occultare la gravità della condizione sanitaria dei lavoratori e dei cittadini ingannando l’ignavia dell’Arpa”. Lino Balza sfidò invano Giovanni Costa ad un confronto pubblico tramite il basilare documento depositato 15 anni fa in Procura articolato in 24 dettagliatissimi punti / capi di imputazione quanto meno morali”. 
 
Così concludeva la ventiquattresima domanda: “24) In conclusione, dott. Costa, Lei è d’accordo con Solvay che rassicurante sostiene essere questa sostanza – che provoca tumori/ malformazioni/alterazioni sessuali –  pressoché innocua o benefica all’uomo italiano, anzi associata a cromo esavalente e a una montagna di altri 20 veleni che colano nelle falde acquifere? Oppure ammette che, dopo gli studi internazionali, dopo i miliardi di risarcimenti, dopo che è messo al bando in tutto il mondo perché tossico/teratogeno/mutageno/cancerogeno, il PFOA deve essere finalmente, oggi, 2009, senza rinvii, eliminato dalle lavorazioni dello stabilimento di Spinetta Marengo che contaminano il sangue di lavoratori e cittadini, e avvelenano le falde e i fiumi Bormida, Tanaro e Po fino alla foce, e che debbono essere indennizzati i danni alle persone e all’ambiente? I lavoratori e i cittadini si costituiranno parti civili al processo”.
 
Purtroppo le Vittime non sono ancora state risarcite. Men che meno puniti i responsabili, oggi 2024.  

Per i Pfas, in Olanda non restano a guardare.

Da un lato, studi legali dimostreranno -come illustreremo prossimamente con lo sguardo rivolto alla Solvay di Spinetta Marengo-  che  l’azione inibitoria risarcitoria  può essere rivolta contro l’azienda inquinante ma anche contro le Istituzioni. Dall’altro, le aziende di distribuzione dell’acqua in Olanda chiedono al nuovo governo di aiutare a affrontare l’inquinamento idrico nei Paesi Bassi. Le organizzazioni sono preoccupate per la crescente presenza di sostanze nocive e chiedono un divieto su tali sostanze, c .

Le aziende di distribuzione e i consorzi idrici ritengono di non poter affrontare il problema da soli. Solo i consorzi di gestione idrica investono oltre mezzo miliardo di euro nella depurazione delle acque reflue, trattando 2 miliardi di metri cubi all’anno. Dunque ritengono indispensabile l’intervento del governo per la pianificazione territoriale e la legislazione.

Taranto respira aria di speranza dopo la sentenza della Corte di Giustizia UE.

La storica sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea rappresenta un passo decisivo nella lotta contro l’inquinamento dell’#Ilva di Taranto, una lotta che rappresenta le nostre speranze per il futuro.
 
In prima linea in questa guerra di civiltà ci sono stati i Genitori Tarantini, cittadine e cittadini caparbi che con la loro tenacia e il loro dolore hanno saputo scuotere le coscienze e portare alla luce la drammatica realtà di una città strangolata dall’inquinamento. La loro perseveranza, il loro rifiuto di arrendersi di fronte a ostacoli e indifferenza, sono un esempio per tutti noi.
 
La massima autorità europea ha infatti sancito quello che ogni buon padre di famiglia avrebbe detto, ossia che di fronte a pericoli gravi e rilevanti per l’ambiente e per la salute umana, la produzione dell’Ilva di Taranto dovrà essere sospesa. 
 
Spetta al Tribunale di Milano valutare adesso se le autorizzazioni dall’azienda ricevute mettono in pericolo la salute pubblica e non è un caso che sia stato presentato in questi giorni uno studio di impatto sanitario aggiornato “post operam” (dopo l’attuazione delle prescrizioni ambientali dell’AIA) volto nuovamente a considerare accettabile il rischio alla luce delle novità introdotte dall’attuazione dell’AIA nel 2023. Anche su questo occorrerà lavorare per riportare l’evidenza scientifica al servizio della salute pubblica. Clicca qui.

Assieme al micro monitoraggio: la mini diffida preelettorale.

Per raggranellare qualche preferenza alle Regionali, Enrico Bussalino, alla vigilia del voto, ha fatto finta di inviare alla Solvay una diffida quale presidente uscente della Provincia di Alessandria, storica complice. Una “diffidina”a cavallo del voto: per 30 giorni sospendere la produzione e l’utilizzo del Pfas cC6O4 in tutto lo stabilimento e rispettare le prescrizioni previste dall’autorizzazione AIA (con generoso valore limite dello scarico).
 
D’altronde Solvay, che ha protestato senza vivacità, aveva, per evitare il fermo della magistratura, già preceduto il provvedimento spegnendo “precauzionalmente” il  “reattore E” dopo l’allarme delle reti idriche e il clamoroso riscontro del colabrodo aziendale con ripetute quantità anomale, dalle vasche d’emergenza e dalle cosiddette barriere di contenimento,  in falda e in Bormida  di cC6O4, e non solo: anche degli altri Pfas, Pfoa e ADV.
 
Ebbene, Solvay non avrà difficoltà a trasmettere un cronoprogramma di sondaggi finalizzati a rilevare la ripristinata ridotta presenza del cC6O4 prodotto e utilizzato, e a trasmettere un piano di interventi e verifiche esteso a tutte le aree dello stabilimento. Ovviamente, come sempre, il programma sarà approvato dall’Ente provinciale, dopo aver acquisito i pareri e i contributi tecnici dell’Arpa, del Comune e dell’Asl, usufruendo presumibilmente anche dell’uscita di scena del dirigente provinciale firmatario delle diffide.
 
Così penserà di salvare la faccia, ma non la coscienza, il sindaco di Alessandria che non firma l’ordinanza di fermata delle produzioni inquinanti, appena disturbato nei mesi scorsi dai giornali che fotografano le ennesime schiume di Pfas scaricate in Bormida, i cittadini che fiutano Pfas nell’aria e dai pozzi dell’acquedotto.
 
Chi e come, dunque, può fermare Solvay? Se ne occuperà l’autorità giudiziaria? Forse, ma quando sarà a regime il nuovo processo penale, forse entro un anno.  Oppure bloccherà il colosso chimico  una azione civile inibitoria e risarcitoria.

Solvay strumentalizza anche gli studenti.

Nella foto riconosciamo Andrea Diotto, direttore imputato nell’attuale processo in Alessandria per disastro ambientale reiterato (e il nuovo direttore che noi candidiamo per il prossimo). 

Clicca qui “Il Corriere Nazionale”.

Diotto, appena promosso ad alto incarico, si mostra molto “pacioccoso” dopo aver lasciato la dirigenza dello stabilimento, non turbato per la vicenda giudiziaria, e immedesimato nel suo ruolo di sponsor della Solvay di Spinetta Marengo.

Dopo il finanziamento all’Università di Alessandria, l’attenzione sui media della multinazionale belga infatti  prosegue con l’Istituto Volta di Alessandria, che  si è aggiudicato il Primo premio assoluto nell’ambito del progetto “Idrogeno al Quadrato”. Il premio, specifica la “velina”, è organizzato dal Rotary Club di Alessandria, presieduto dall’ingegnere Andrea Diotto, in collaborazione con l’azienda Solvay, presieduta dall’ingegnere Andrea Diotto. Coincidenze casuali.

“La sinergia con i partner del nostro territorio conferma il valore di una progettualità che aiuta a crescere gli studenti con uno sguardo concreto verso le urgenze del futuro davvero più impellenti, tra cui la ricerca di azioni davvero volte alla tutela dell’ambiente” ha sottolineato la dirigente scolastica Maria Elena Dealessi, nella foto, prendendo appunto a riferimento la tutela dell’ambiente  che emerge dai capi di imputazione del processo in corso.

Altra delusione dai Cinquestelle.

Il 28 maggio si è tenuta una iniziativa elettorale dei Cinquestelle ospitata nella coreografia parlamentare di San Macuto Roma, di fronte ad una platea di Greenpeace, Presa diretta, Isde, Università, CNR-IRSA, Comitati, giornalisti, eccetera.

A Sergio Costa, vice presidente della Camera dei deputati, che ha presieduto l’iniziativa, avevamo chiesto: 1) Una autocritica  in de-merito del suo operato del 2020, quando era Ministro dell’Ambiente e in quella strategica veste aveva  preso solenne impegno di fonte alle MammeNoPfas “incazzate”, di abbassare i limiti dei PFAS a ZERO.  Invece non se ne fece niente.  2) Un’autocritica dei Cinquestelle  per aver insabbiato in Parlamento, insieme agli altri partiti, il Disegno di Legge per la messa al bando dei Pfas in Italia, pur  presentato dal  senatore (Mattia Crucioli) del suo stesso partito (e concordato con comitati e associazioni).

Ebbene. All’autocritica Costa ha preferito l’autocelebrazione elettoralistica. Soprattutto, gli impegni concreti per Giuseppe Conte costituiranno a) in una Mozione d’aula che chieda ai parlamentari si o no ai Pfas, b) nel recupero del Collegato ambientale di quando era al governo Conte, c) nella promessa che quando i Cinquestelle torneranno al governo presenteranno  un disegno di legge sui Pfas (quale? quello di Crucioli? non si sa).

Insomma. Considerato che la Mozione è acqua fresca, la sognata caduta del governo Meloni fra cinque-dieci anni, ad essere ottimisti,  lascerebbe comunque malati e morti di Alessandria ad ammalarsi e morire per altri cinque-dieci anni, ad essere ottimisti.  

Ad evitare questa tragedia c’è una sola via di uscita: che una azione inibitoria e risarcitoria obblighi -ora, subito- Solvay di Spinetta Marengo (AL) a fermare le produzioni inquinanti. Ma i Cinquestelle non hanno annunciato di partecipare all’azione giudiziaria. Andremo avanti noi con chi ci sta.

Clicca la foto per vedere il video delle mamme incazzate.

Il sindaco non chiude, chiudiamola noi.

Schiume nel Fiume Bormida in prossimità dello scarico del Polo Chimico di Spinetta Marengo: l’intervento di Arpa

17 maggio 2024 Arpa Piemonte è stata allerta nella tarda mattinata di oggi, 17 maggio 2024, per la presenza di schiume nel Fiume Bormida in prossimità dello scarico del Polo chimico di Spinetta Marengo (AL). I tecnici dell’Agenzia sono tempestivamente intervenuti per gli accertamenti del caso, procedendo anche al prelievo di alcuni campioni delle schiume che saranno analizzati nei laboratori di Arpa. L’intervento, alle ore 14.20, è ancora in corso.

L’Arpa avverte l’ennesima onda di Pfas scaricata da Solvay nel fiume Bormida. Anche questa volta il sindaco non provvederà, come dovrebbe quale massima autorità sanitaria locale, a emettere l’ordinanza di chiusura delle produzioni inquinanti. Dunque dobbiamo provvedere noi.

Dunque, al bando dei Pfas in Italia dobbiamo provvedere noi con una iniziativa dal basso: con una azione inibitoria popolare, una class action giudiziaria, che imponga la chiusura immediata  delle produzioni Pfas inquinanti della Solvay di Spinetta Marengo, l’unica produttrice di Pfas in Italia. Si tratta di tagliare la testa al toro, agire alla radice per estirpare la ramificazione velenosa, eliminare le produzioni a monte per eliminare a valle l’uso dei Pfas ormai onnipresenti in tutte le industrie nazionali. Senza questa chiusura immediata, occorre rassegnarsi alle morti e alle malattie in Italia, che, come per l’amianto, si protrarranno per decenni: clicca qui.

Invitiamo tutti, singoli, movimenti, associazioni, a comunicare  a questo indirizzo lino.balza.2019@gmail.com l’adesione a questa iniziativa di class action.

Il nuovo processo non fermerà Pfas e Solvay

Clicca qui l’intervista di Lino Balza a BuZz.

Dunque, al bando dei Pfas in Italia dobbiamo provvedere noi con una iniziativa dal basso: con una azione inibitoria popolare, una class action giudiziaria, che imponga la chiusura immediata  delle produzioni Pfas inquinanti della Solvay di Spinetta Marengo, l’unica produttrice di Pfas in Italia. Si tratta di tagliare la testa al toro, agire alla radice per estirpare la ramificazione velenosa, eliminare le produzioni a monte per eliminare a valle l’uso dei Pfas  ormai onnipresenti in tutte le industrie nazionali. Il Movimento di lotta per la salute Maccacaro, la nostra Lista è disponibile per sostenere questa  ambiziosa iniziativa. Quanti dei 40mila che da anni ci seguono, soprattutto quanti Movimenti, quante Associazioni, sono disponibili?

Senza questa chiusura immediata, occorre rassegnarsi alle morti e alle malattie che, come per l’amianto, si protrarranno per decenni. Restare cioè in attesa dell’approvazione europea della aleatoria proposta di restrizione dopo il 2027, ovvero con deroghe da cinque a dodici anni  per non so quanti settori industriali.

Rassegnarsi cioè a un Parlamento che non metterà mai al bando i Pfas, avendo già ibernato nella passata legislatura il disegno di legge (ex senatore Crucioli) che avrebbe vietato  la lavorazione, l’uso, la commercializzazione, il trattamento e lo smaltimento, nel territorio nazionale, delle sostanze poli e perfluoroalchiliche (PFAS) e dei prodotti che le contengono; e dettando  norme per la loro dismissione dalla produzione e dal commercio, per la cessazione dell’importazione, dell’esportazione e dell’utilizzazione dei PFAS e dei prodotti che li contengono, per la realizzazione di misure di decontaminazione e di bonifica delle aree interessate dall’inquinamento,  per la ricerca finalizzata alla individuazione di materiali sostitutivi, alla riconversione produttiva e per il controllo sull’inquinamento da PFAS.

Rassegnarsi cioè alla famiglia Pfas di circa diecimila composti chimici di sintesi, ampiamente utilizzati dalle industrie per conferire proprietà resistenti, idrorepellenti, antifiamma, a una infinità di prodotti di largo consumo, imballaggi alimentari, carta forno, filo interdentale, cosmetici, capi di abbigliamento, schiume antincendio, rivestimenti metallici, antiaderenti per padelle, creme e cosmetici, vernici e fotografia, cromatura, pesticidi, prodotti farmaceutici eccetera.

Rassegnarsi cioè ai forever chemicals: indistruttibili che non si degradano mai nell’ambiente, attraverso il rilascio di acque reflue industriali, nonché emissioni nell’aria da siti di produzione industriale seguite dalla deposizione sul suolo e sui corpi idrici, attraverso impianti di trattamento delle acque reflue  urbane e i fanghi, insomma  che possono attraverso l’aria, l’acqua penetrare nelle falde acquifere fino ad arrivare nei campi, nei prodotti agricoli e quindi all’interno dei nostri organismi dove si accumulano.

Rassegnarsi cioè ad assumere questi tossici e cancerogeni dall’aria attraverso la pelle e i polmoni, dall’acqua potabile, nel cibo della catena alimentare, bestiame allevato su terreni contaminati, carne, latte, uova; ma anche tramite creme e cosmetici per la pelle o tramite l’aria proveniente da spray e polvere proveniente da tessuti rivestiti con Pfas, ma anche attraverso pavimenti, legno, pietra e prodotti per la lucidatura e la pulizia delle automobili, ma anche tramite  farmaci e nelle apparecchiature mediche, eccetera.

Rassegnarsi cioè a questi composti correlati alle più perniciose patologie:  alterazioni endocrine, impatto sul sistema immunitario, danno epatico e problemi al sistema riproduttivo, steatosi e insufficienza epatica, alterazioni nei livelli di ormoni tiroidei e sessualiridotta qualità del seme negli uomini, sterilità, aumento del rischio di parto prematuro e del ritardo nella crescita fetale e di sviluppo, vari tipi di tumore, colesterolo, diabete, ipertensione, ipercolesterolemia, immunotossicità, suscettibilità alle infezioni, eccetera.

La Provincia principale (involontaria) teste di accusa contro Solvay.

Le Amministrazioni locali che storicamente hanno sempre fatto da copertura alle malefatte dei padroni (ieri Montedison oggi Solvay ) del polo chimico di Spinetta Marengo (Alessandria), in questo periodo, sotto la pressione della nostra campagna di contestazione (soprattutto: “messa al bando dei Pfas”) e in fibrillazione per le competizioni elettorali (europee e regionali), stanno facendo finta di prendersela con Solvay.

La Regione Piemonte, invece di acconsentire al rivendicato monitoraggio del sangue a tutta la popolazione provinciale a rischio di Pfas, annuncia la finzione di un minibiomonitoraggio riservato a un centinaio di persone pescate il più lontano possibile dall’epicentro industriale (clicca qui).

Il Sindaco di Alessandria, invece di fermare con una ordinanza le produzioni di Solvay, fa finta di promuovere gli esami del sangue… annunciando uno stanziamento di pochi euro (clicca qui).

La Provincia di Alessandria, da noi contestatissima per aver rilasciato a Solvay spensierati rinnovi di autorizzazioni AIA di produzioni inquinanti (magari scadute e con effetto retroattivo), ha fatto scoppiare sopra la multinazionale belga un fuoco d’artificio che voleva essere innocuo: un poco di rumore e fumo. Però il maldestro candidato alla poltroncina  regionale ha trascurato che i fuochi pirotecnici producono quattro “effetti primari”: luce, rumore, fumo, e materiale di combustione in ricaduta. Fuor di metafora, con una inedita ordinanza la Provincia intima a Solvay e Edison (ex Montedison) di provvedere -pro quota- a bonifica e ripristino ambientale dei terreni e delle acque sotterranee attorno al polo chimico: tutti pacificamente consapevoli che Solvay giocherà la partita tra le mura di casa di Tar e Consiglio Stato tramite ricorso all’ordinanza, dunque pareggiando e vincendo dopo i lunghissimi tempi supplementari. Edison a sua volta li raddoppierà.

Fumo e rumore per nulla, dunque? Fino ad un certo punto. L’ordinanza sarà nel processo in corso impugnata dalla Procura e dal Ministero dell’Ambiente come testimonianza della Provincia a  prova dei capi di accusa. Infatti, l’ordinanza arriva capillarmente a stabilire le quote di  inquinamento per ciascun impianto e linea produttiva e relativi effetti dentro e fuori la fabbrica, e perfino le percentuali di responsabilità di ogni sostanza inquinante, dall’incontenibile cromo esavalente al pfas C6O4 beniamino di Solvay.

Speciale Pfas 9. Il nuovo processo è stato inventato dai PM: senza alcun fondamento di reati.

Gli storici  avvocati di Solvay, Luca Santa Maria e Dario Bolognesi, sono intervenuti di peso nel dibattito pubblico e anche con una  nota depositata alla Procura di Alessandria, titolare del (secondo) processo che la multinazionale belga sta tentando di rinviare con espedienti e cavilli processuali, e prima di ripetere la criminalizzazione del PM (come nel primo processo).    

Se il contenuto vuole essere intimidatorio, il tono è apodittico: affermazioni dogmatiche, che vorrebbero essere verità assolute, inconfutabili, mentre appaiono senza sostegno di prove. Affermazioni palesemente infondate, ovvero bugiarde:

La Cassazione ha assolto Solvay per il disastro ambientale: causato invece da  Ausimont-Edison, peraltro venditrice truffaldina a celarlo.

L’incolpevole Solvay si è generosamente fatta carico di Messa in Sicurezza Operativa e Interventi di Bonifica, ovvero la barriera idraulica.

Così, grazie a Solvay, è indubbio un significativo miglioramento dello stato qualitativo dei suoli e delle acque sotterranee, sia all’interno che all’esterno del sito.

Per prima, la Cassazione aveva già confermato che l’acqua di Alessandria è sempre stata potabile.

Anche per quanto riguarda l’aria, le analisi confermano che i PFAS nell’aria sono inferiori ai limiti di rilevabilità.

Insomma, non sono quindi assolutamente ipotizzabili rischi per la salute pubblica.

E’ criminale difendere le produzioni di Pfas.

Il polo chimico di Spinetta Marengo è come un enorme iceberg alla deriva. Che Solvay non ha affrontato neppure dopo la sentenza della Cassazione. Anzi l’ha acutizzato non riuscendo neppure a mettere sotto controllo i Pfas.  I Pfas rappresentano, da decenni, la “punta dell’iceberg” di tossici e cancerogeni emessi in suolo-acqua-aria: massa composta da cromo esavalente, arsenico, antimonio, nichel, selenio, DDT, fluorurati, solfati, idrocarburi, metalli pesanti, solventi organici clorurati, cloroformio, trielina acido fluoridrico, acido cloridrico, ammoniaca, alcoli, anidride fosforica, iodurati, Zn, idrossido di potassio, NOx, SOx, polveri eccetera. Sarebbe riduttivo concentrare sui Pfas il processo-bis di Alessandria, ignorerebbe la sentenza della Cassazione.

 La rivendicazione di mettere al bando i Pfas, tutto sommato si limiterebbe ad eliminare la punta dell’iceberg, ma  Solvay la percepisce come  “Cavallo di Troia” per espugnare l’intera roccaforte chimica spinettese. E proprio sui Pfas la Solvay oggi ha eretto la propria “Linea Maginot”: e dopo aver giurato per decenni che il  Pfas killer PFOA non era cancerogeno, ora spergiura per i Pfas ADV e C6O4 e per i futuri Pfas essi sì ancora più innocui, dunque indispensabili per altri 60 anni per rendere resistenti, ignifughi e idrorepellenti rivestimenti antiaderenti, schiumogeni antincendio, tessuti impermeabili, pesticidi, materiali per l’edilizia e prodotti per la pulizia e l’igiene personale ecc.

Solvay pretende di restare, almeno fino al 2026, l’unica produttrice di Pfas in Italia di queste sostanze devastanti per la salute umana, individuate nel sangue, nel latte materno, nella placenta, nel siero, nel liquido seminale e nei capelli eccetera, dopo che,  a causa della loro alta stabilità molecolare, si diffondono  ampiamente indistruttibili nell’ambiente, si riversano in grandi quantità nei bacini idrici, da dove possono percorrere grandi distanze, entrando nell’ecosistema acquatico e risalendo la catena alimentare fino agli esseri umani.

L’efferata pervicacia di Solvay resiste alla mole di evidenze scientifiche accumulatesi, compresa l’analisi comparativa trascrizionale pubblicata sulla rivista Toxics e con il titolo “Cross-Species Transcriptomics Analysis Highlights Conserved Molecular Responses to Per- and Polyfluoroalkyl Substances”,  realizzata dagli scienziati del  Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna e dell’Università di Padova, studio che non lascia alcun dubbio su quanto le diverse molecole di PFAS (4.730 molecole: la più estesa famiglia di inquinanti emergenti) influenzano vie ormonali e vie metaboliche.

I Pfas provocano una forte regressione del metabolismo e del trasporto dei lipidi e di altri processi correlati allo sviluppo ovarico, alla produzione di estrogeni, all’ovulazione e al funzionamento fisiologico del sistema riproduttivo femminile; tutti elementi che spiegano gli effetti dannosi dei PFAS sulla fertilità e sullo sviluppo fetale. Mostrano che l’esposizione ai PFAS produce una sovraregolazione del gene ID1, coinvolto nello sviluppo di vari tipi di cancrotra cui leucemia, cancro al seno e al pancreas. I dati epidemiologici suggeriscono  che un’elevata esposizione inoltre aumenta significativamente la mortalità di individui affetti da neoplasie maligne dei tessuti linfatici ed ematopoietici, come milza, fegato e midollo osseo. L’effetto tossico dei PFAS sul sistema immunitario spiega l’indebolimento delle reazioni immunitarie, della produzione di anticorpi e delle risposte alle vaccinazioni, osservato in particolare nei bambini esposti ai PFAS durante il periodo prenatale e postnatale. L’esposizione aumenta anche la concentrazione nel siero dei marcatori di stress infiammatorio e ossidativo e favorisce così lo sviluppo di malattie sistemiche, come il danno epatico e le malattie cardiovascolari, tra cui l’aterosclerosi e gli eventi tromboembolici.

Chi ha inquinato deve pagare.

Questo processo-bis ad Alessandria terrà conto della nuova Direttiva approvata dal Parlamento Europeo? Riprenderà, nell’accusa, il reato di “dolo” formulato dalla Procura nel 2010 ma nella sentenza riformato (con fortissimi sconti di pena) in reato di “colpa”? 

La nuova direttiva sulla protezione dell’ambiente include i cosiddetti “reati qualificati“, che portano alla distruzione o al danneggiamento significativo di un ecosistema e sono quindi paragonabili all’ecocidio: ad esempio l’inquinamento diffuso di aria, acqua e suolo.

Per gli imputati, le conseguenze per aver commesso un reato ambientale possono essere pene detentive fino a dieci anni se la loro azione causa la morte di una persona. Nella maggior parte dei casi, comunque, la pena prevista per reati commessi con negligenza è di cinque anniotto per quanto riguarda i “reati qualificati“.

“La nuova direttiva apre una nuova pagina nella storia dell’Europa, definendo una tutela nei confronti di coloro che danneggiano gli ecosistemi e, attraverso di essi, la salute umana. Significa porre fine all’impunità ambientale in Europa, cosa cruciale e urgente” afferma Antonius Manders  relatore della direttiva. Di questa impunità in Italia abbiamo ampiamente documentato nei due libri “Ambiente Delitto Perfetto” di Barbara Tartaglione e Lino Balza, prefazione di Giorgio Nebbia.

A seguito di questa Direttiva, Solvay non si preoccuperebbe come sempre dei direttori, adeguatamente retribuiti per il rischio “professionale”, al presente: Andrea Diotto e Stefano Bigini, ma  al più per le pene pecuniarie: le sanzioni arrivano fino al 5% del fatturato annuo globale di un’azienda responsabile di reati ambientali o alla cifra fissa di 40 milioni di euro, a discrezione degli Stati membri.  I trasgressori dovranno inoltre risarcire il danno causato e ripristinare l’ambiente danneggiato.

Solvay si nasconde dietro le autorizzazioni (AIA) della Provincia di Alessandria. Secondo la precedente direttiva Ue sui reati ambientali, finché un’impresa   rispettava le condizioni di un’autorizzazione, essa pretendeva che le sue azioni non fossero considerate illegali. Un esempio, raccontato da Antonius Manders riguarda il caso giudiziario dell’industria chimica olandese Chemours che nel lontano 1982 ottenne l’autorizzazione a sversare nelle acque i Pfas prima che queste sostanze fossero identificate come dannose per la salute umana. Questa foglia di fico, oggi, non copre i dirigenti Solvay che, dolosamente, hanno sempre saputo che i Pfas sono tossici e cancerogeni. 

“La politica si svegli, i Pfas uccidono”.

Alla vigilia del secondo processo contro Solvay, Greenpeace ammonisce “Non possiamo sempre sperare nella magistratura come garante di qualsiasi contenzioso. Se ci sono dati e numeri inequivocabili, il legislatore deve intervenire. Invece, rispetto al caso Pfas, la politica in questi anni ha deciso consapevolmente di non intervenire. Ma da che parte stanno le istituzioni, con le lobby industriali o con l’interesse pubblico?”. Giuseppe Ungherese, responsabile dell’associazione non mostra molta fiducia sull’esito dei procedimenti penali: né di Vicenza per la Miteni già iniziato  né questo di  Alessandria che, per le solite manovre dilatorie, stenta ad avviarsi davanti al GUP. Forse non parteciperà, forse opterà per azioni giudiziarie in sede civile. Infatti negli Stati Uniti c’è stata una lunga battaglia giudiziaria di cause civili che ha dato vita a risarcimenti impressionanti e indotto le aziende a cessare le produzioni.

Per i disastri eco sanitari le istituzioni sotto accusa sono quelle locali, Comuni e Regioni, mentre i governi sono rimasti preda delle lobby industriali; così il Disegno di Legge del senatore Crucioli, per la messa al bando dei Pfas in Italia giace sepolto in Parlamento. 

Azione collettiva contro Philips per respiratori difettosi.

La multinazionale Philips – Respironics, che per anni aveva venduto dispositivi medici difettosi, deve pagare una penale di 20mila euro per ogni giorno di ritardo nel ritiro e sostituzione dei suoi prodotti, a partire dalla data del 30 giugno 2023. Lo ha deciso la Corte di Appello di Milano, sezione XIV Civile, pronunciandosi in merito a una class action avanzata dall’Associazione Apnoici Italiani e da Adusbef assistite dal pool di legali dell’avvocato Stefano Bertone per conto di più di 100mila pazienti italiani.

I dispositivi di respirazione contro l’apnea notturna a marchio Philips che contenevano una schiuma fonoassorbente con potenziali tossici e cancerogeni, in alcuni casi usati persino su pazienti Covid-19, comportando gravi rischi per la salute dei pazienti che se ne avvalgono per la cura dei disturbi del sonno e di diverse patologie delle vie respiratorie.

Azione collettiva contro Solvay per i Pfas. Per toccarla nel portafoglio.

Guardando questo video di Rai3 qualcuno potrebbe immaginare che sia stato girato quindici  anni fa quando denunciai anche in magistratura che i Pfas della Solvay di Spinetta Marengo, tramite scarichi in aria-suolo-acqua, si accumulavano indistruttibili nelle falde acquifere e nel sangue dei lavoratori e dei cittadini di Alessandria.

Invece, nel 2024, si ascolta nel video un dirigente della Sanità del Piemonte  affermare “quando sapremo se ci sono Pfas nel sangue, saranno prese delle misure di sanità pubblica”, anzi avanza già  il dubbio che “le malattie non siano state contratte a Spinetta Marengo ma in altre sedi di lavoro”. Sembra uno che, malgrado l’età, negli ultimi 20 anni non abbia mai sentito parlare del polo chimico spinettese, dei Pfas e degli altri 20 inquinanti tossici cancerogeni, né delle indagini ambientali Arpa, delle almeno nove indagini epidemiologiche (l’ultima, del 2019, è citata dall’ex assessore), né dell’indagine dell’Università di Liegi, delle ispezioni ONU e del Parlamento, né dei miei 20 esposti, del processo penale fino alla Cassazione, del caso Miteni, né dell’allarme Pfas nelle Nazioni mondiali e nelle Regioni italiane, della sterminata letteratura scientifica,  dell’espandersi della divulgazione giornalistica… ormai fin anche su Topolino.

O lo è, oppure lo fa. Lo fa, lo fa: perché già mette le mani avanti: è tutto da dimostrare che “le malattie siano state contratte a Spinetta Marengo oppure  in altre sedi di lavoro”. Mica vogliamo incolpare SolvayLo fa, lo fa. E’ da venti anni che la Regione Piemonte, subalterna con i sindaci alla multinazionale belga, si oppone alla nostra richiesta di monitoraggio ematico di massa della popolazione alessandrina, onde evitare l’esibizione di un gigantesco delitto sanitario: la prova regina, “la pistola fumante” che costringerebbe Solvay a quella fermata delle produzioni incriminate che spettava al sindaco quale massima autorità sanitaria locale. L’avvio, obtorto collo, di un mini monitoraggio del sangue -un centinaio di persone discoste dall’epicentro urbano inquinato- è un altro lento espediente: “rallenty” utile alla giunta regionale per bypassare la scadenza elettorale ma soprattutto che serve strategicamente alla Solvay per prendere tempo per tirare a campare … e far tirare le cuoia alla gente. (clicca qui).

Nella strategia a medio termine di Solvay ci stanno una simulata fuoriuscita dai Pfas e alcuni snodi di carattere giuridico. Uno è il nuovo processo penale in coda alla sentenza di Cassazione, che prende avvio dal GUP il 4 marzo prossimo. L’altro è la partenza di cause civili e azioni collettive, anche inibitorie, con l’assistenza di un pool di legali di Alessandria e Torino. Queste azioni stanno dimostrando una efficacia sottovalutata in passato. Infatti, quando si trattava  di reati ambientali e sanitari, gli avvocati in Italia non andavano oltre le cause in sede penale (peraltro con deboli benefici per l’ambiente), a differenza di altri Paesi, soprattutto degli Stati Uniti dove il fenomeno delle “class actions” costituisce uno dei punti fondamentali del sistema processuale perché fornisce valide forme di tutela alle varie situazioni a rilevanza sovra individuale.

Alle azioni collettive, alla class action, sollecitava il procuratore generale della Suprema Corte di Cassazione: «Mi auguro che seguano centinaia, migliaia di cause civili per toccare questa gente nel portafoglio”.

Il secondo e forse ultimo processo alla Solvay di Spinetta Marengo e la prima class action in Italia.

Stanno per iniziare  il secondo e forse ultimo processo alla Solvay di Spinetta Marengo e la prima Class action in Italia. A qualunque storico o giornalista, e non solo, che volesse seguire il prossimo procedimento in  Corte di Assise di Alessandria sarebbe estremamente utile la conoscenza della genesi storica, che  è contenuta nel secondo volume di “Ambiente Delitto Perfetto” (pagine 444, clicca qui): in particolare la documentazione riferita al processo in Corte di Assise di Alessandria del 2012, in Corte di Assise d’Appello di Torino del  2018 e in  Corte di Cassazione del  2019. Nonché i 20 Esposti alla Procura della Repubblica dal 2008 al 2023 mai respinti con archiviazione: 9 depositati e presso il procuratore capo Michele Di Lecce, e culminati con l’azione penale del 2012 condividendo il reato di dolo per tutta la catena di comando, 11 presso il P.R. Enrico Ceri e sfociati (insieme all’esposto di Legambiente e a quello del WWF) nel prossimo processo ma purtroppo ristretti al reato di colpa e per due imputati minori.

Per completare l’informazione, nella prima parte di questa trattazione, dal titolo La strage silenziosa dell’amianto e dei Pfas (clicca), abbiamo esaminato la catastrofe ecosanitaria dal punto di  vista sanitario, la linea difensiva della Solvay sullo sfondo della complicità con le istituzioni comunale e regionale che non fermano le produzioni né sottopongono a biomonitoraggio le popolazioni con i più alti tassi di morbilità e mortalità, mentre riecheggia l’eco del monito del Procuratore generale della Cassazione: «Mi auguro che seguano centinaia, migliaia di cause civili per toccare questa gente nel portafoglio”.

In questa seconda parte, affronteremo gli aspetti ambientali che stanno a monte di quelli sanitari.

La difesa della presidente Solvay in tribunale. (clicca qui)

Ristampa straordinaria del secondo volume.

Premesso che i nostri libri sono stampati a spese degli autori e il ricavato interamente devoluto alla ricerca per la cura del mesotelioma, e che il volume secondo di ”Ambiente Delitto Perfetto” è esaurito in stampa, abbiamo proposto di stamparlo in numero limitato (e dunque costoso) di copie. Informiamo quanti ci hanno chiesto il prezzo , che la miglior tipografia chiede 20 euro per stampa in nero e 50 a colori. Chi intende usufruirne è invitato a segnalare la propria disponibilità a lino.balza.2019@gmail.com.

Stanno per iniziare  il secondo e forse ultimo processo alla Solvay di Spinetta Marengo e la prima Class action in Italia. A qualunque storico o giornalista, e non solo, che volesse seguire il prossimo procedimento in Corte di Assise di Alessandria sarebbe estremamente utile la conoscenza della genesi storica, che  è contenuta in questo secondo volume di “Ambiente Delitto Perfetto” (pagine 444), in particolare la documentazione riferita al processo in Corte di Assise di Alessandria del 2012, in Corte di Assise d’Appello di Torino del 2018 e in Corte di Cassazione del 2019. Nonché i 20 Esposti alla Procura della Repubblica dal 2008 al 2023 mai respinti con archiviazione: 9 depositati e presso il procuratore capo Michele Di Lecce, e culminati con l’azione penale del 2012 condividendo il reato di dolo per tutta la catena di comando, 11 presso il P.R. Enrico Ceri e sfociati (insieme all’esposto di Legambiente e a quello del WWF) nel prossimo processo ma purtroppo ristretti al reato di colpa e per due imputati minori.

Delusione per il rinvio a giudizio della Solvay di Spinetta Marengo.

Ad Alessandria, il procuratore capo Enrico Cieri (sostituto Eleonora Guerra) ha chiesto il rinvio a giudizio per due direttori dello stabilimento Solvay di Spinetta Marengo: Stefano Bigini dal 2008 fino al settembre 2018, e Andrea Diotto fino a ottobre 2023.

I direttori precedenti, tranne Luigi Guarracino, erano stati tutti assolti in un processo conclusosi dopo dieci anni in Cassazione con pene irrisorie in quanto il reato era stato derubricato da doloso (avvelenamento delle acque e omessa bonifica) a colposo (disastro ambientale). Quest’ultimo lieve reato è lo stesso che ora viene contestato, parrebbe per l’accusa di non aver bonificato il pregresso inquinamento, anzi di averlo lasciato estendere nelle acque sotterranee e a valle dello stabilimento, in particolare con alte concentrazioni di Pfas, a tacere le discariche di gessi sequestrate perché abusive.

 Ma se siamo in presenza di una palese reiterazione di reato, perché esso non è rientrato nella fattispecie di dolo? Eppoi parrebbe di nuovo assente il reato per gravissimo inquinamento atmosferico. E innanzitutto anche questo processo in tono dimesso non porterebbe risarcimenti alle Vittime, malati e morti.

L’unica novità, non so quanto di sostanza, è che si imputerebbe all’azienda l’ipotesi di responsabilità amministrativa (ex articolo 25 del 18 giugno 2001 con riferimento al reato di disastro ambientale colposo), commessa a vantaggio e nell’interesse dell’ente per il risparmio dei costi di bonifica e la maggiore efficacia della produzione industriale.

Fatta salva la riserva della lettura degli atti, in conclusione è definibile  eufemisticamente “in tono dimesso il rinvio a giudizio” perché non tiene conto  dei diciotto esposti che ho consegnato alla Procura di Alessandria, in particolare riferiti ai rischi e ai danni sanitari inferti alla popolazione e ai risarcimenti alle Vittime: malati e deceduti.

J’accuse del Movimento di lotta per la salute Maccacaro a magistratura e politica.

La vera storia di come i Pfas hanno -dolosamente- contaminato l’Italia. J’accuse: enormi responsabilità di Magistratura e Istituzioni. Oggi siamo ad un punto di svolta.

La storia delle lotte dal 1990 in Italia contro i Pfas è compresa nelle circa 500 pagine del Dossier “Pfas. Basta!”: a cura di Lino Balza del “Movimento di lotta per la salute Maccacaro”. E’ disponibile a chi ne fa richiesta. Clicca qui la sintesi cronologica, in particolare comparata tra Solvay/Piemonte e Miteni/Veneto, che così conclude:

“L’assenza di una legge nazionale non giustifica né assolve le gravi responsabilità delle Autorità locali: non è un alibi.  Una legge come l’ex DDL Crucioli non pare praticabile a breve nell’attuale quadro politico. Denunciamo il vuoto:  la calamità mondiale dei Pfas (Forever Pollution Project denuncia oltre 17mila siti contaminati da Pfas in Europa) ha in Italia le sue punte di iceberg nei disastri ambientali e sanitari (stigmatizzati anche dall’ONU) del Veneto (made in Miteni di Trissino) e del Piemonte (Solvay di Spinetta Marengo), ma ormai non lascia indenne nessuna regione della penisola: Lombardia, Toscana, Lazio, Trentino eccetera, come abbiamo più volte documentato sul nostro Sito www.rete-ambientalista.it”.

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L’azione informativa nelle scuole del Gruppo educativo Zero Pfas.

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Profuma il mondo, crea il benessere della gente.

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La prima class action contro Solvay in Italia.

Quella che stiamo aprendo è la prima class action contro Solvay in Italia: vuole, in sede civile, risarcire le Vittime, malati e defunti, non tutelati in termini di risarcimenti nei processi penali: come quello concluso in Cassazione appunto contro Solvay di Spinetta Marengo (Alessandria), peraltro con pene irrisorie e senza risultati di bonifica del territorio. Diversa è la situazione internazionale. Ad esempio, è attuale l’accordo, da 10,3 miliardi di dollari per risolvere le denunce di inquinamento idrico legate alle sostanze perfluoroalchiliche (PFAS), che è stato costretto a stipulare il colosso chimico statunitense, 3M. Implicitamente è il riconoscimento di responsabilità. Come sarebbe una sentenza italiana in sede civile. Si annunciano gli altri accordi delle multinazionali Chemours, DuPont e Corteva: più di 1 miliardo di dollari per risolvere le cause legali sui PFAS. Sono circa 4.000 le azioni legali intentate da Stati ed enti locali. In Belgio la 3M ha patteggiato con la regione fiamminga per 571 milioni di euro.

E’ una calamità mondiale che in Europa colpisce in primis tutta l’Italia (punte di iceberg Veneto-Miteni e Piemonte-Solvay) l’inquinamento da PFAS, accumulabili e indistruttibili “forever chemicals” in suolo-acqua-aria, assorbiti dal sangue provocano tumori, malattie della tiroide, obesità, problemi di fertilità, di gravidanza, malformazioni fetali eccetera. Una calamità risolvibile con la totale messa al bando (tipo DDT, CFC, Amianto) contro la quale fa muro di gomma l’astronomico business delle imprese produttrici (tutte sapevano da decenni che stavano uccidendo) e utilizzatrici: tessuti, carta, contenitori di alimenti, pellicole fotografiche, schiume antincendio, pentole antiaderenti, detergenti per la casa, biberon moquette, indumenti impermeabili, eccetera. Un futuro dunque di chiusure aziendali da provocare, però, ora, già bisogna fargli pagare i danni del passato: la distruzione ecologica e i risarcimenti alle Vittime.

CIVG – Centro di Iniziative per la Verità e la Giustizia.

Il Centro di Iniziative per la Verità e la Giustizia (clicca qui il Sito) è un soggetto indipendente da forze politiche che si propone di denunciare e smascherare l’opera di “disinformazione strategica” pianificata e attuata da media asserviti agli interessi geopolitici, economici e strategici dominanti, mirati all’aggressione di paesi e popoli che difendono il principio di autodeterminazione e contrastano la demolizione di ogni indipendenza e sovranità nazionali. Il Centro intende palesare e documentare le manipolazioni che alimentano aggressioni belliche e accrescono le ingiustizie politiche, economiche e sociali.

Dal Centro Iniziative Verità Giustizia.

Il Tribunale d’appello di Genova ha appena assolto gli imputati per il crollo della Torre Piloti avvenuto a Genova il 7 maggio 2013, quando il portacontainer Jolly Nero di proprietà della compagnia Messina abbattè durante una manovra la torre. Morirono 9 persone, tra cui Giuseppe Tusa – 30 anni – grazie alla cui madre si era aperto il processo per omicidio colposo plurimo. Adele Chiello Tusa da allora ha lottato per avere verità e giustizia per suo figlio e per tutte le altre vittime, prima contro la Procura che aveva richiesto l’archiviazione, poi presentando un corposo dossier dove si metteva in discussione non solo la leggerezza nell’aver costruito la torre in un punto assolutamente non idoneo e poi la leggerezza e le omissioni in materia di prevenzione, le false certificazioni del Rina  e tutte le menzogne che siamo purtroppo abituati ad ascoltare. Clicca qui.

Moby Prince: 140 Vittime – Zero colpevoli!

Siamo familiari, ferrovieri, cittadini di Viareggio, dove il 29 giugno 2009 un disastro ferroviario causò una strage con 32 Vittime e feriti gravissimi, e vi invitiamo a diffondere questo documento di solidarietà (clicca qui) ai familiari delle vittime della strage del Moby Prince”.   

Era il 10 aprile 1991 quando il traghetto “Moby Prince” entrò in collisione con la petroliera Agip Abruzzo, ancorata nella rada di Livorno, causando la morte di 140 persone (1 superstite) e provocando la più grave strage italiana dal dopoguerra. Dopo 32 anni nessun colpevole.

La vita di Peltier nelle mani di Biden.

Leonard Peltier, l’attivista nativo-americano in carcere da oltre 46 anni, diversi dei quali trascorsi in isolamento, si è sempre proclamato innocente, ma sta scontando due ergastoli per l’omicidio di due agenti dell’Fbi, nonostante siano emersi forti dubbi sulla correttezza del processo. Ha 78 anni, ne ha trascorsi oltre 46 in carcere e si è visto ripetutamente negare la libertà condizionata. Amnesty International chiede da tempo la grazia per Peltier, in ragione delle preoccupazioni sul corretto svolgimento del processo, del trattamento subito in carcere e  delle condizioni di salute. La difesa di Peltier ha presentato una nuova richiesta di clemenza nel luglio 2021. In occasione della Giornata di solidarietà con Peltier, Amnesty International ha sollecitato il presidente Biden ad accoglierla, per motivi umanitari e di giustizia. Per la sua liberazione si sono espresse nel corso di quasi mezzo secolo molte delle più illustri personalità mondiali, da Nelson Mandela a madre Teresa di Calcutta, da Desmond Tutu a Rigoberta Menchu’, dal Dalai Lama a papa Francesco.

Otto mesi in carcere per aver appeso uno striscione dieci anni fa?

Francesca, attivista notav, insieme ad altre donne nel luglio 2013 decise di portare uno striscione di denuncia delle violenze della polizia “Se toccano una toccano tutte”, cioè un  gesto di solidarietà femminista, “contro la violenza maschile in divisa nei confronti di una compagna”. Francesca fu denunciata, processata e condannata a 8 mesi di reclusione. Per aver appeso uno striscione secondo alcuni Siti. Per altri reati secondo il tribunale. Che prendiamo per buoni, ma quello che più sconcerta è che, ben dieci anni dopo quell’estate, il Tribunale di Sorveglianza di Torino decide di fare scontare a Francesca la pena in carcere, nonostante i pareri favorevoli della Procura generale a pene alternative. Non può non venire in mente Matteo Messina Denaro.

I processi amianto siano assegnati alle Sezioni Unite della Cassazione.

La giustizia volta le spalle.

Non è giustificabile né accettabile, che, a parità di condizioni, i processi in materia di amianto davanti alla IV sezione della Cassazione si concludano sistematicamente con l’assoluzione dei responsabili, mentre i pochi, che giungono davanti alla III Sezione si concludano con sentenze di condanna, come nel caso dell’ILVA di Taranto.  

In avvio il processo contro Solvay di Spinetta Marengo.

Andranno letti, sospendendo la severità del giudizio, gli atti appena depositati dalla Procura della Repubblica di Alessandria con l’ipotesi di disastro ambientale colposo a carico della Solvay di Spinetta Marengo. Questo processo si avvierà in primavera e avrà prevedibilmente durata decennale. Non sia un alibi per il Sindaco di Alessandria e per il Parlamento per attendere di provvedere d’urgenza rispettivamente: a emettere ordinanza di fermata delle produzioni inquinanti, ad approvare una Legge che metta al bando in Italia produzione, utilizzo, consumo dei famigerati Pfas.

Clicca qui la notizia di cronaca, con relativo apprezzamento del docufilm: pur rilevando il particolare curioso se non clamoroso che in tutta la sua durata non viene mai citato Lino Balza (e il suo cinquantenario operato), verso il quale l’autrice, Monica Gasparini, nutre una antipatia viscerale  per essere stata a suo tempo criticata come cronista (ma poi rivalutata). Il suo inscalfibile ostracismo nuoce alla deontologia giornalistica del bisettimanale locale, e soprattutto alla completezza dell’informazione sulla questione Solvay: come si evince nello stesso docufilm (al quale una consulenza non sarebbe stata superflua). Comunque, alla completezza stanno provvedendo esaurientemente i nostri Sito e Lista (38mila lettori! tra cui i locali).

L’ONU sull’occupazione delle terre palestinesi.

Il comitato per la decolonizzazione delle Nazioni Unite ha adottato una bozza palestinese di risoluzione che richiede il parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) sull’occupazione israeliana delle terre palestinesi dal 1967. 98 paesi hanno sostenuto la risoluzione, 52 si sono astenuti e 17 hanno votato contro. La misura è stata respinta da Israele. Clicca qui.

Giustizia a due velocità per il TAP.

Mentre il procedimento contro i manifestanti (reati di resistenza ed oltraggio a pubblico ufficiale, danneggiamento e violenza privata), va avanti spedito, quello (reati di carattere urbanistico e ambientale) viene continuamente rinviato (perché cambiano in continuazione i giudici) a beneficio di 19 imputati, tra cui la società Trans Adriatic Pipeline (Tap), i vertici del consorzio internazionale, Saipem e altre aziende che hanno partecipato ai lavori di costruzione fino a Melendugno (Lecce) del mega-gasdotto proveniente dall’Azerbaigian.

I processi di Vicenza e Alessandria affronteranno il nodo dei risarcimenti alle Vittime dei Pfas?

Nella vignetta del 2010 il mega dott. prof. gran matricolat.

Vincente la strategia Solvay (senza il DDL Crucioli) almeno la Giustizia assicurerà nei Tribunali i risarcimenti alle Vittime? Ma i processi di Vicenza e Alessandria lo affronteranno questo nodo dei risarcimenti alle Vittime dei Pfas?

Se sì, il dottor Giovanni Costa, secondo chi scrive, dovrebbe sedere sul banco degli imputati ai processi di Alessandria (Solvay) e Vicenza (Miteni), invece probabilmente sarà chiamato dalle difese a testimoniare spacciato come consulente, a coprire come foglia di fico la condotta dolosa dei dirigenti.

 A testimoniare cioè, come anticipato di recente dagli avvocati di Solvay /Santamaria e Bolognesi), che le due aziende da 20 anni avevano effettuato “il biomonitoraggio di tutti i lavoratori potenzialmente esposti ai PFAS nell’ambito del programma di sorveglianza sanitaria, utilizzando sempre le migliori tecniche di laboratorio e metodologie di analisi in collaborazione con i più accreditati Istituti sanitari autorizzati. I risultati delle analisi non destano alcuna preoccupazione dal punto di vista clinico-tossicologico. La sorveglianza medica pluriennale, continua e costante dei dipendenti, non indica correlazioni con effetti patologici associati all’esposizione professionale ai PFAS”. Il medico “accreditato” (addirittura professore) preposto alla sorveglianza era infatti Giovanni Costa, che regolarmente incontrava i lavoratori per rassicurarli sulle loro condizioni di salute presenti e future. Tutti da sempre sani, e ora non risarcibili.

Mi piacerebbe nelle aule dei tribunali di Vicenza e Alessandria sottoporre, in contradditorio, le 24 domande sulle  quali nel 2010 (l’anno dopo il mio esposto alla Procura)  Costa era sfuggito ad un incontro pubblico, benché sfidato sui giornali.  Così concludeva  la ventiquattresima domanda: “24) In conclusione, dott. Costa, Lei è d’accordo con Solvay che rassicurante sostiene essere questa sostanza – che provoca tumori/ malformazioni/alterazioni sessuali –  pressoché innocua o benefica all’uomo italiano, anzi associata a cromo esavalente e a una montagna di altri 20 veleni che colano nelle falde acquifere?
Oppure ammette che, dopo gli studi internazionali, dopo i miliardi di risarcimenti, dopo che è messo al bando in tutto il mondo perché tossico/teratogeno/mutageno/cancerogeno, il PFOA deve essere finalmente, oggi, senza rinvii, eliminato dalle lavorazioni dello stabilimento di Spinetta Marengo  che contaminano il sangue di lavoratori e cittadini, e avvelenano le falde e i fiumi Bormida, Tanaro e Po fino alla foce, e che debbono essere indennizzati i danni alle persone e all’ambiente?
I lavoratori e i cittadini si costituiranno parti civili al processo”.
Analogamente le domande potevano essere rivolte a Vicenza per la Miteni di Trissino.

Solo nel 2016 Costa sarà costretto a rispondere alla Commissione parlamentare di inchiesta sugli ecoreati , per quanto riguarda la Miteni. La Commissione (presidente Stefano Vignaroli ) commenta le relazioni del “professore”. Innanzitutto contesta le sue affermazioni che, nel corso degli anni, vi sarebbe stata una costante diminuzione delle quantità di PFAS presenti nel siero dei dipendenti, e che le elevatissime concentrazioni ematiche sarebbero da considerate come “limite accettabile” nei lavoratori esposti. La Commissione contesta le sue conclusioni “cliniche” che  affermano “…il controllo periodico dei lavoratori non ha rilevato significative alterazioni del loro stato di salute, sia dal punto di vista clinico generale che a livello degli indicatori biologici di effetto a carico di organi/sistemi bersaglio (in particolare quelli emopoietico, epatico, renale e metabolico). Le loro condizioni di salute sono soddisfacenti e non emergono elementi che indichino un significativo rischio di patologie correlate al lavoro, che risulta attualmente ben controllato e da considerarsi ragionevolmente entro i limiti di ampia accettabilità. Per quanto riguarda in particolare l’esposizione a PFOA, i risultati del monitoraggio biologico confermano il trend alla progressiva riduzione dell’esposizione, e conseguente concentrazione nel sangue, pur se il processo è lento e vi sono ancora sporadici casi di modesto assorbimento.”.

La  Commissione  contesta ogni attendibilità: “Accade che si è in presenza di conclusioni che poggiano su esami emato-chimici e delle urine, i cui dati tuttavia non vengono esposti, in quanto coperti da omissis, sicché è esclusa ogni possibilità di una loro verifica. Nulla viene detto in ordine all’esecuzione di accertamenti specifici sulla funzionalità nel tempo degli organi ritenuti maggiormente esposti ai composti perfluoroalchilici, quali la tiroide, i reni o il fegato, né sull’eventuale accertamento di malattie correlate a esposizioni prolungate nel tempo. In particolare non vi è cenno alcuno sulle eventuali patologie sub-letali”.

Conclude la Commissione d’Inchiesta: “In realtà, l’unico obiettivo delle varie relazioni del professor Costa sembra essere, per un verso, quello di dimostrare il rispetto dei valori di riferimento indicati, come invece  si è visto molto elevati e, per altro verso, l’assenza di ‘significativo rischio di patologie correlate al lavoro’, ‘pur nella lenta eliminazione della sostanza (PFOA) dovuta alla sua lunga emivita biologica’. Si tratta – ad avviso della Commissione di inchiesta – di una grave carenza metodologica, posto che il monitoraggio dei lavoratori  ha un senso non in relazione al rispetto di parametri astratti – peraltro, come si è visto – molto elevati, bensì in relazione alla verifica del loro effettivo stato di salute, dopo anni di assorbimento di sostanze perfluoroalchiliche, che come si è visto sono potenzialmente pericolose.

Di queste pericolosità Costa si è disinteressato per coprire gli interessi aziendali. La Commissione infatti  riporta gli studi internazionali: “Le correlazioni tra l’esposizione alle sostanze perfluoroalchiliche e l’insorgenza di numerose patologie in seguito ad esposizioni prolungate. Tra queste si possono qui brevemente ricordare: ipercolesterolemia, colite ulcerosa, malattie tiroidee, tumori del testicolo e del rene, ipertensione indotta dalla gravidanza e preeclampsia, nonché associazioni con varie patologie cardiovascolari quali arteriosclerosi, ischemie cerebrali e cardiache, infarto miocardico acuto e diabete. Queste considerazioni diventano tanto più gravi se si guarda ad alcuni studi che indicano anche dati quantitativi nella associazione tra l’insorgenza delle patologie e le concentrazioni di esposizione.”

Come si legge, la censura a Giovanni  Costa  della Commissione parlamentare di inchiesta sugli ecoreati  è inesorabile, eppure sarà quella la linea di difesa aziendale ai processi di Vicenza e Alessandria, ammesso e non concesso che in sede penale  verranno affrontati i risarcimenti per le Vittime Parti Civili. Ad Alessandria, Solvay contesterà innanzitutto l’Indagine epidemiologica dell’Università di Liegi, ma non solo.

Lino Balza Movimento di lotta per la salute Maccacaro

La giustizia USA contro i produttori di Pfas.

I Pfas si trovano in tantissimi  prodotti che vanno dalle pentole antiaderenti ai cosmetici alle schiume antincendio.

“Vogliamo che ripristinino le nostre preziose risorse naturali e garantiscano che l’acqua che beviamo e utilizziamo nella nostra vita quotidiana non sia a rischio a causa dei prodotti PFAS qui in Massachusetts”. Il procuratore generale del Massachusetts Maura Healey ha intentato una causa contro i produttori di  schiume antincendio che contengono sostanze chimiche PFAS che sono state collegate a una serie di gravi problemi di salute, tumori, danni al fegato e alla tiroide, problemi di sviluppo e del sistema immunitario ecc.

“La nostra causa” ha affermato il procuratore “ va contro i produttori che hanno guardato oltre tutti questi danni per decenni – per decenni – e hanno continuato a vendere e mettere in vendita questo prodotto in schiuma, incluso venderlo e spingerlo a enti governativi, comuni, vigili del fuoco locali e aziende”.  Le società hanno nascosto informazioni sulla tossicità dei PFAS, presentato false informazioni all’EPA e cercato di impedire ai lavoratori di discutere del rischio rappresentato dalle sostanze chimiche.

Analogamente a quanto avvenuto in Italia per Solvay e Miteni.

L’azienda era consapevole che con i Pfas stava uccidendo la popolazione.

Nel processo in corso a Vicenza, l’interrogativo è stato posto a  Francesca Russo, direttore del dipartimento prevenzione della Regione Veneto. La risposta della  teste è stata sostanzialmente affermativa: già a partire dal 2000 la Miteni (al pari della Solvay di Spinetta Marengo n.d.r) eseguiva le analisi del sangue dei lavoratori appoggiandosi a laboratori americani e tedeschi. (Clicca qui il TG.)  Nei risultati, la pericolosità dei Pfas era talmente evidente che l’azienda provvide alla rotazione del personale per limitarne l’accumulo. Non è stato ancora ascoltato il professor  Giovanni  Costa che per trenta anni ha rabbonito le maestranze di entrambi gli stabilimenti: A parte un po’ di colesterolo, grossi problemi non ce ne sono». Costa meriterebbe di comparire come imputato anche al processo di Alessandria.  

Invece ha testimoniato il dottor Manuel Tagliaferri, ovvero il maresciallo dei Carabinieri del Noe di Treviso sulle cui spalle è gravato gran parte del peso operativo delle indagini preliminari. Tagliaferri ha confermato che dalla notevolissima mole di carte sequestrate è emerso come la società oggi imputata fosse a conoscenza del proprio stato di decozione ambientale già a partire dai primi anni ’90, incurante degli scarichi e perfino dell’impianto colabrodo, in entrambi i casi nulla facendo per le bonifiche.

Compromettente la testimonianza di Domenico Mantoan, già direttore generale della sanità della Regione Veneto, su cui grava il sospetto di aver favorito l’azienda per non aver dato  seguito allo studio epidemiologico in accordo con l’Iss, sollevandola così dal reato di disastro sanitario (oltre che di disastro ambientale). 

PFAS. Quali responsabilità degli amministratori piemontesi.

Un laboratorio di analisi sui Pfas. Ma non è in Piemonte dove -noi  continuiamo a denunciare- i monitoraggi sanitari neppure vengono fatti.

Si sta per aprire ad Alessandria  un processo penale (il secondo) contro Solvay di Spinetta Marengo. Dovrà vagliare le responsabilità del management aziendale per il disastro ecosanitario ma, ci auguriamo, anche di Regione, Provincia e Comune per le complicità e le connivenze con la multinazionale belga. Emblematici sono nel corso degli anni gli omessi (quanto meno colposi) monitoraggi dell’ambiente e della salute della popolazione. Basti un minimo confronto con le omologhe amministrazioni venete per gli interventi (per quanto ripresi dai comitati ambientalisti) che invece esse hanno intrapreso. A fronte del vuoto piemontese, la situazione veneta attualmente registra quanto segue.

Praticamente tutti gli esaminati risultano avere Pfas nel sangue. Inoltre, almeno 7 veronesi su 10, fra quelli esposti alla contaminazione, hanno bisogno di ulteriori controlli sanitari specifici. (continua)

Giallo Pfas, uno spettro aleggia su Arpa e magistrati.

Chissà se la Procura di Alessandria si sta ispirando al processo di Vicenza, perché anche nel capoluogo piemontese negli anni passati opacità sono state adombrate al cadere nel vuoto dei nostri esposti in magistratura ed enti di controllo.

Tremano i corridoi: una annotazione bollente redatta dai carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico potrebbe inguaiare l’agenzia ambientale e alcune toghe mentre si vocifera di pressioni «indicibili» e di un fascicolo inaccessibile che toglie il sonno a pezzi da novanta dell’economia, della politica e delle istituzioni, che temono che quel faldone d’inchiesta «stranamente» archiviato possa a trasformarsi «in un vaso di Pandora». All’origine c’è l’indagine Noe sui controlli che Arpa Veneto preannunciava tempestivamente alla Miteni di Trissino affinchè risultasse “pulita”,  e il relativo carteggio che potrebbe mettere in guai seri i funzionari di Arpav  ma anche i magistrati che l’hanno archiviato.

Quel carteggio si lega indissolubilmente alle conclusioni cui, sull’affaire Pfas, è giunta in sede parlamentare la Commissione bicamerale Ecomafie: le ipotesi di reato erano da brivido perché più soggetti a vario titolo erano finiti sotto indagine per “rivelazione di segreto d’ufficio, abuso in atti d’ufficio, rifiuto in atti d’ufficio, falso ideologico in atti pubblici commesso dal pubblico ufficiale, favoreggiamento personale”. Dunque l’archiviazione appare strana. Tanto che sia la condotta dei funzionari pubblici quanto quella dei magistrati potrebbero  essere bersaglio di un esposto in sede penale da parte degli ambientalisti e oggetto di confronto in sede di Commissione giustizia. Su questa vicenda, infatti, gravano ombre dal passato: gli esposti nel 2017 e 2018 di “La terra dei Pfas” e “Greenpeace” caduti nel vuoto.

Chi vuole approfondire clicchi qui.

Tragica farsa della sentenza del tribunale di Torino.

Tragica per Nicoletta Dosio che dovrebbe andare in galera. Farsesca per la giustizia italiana che condanna per “evasione” Nicoletta che non è mai scappata e non si è mai sottratta alla giustizia, quando ha avvertito che sarebbe uscita da casa sua, dove ingiustamente detenuta, per partecipare liberamente e pacificamente a manifestazioni No Tav. Clicca qui.

Conclusa la lunga crociata contro il TAV del “PM con l’elmetto”.

La carriera  di Andrea Padalino si conclude con la richiesta della Procura di Milano a 3 anni di carcere con l’accusa per corruzione in atti giudiziari e per altri reati che vanno da rivelazione di segreto a abuso d’ufficio. Il più “scivoloso” dei casi di corruzione è costituito da diversi soggiorni di Padalino, gratis, all’Hotel San Rocco di Orta San Giulio «talvolta anche con la sua scorta e in un’occasione accompagnato dai suoi familiari» si legge agli atti. Clicca qui il commento di Info No Tav, che ricostruisce la storia di questo nemico giurato del Movimento definita “una lunga e infame crociata, condotta insieme al pm Rinaudo, contro chiunque fosse No Tav, senza guardare in faccia nessuno, incarcerando manifestanti dai 18 ai 72 anni”.

Julian Assange un eroe del giornalismo.

Il 27 e 28 ottobre si decide l’estradizione di Julian Assange chiesta dagli Stati Uniti. Il giornalista australiano rischia 175 anni di carcere per aver rivelato crimini di guerra. E’ una operazione intimidatoria nei confronti di tutti i giornalisti investigativi. Clicca qui.

Da “Presa Diretta”, per la liberazione di Assange appello dell’ONU e di numerose organizzazioni per la difesa dei Diritti umani e del diritto d’informazione. Clicca qui

Su Byoblu24, approfondimento  con Berenice Galli (Pangea) e Germana Leoni che spiega l’operazione rivoluzionaria fatta da Assange con WikiLeaks nel mondo dell’informazione. Le reazioni più brutali cominciarono ad arrivare dopo la pubblicazione dei “War diaries” (diari di guerra) Iracheni e Afgani. Clicca qui.

Con Emilio sempre. Presidio a Bussoleno.

Presidio sotto la sua casa per  attendere insieme a lui e alla sua famiglia la risposta del Tribunale della Cassazione che deciderà  sul ricorso per la sentenza della Corte d’Appello di Torino che ha decretato la concessione dell’estradizione per Emilio allo Stato francese. Clicca qui con gli altri appuntamenti di lotta la newslettera di Doriella&Renato.

Disastro ambientale e disastro della giustizia.

Fra pochi giorni, il 19 ottobre, entrerà in vigore la riforma Cartabia che modifica i termini per la prescrizione, stabilendo la morte per “improcedibilità” dei processi penali che durano più di due anni in appello e più di un anno in cassazione. Con gravissimi riflessi per la punibilità dei delitti contro l’ambiente. Altro che disastro ambientale, questo è anche un vero disastro della giustizia, per il quale qualcuno si dovrebbe vergognare. E dovrebbe spiegare perché gli stessi partiti che nel 2015 hanno preteso giustamente il raddoppio della prescrizione per i delitti ambientali, sei anni dopo (con la eccezione di pochi parlamentari cui va la mia stima), con il governo Draghi hanno ritenuto di rimangiarsi tutto mettendo questi delitti nel calderone della improcedibilità Cartabia. Certo i delitti di mafia, di terrorismo e di associazione per traffico di droga sono gravissimi e giustamente sono stati sottratti alla ghigliottina Cartabia. Ma non è altrettanto grave un disastro ambientale che distrugge l’ambiente e uccide uomini e specie animali?” (Gianfranco Amendola)

Ecoreati: non fermate i processi!

Il governo non è riuscito a far diventare legge la riforma Cartabia. La maggioranza alla Camera dei Deputati si è spaccata sugli ecoreati. Il testo è stato approvato alla Camera ma non al Senato. E i tempi si sono allungati: la riforma slitta a settembre. A settembre ritorniamo alla carica con i senatori che si vorranno battere sugli ecoreati. Nel frattempo continuiamo la raccolta di firme, dobbiamo coinvolgere anche le associazioni e i sindaci. Clicca qui per firmare.

“Ambiente Delitto Perfetto” di Barbara Tartaglione e Lino Balza, prefazione di Giorgio Nebbia, in 518 pagine contiene una antologia dei maggiori disastri ecosanitari italiani rimasti impuniti nelle aule giudiziarie soprattutto per effetto  del colpo di spugna della prescrizione. Il libro è stato stampato in un migliaio di copie totalmente a spese degli autori e il ricavato interamente devoluto alla Ricerca per la cura del mesotelioma. Purtroppo è esaurito e non abbiamo le risorse personali per ristamparlo. Se vi è chi, soprattutto editore, vuole impegnarsi nell’impresa: contatti movimentolotta.maccacaro@gmail.com.