Emilia Romagna simbolo della cattiva gestione dei fiumi.

Dalla fotografia odierna del WWF, emerge un quadro in cui le Regioni italiane, pressoché all’unanimità, continuano a promuovere devastanti interventi lungo i corsi d’acqua, come il taglio della vegetazione ripariale e le escavazioni in alveo. Nessuna attenzione è rivolta agli indispensabili servizi ecosistemici forniti dai fiumi al benessere e alla sicurezza delle persone, ad esempio: la regolazione della CO2, il controllo dell’erosione, la regolazione del regime idrologico, la capacità autodepurativa, la qualità dell’habitat, la produzione agricola.
 
Tutti benefici che vengono azzerati da questi interventi, con significative ricadute negative anche sui processi economici. Interventi che dimostrano l’incapacità di avviare una pianificazione seria, sostenibile e in linea con le Direttive europee (Acque, Alluvioni, Habitat…), andando a favorire fenomeni negativi come l’incremento della velocità delle acque e dell’erosione spondale (che incidono negativamente sulla stabilità delle infrastrutture vicine) e sui picchi di piena, riducendo l’apporto di sedimenti al mare e favorendo l’arretramento delle spiagge e l’intrusione salina. In particolare l’Emilia Romagna (continua)

Un altro referendum acqua pubblica – nucleare?

Clicca qui il Report della riunione del Coordinamento Nazionale Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua. All’ordine del giorno: la Giornata Mondiale dell’acqua, il ricorso alla Corte Europa dei Diritti dell’Uomo (CEDU), l’esito referendario e la privatizzazione del servizio idrico, l’aumento delle bollette, l’emergenza idrica soprattutto nel meridione, le vertenze territoriali, le iniziative in Sicilia Marche Puglia, la proposta di un altro referendum sull’acqua abbinandolo al nucleare.

I depuratori non fermano i Pfas, bisogna bloccare produttori e utilizzatori.

Non per inveire “dagli all’untore”, ma non può che essere la Solvay di Spinetta Marengo ad avvelenare anche Torino.  E’ fuori di dubbio, infatti, che l’unico produttore dei cancerogeni Pfas in Italia è la multinazionale belga, in particolare con il brevetto C6O4, e che da Spinetta Marengo direttamente inquina in territorio alessandrino e, indirettamente, il Piemonte e l’Italia.
Infatti, La Stampa fa grandi titoli: Pfas, l’allarme di Smat: ‘I depuratori non bastano, bisogna bloccare gli scarichi industriali’.  Infatti, Rai Piemonte titola “I Pfas anche nelle fogne di Torino: trovati C6O4 e PFOA”.
 
Spiegano: Punte di 40mila nanogrammi per litro. Il composto con la concentrazione media più alta è proprio il C6O4. Tra le molecole maggiormente presenti ne salta all’occhio una trovata in corrispondenza di un’industria galvanica. Su oltre 200 controlli il maggior numero di campioni positivi è stato ricondotto a piattaforme di trattamento rifiuti. Il monitoraggio Smat sulle acque reflue riconduce la contaminazione a piattaforme di trattamento rifiuti, industrie galvaniche e alcuni altri impianti produttivi”.
 
Smat (Società Metropolitana Acque Torino S.p.A.) ammette di non essere in grado di depurare le acque nere dai Pfas. E dunque chiede al Comune di “introdurre dei limiti che impediscano alle aziende di sversarli nel reticolo fognario. Obiettivo: salvare i nostri fiumi. E in ultima istanza l’ambiente, e anche l’acqua potabile”. A maggior ragione perché la mappa di Greenpeace segnala il Piemonte e Torino tra i territori più colpiti.

Arzignano record di Pfas.

Il tema della “qualità” dell’acqua è tornato alla ribalta i dopo la pubblicazione, da parte di Greenpeace, di una mappa a livello nazionale della contaminazione da Pfas nelle acque potabili con prelievi prevalentemente fatti da fontanelle pubbliche: nell’analisi di Arzignano erano state trovate concentrazioni maggiori rispetto alle altre città del Veneto prese in considerazione.
A fronteggiare la situazione l’amministrazione ha installato 27 casette dell’acqua, che sono provviste di filtri a carbone attivo.

L’ecomafia: la responsabilità di un’intera classe politica bipartisan.

La Corte europea dei diritti umani (Cedu) condanna l’Italia per aver messo a rischio la vita degli abitanti della Terra dei Fuochi, dove oggi vivono 2,9 milioni di persone e dove gli scarichi illeciti di rifiuti pericolosi e le morti non sono un capitolo chiuso, qui, dove la criminalità organizzata ha gestito il traffico di rifiuti provenienti da ogni parte d’Italia, dalle concerie ai petrolchimici, fino alle industrie di alluminio, distruggendo la fertilissima Campania Felix, della quale non è rimasto più nulla. Nella vasta area della regione Campania, tra Caserta e Napoli, compromessa dagli interramenti e dalle sostanze tossiche, le bonifiche vanno a rilento e c’è chi ancora aspetta i risultati dello studio Spes, un biomonitoraggio sulla popolazione residente promosso nel giugno 2016 da Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno e Istituto Pascale. Spesa: 30 milioni di euro.
 
La Cedu ha stabilito che il governo dovrà introdurre, senza indugio, misure generali in grado di affrontare in modo adeguato il fenomeno dell’inquinamento della Terra dei Fuochi. Significa che l’Italia ha due anni di tempo per sviluppare una strategia correttiva, mettere in piedi un sistema di monitoraggio che sia indipendente e una piattaforma di informazione pubblica.
Le campagne intorno Acerra sono uno dei Sin (siti di interesse nazionale) più vasti e densamente popolati d’Italia, con 80 comuni coinvolti e 1,8 milioni di persone che vivono nell’area. Qui le bonifiche sono solo agli inizi, mentre i roghi continuano. E i cittadini continuano ad ammalarsi.
 
E dal 2009 è entrato in funzione il più grande inceneritore d’Italia, un impianto per i rifiuti urbani che incenerisce 111 chili pro capite all’anno di rifiuti, quanto incenerisce la Lombardia in 13 impianti e altrettanti territori”
Alla sentenza del Cedu si è arrivati attraverso quarantuno istanze collettive presentate nel 2015 da più di 3.500 persone e da cinque organizzazioni con sede in Campania. Molte di queste persone hanno visto morire figli, fratelli, nipoti, si sono ammalati. Nell’area interessata, infatti, insieme all’inquinamento delle falde acquifere, saliva anche il numero dei casi di cancro.
 
Per Legambiente, la sentenza della Cedu richiama alla responsabilità un’intera classe politica bipartisan “che per anni ha sottovalutato, nascosto quello che accadeva in quel territorio”. Legambiente ha coniato il termine Ecomafia per il suo rapporto, raccogliendo le denunce che arrivavano dai circoli presenti sul territorio. “Si sono succeduti 12 governi nazionali e 5 a livello regionale senza trovare un ‘vaccino’ efficace.

2.000 miliardi di danni. La lobby dei Pfas e l’inciucione italiano.

Rispetto a quando per la prima volta (1990) scrivemmo che lo stabilimento di Spinetta Marengo scaricava Pfas in Bormida. Rispetto a quando dai primi anni 2000 eravamo in pochi, se non i  soli, a diffondere sui Pfas informazioni e documenti internazionali sempre più allarmanti, anche trasmettendoli -come Movimento di lotta per la salute Maccacaro– in forma di esposti (venti) alla Procura di Alessandria. Ebbene, rispetto a quei tempi, fino a quelli odierni, per tutti i quali ci appuntiamo la medaglietta di indefessa costanza, ebbene oggi si può affermare che la tragedia Pfas primeggia quasi in tutti gli organi di informazione, merito anche negli ultimissimi anni dell’accelerata mediatica della campagna di Greenpeace in Italia ( http://bit.ly/3FAJ7H0 ). Meglio tardi che mai. Ma non ancora a sufficienza.
Infatti, a tutt’oggi, le produzioni dei cancerogeni e tossici Pfas della Solvay non sono state fermate ad Alessandria e l’uso dei  Pfas non è  stato messo al bando in Italia.
 
Lo stallo malmostoso è il segno che  la lobby delle aziende chimiche e industriali capitanata da Solvay è tutt’altro che rassegnata: grandi manovre sono in corso attorno ai processi Miteni di Vicenza e Solvay di Alessandria, con il sospetto che si voglia spegnerli, quando meno impacchettarli. In Veneto l’allarmato documento di Mamme No Pfas, Isde, Cillsa, Legambiente, Cgil Veneto e Rete dei comitati denuncia l’esistenza di un semiclandestino tavolo di autorità politiche, istituzionali e giudiziarie  che tratta con le aziende imputate coprendone le responsabilità penali e risarcitorie (https://www.rete-ambientalista.it/2025/01/11/delitto-perfetto-2-vicenza/). In Piemonte: l’altro “inciucio” della tabula rasa dei patteggiamenti giudiziali a danno delle Vittime e della bonifica, su cui hanno preso posizione Legambiente e Movimento di lotta per la salute Maccacaro (https://www.rete-ambientalista.it/2025/01/11/delitto-perfetto-2-alessandria/ ).
A lato di questo “inciucione”, la lobby è quanto mai aggressiva in campagne di pressione sui politici e di  disinformazione atte a  sviare l’attenzione pubblica dalle loro responsabilità verso i rischi per la salute e i relativi costi sociali (esemplari furono le campagne pro-tabacco). Lo scopo delle centinaia di lobbisti (addirittura Mario Draghi) è duplice: indebolire e affossare la proposta di Bruxelles di vietare la vendita e commercializzazione dei Pfas, e spostare il peso economico dei lavori di bonifica dalle aziende ai cittadini.
La multinazionale belga in Europa mantiene, con Ilham Kadri amministratrice delegata di Syensqo spin off di Solvay, un ruolo apicale nella “Campagna di disinformazione” dopo la richiesta di restrizione e divieto dei Pfas promossa nel 2023 dai cinque Stati europei (Danimarca, Germania, Norvegia, Olanda, Svezia). La campagna punta all’esclusione dal divieto dei fluoro polimeri: da considerarsi innocui prodotti finiti rispetto ai Pfas “storici” intermedi di produzione, e soprattutto da affermarsi essenziali per lo sviluppo della nuova tecnologia verde sponsorizzata dal Green Deal e finanziata in parte dal PNRR. Il nuovo fluoropolimero essenziale per l’idrogeno verde sarebbe Aquivion, che dal 2025 a Spinetta noi  produrremo senza utilizzo di pfas”. Falso. Aquivion rimane un Pfas e una volta riversato in ambiente il prodotto degrada in Pfas”: clicca qui.
 
Nella sua campagna, la lobby sta anche fronteggiando l’indagine interdisciplinare transfrontaliera coordinata da Le Monde, Forever Lobbying Project (FLP), che coinvolge 46 giornalisti di  diverse redazioni , 18 esperti accademici e avvocati internazionali e 29 media partner in 16 Paesi. L’indagine “sulla peggiore crisi di inquinamento che l’umanità abbia dovuto affrontare”, utilizzando una metodologia articolata e basata su criteri scientifici, ha infatti portato a galla quanto costerà ripulire dal “veleno del secolo” 23.000 siti in Europa, tra cui quelli, come Alessandria e Vicenza, considerati “hotspot PFAS”, dove la contaminazione ha già dimostrato di aver raggiunto  livelli particolarmente  pericolosi per la salute delle popolazioni esposte. A prescindere dagli incalcolabili costi umani e sociali in morti e ammalati e dall’impatto dei PFAS sui nostri sistemi sanitari, l’indagine  si è “limitata” a calcolare i costi per  bonificare le falde acquifere e i terreni impregnati di PFAS.
La cifra è da capogiro, ed equivale a 2 trilioni e mezzo di euro, 2,5 mila miliardi di euro in un periodo di 20 anniovvero un costo annuale pari a 100 miliardi di euroPer l’Italia, ad esempio, l’opera di pulizia costerebbe intorno a 12 miliardi di euro l’anno: stima assai per difetto se solo si guardano i costi depositati presso il tribunale di Vicenza. Cifre che comunque esploderebbero ulteriormente, in perpetuo, se non ci sarà lo stop immediato dei Pfas. Il nodo politico è: questi costi da chi verranno affrontati? dalle aziende che hanno messo in circolazione il PFAS, o dai cittadini tramite le proprie tasse?
Il principio sarebbe: chi inquina paga. Dunque il nodo è politico: mentre  gli altri Paesi CEE   chiedono a gran voce all’Agenzia Europea delle Sostanze Chimiche (ECHA) di mettere al bando i PFAS, in Italia la storica  complicità politica e sindacale, delle istituzioni locali e governative, non ferma  le produzioni Pfas della Solvay a Spinetta Marengo, primo indispensabile passo verso il divieto in Italia  dell’uso di Pfas in tutte le manifatture, come fu (1992) per l’Eternit e l’amianto.
 
Lino Balza Movimento di lotta per la salute Maccacaro

Plin plin.

Le barre azzurre rappresentano il test effettuato in estate, quelle blu le analisi di conferma realizzate in autunno; i valori di TFA sono espressi in ng/l.
 
Ne abbiamo più volte documentato, non è una novità (esempio in questo articolo).   L’ennesima conferma arriva da un test effettuato dall’associazione ambientalista Pesticide Action Network Europe (PAN Europe), che ha portato in laboratorio 19 marchi di acqua minerale provenienti da diversi Paesi europei, trovando in più della metà di esse acido trifluoroacetico (TFA), una piccola molecola che fa parte della categoria degli PFAS.

Acqua con Pfas in rubinetto e bottiglie.

Una nuova analisi, pubblicata in esclusiva dal Guardian, ha rivelato che le fonti d’acqua potabile  in tutto il Regno Unito sono contaminate dai Pfas. Le più alte  concentrazioni sono state rilevate in aree che ospitano grandi aree industriali (Ucelby e Barrow nel Lincolnshire) e vicino alle basi militari RAF (nel West Suffolk e nel Norfolk). Un rapporto dell’Environmental Agency ha dichiarato che potrebbero esserci fino a 10.000 siti contaminati: anche in Inghilterra  le principali fonti di inquinamento sono le industrie chimiche, i siti militari, gli aeroporti, gli impianti di trattamento delle acque reflue, aziende produttrici di carta, pelle, tessuti e siti di smaltimento dei rifiuti, fanghi di depurazione sparsi su terreni ad uso agricolo. L’associazione di categoria Water UK chiede di “vietare i PFAS e sviluppare un piano nazionale per rimuoverli dall’ambiente, che dovrebbe essere pagato dai produttori”.

Delitto perfetto 1. Vicenza.

Grandi manovre attorno ai processi di Vicenza e Alessandria; rispettivamente contro Miteni, (Mitsubishi e Icig) e contro Solvay, con il sospetto che si voglia spegnerli, quando meno impacchettarli.
A Vicenza il processo Miteni, sulle responsabilità del maxi inquinamento da Pfas in Veneto, arriva alle ultime battute: a febbraio inizieranno la requisitoria del pubblico ministero e le arringhe delle parti civili e delle difese. Incombe sempre l’ombra della prescrizione.
In questo contesto si colloca l’allarmato documento dei comitati e delle associazioni ambientaliste del Veneto. L’esplosiva presa di posizione denuncia l’esistenza di “Un tavolo di autorità politiche, istituzionali e giudiziarie che si sta occupando in modo alquanto misterioso della trattativa con le società coinvolte nel processo per disastro ambientale e inquinamento di acque”. E’ più di un sospetto, in quanto precisano:
 “Da una audizione in Commissione parlamentare del procuratore Lino Giorgio Bruno è emersa l’esistenza di un tavolo, oltre quelli istituzionali, di cui non si conosce né la composizione, né i contenuti discussi, le priorità stabilite e i risultati conseguiti.  Incontri promossi dal prefetto di Vicenza vedono la partecipazione dello stesso procuratore, di rappresentanti della Provincia, dei legali delle tre aziende imputate, nonché della Marzotto, la società che oltre quarant’anni fa diede vita alla Rimar, le cui ricerche portarono poi alla costituzione della Miteni, l’origine degli sversamenti chimici”.
L’accusa è precisa: “Riteniamo grave questo modo di agire connotato da poca trasparenza e scarsissima informazione”, che tende a coprire dodici anni di inefficienze e omissioni istituzionali, compresa la magistratura. L’opacità riguarda  “lo stato della bonifica, sia per il terreno che per la falda”; fatto sta che “né la bonifica né la messa in sicurezza del sito sono cominciate”, mentre “non si ha notizia dell’avvio di un’indagine per omessa bonifica, che pur costituisce un reato gravemente punito dalla legge”.
Manca un aggiornamento da parte della Regione della mappa delle zone impattate, anche con campionamenti di terreni e degli alimenti. A loro volta, le indagini epidemiologiche sono ferme a uno studio di cinque anni fa e la mappa delle zone contaminate non viene aggiornata. Tant’è che “allo studio di mortalità nella popolazione veneta (4.000 decessi in più rispetto alla media di altre zone) non è stato dato seguito in termini di misure conseguenti”.
In definitiva, sarebbe un “inciucio”. “Dietro le quinte, un tavolo di autorità politiche, istituzionali e giudiziarie, senza trasparenza  si sta occupando della trattativa con le società coinvolte,  con l’effetto di avvolgere nel silenzio un disastro ambientale di portata epocale irrisolto”. Sapendo che ”l’inquinamento continua inesorabilmente a scendere verso valle e a propagarsi, bioaccumulandosi in ambiente e negli organismi”. In più, sarebbe un “inciucione” se dietro dietro le quinte, ci fosse lo zampino di Solvay,  che ha tutto interesse di instaurare una “pax pfas” in Italia.

Pfas anche nell’Adige.

“Operazione fiumi” condotta da Legambiente  con il supporto tecnico di Arpav. Pfas anche nell’Adige. La presenza di Pfas era già emersa nel Po ed il dito si è puntato sullo stabilimento piemontese della Solvay a Spinetta di Marengo. Una presenza di Pfoa confermata nelle acque campionate a Porto Tolle e Zevio.
 
Nel “Monitoraggio delle sostanze perfluoroalchiliche nelle acque superficiali del Veneto 2013 – 2018”, del resto, erano stati trovati anche nello scolo Poazzo, oltre che in Brenta, Fratta Gorzone, Bacchiglione, bacino scolante nella laguna di Venezia, Livenza, Po e Sile.

In Europa crescita di alta concentrazione di PFAS nell’acqua dolce, compresa l’acqua potabile.

Sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea le “Linee guida tecniche sui metodi d’analisi per il monitoraggio delle sostanze per- e polifluoro alchiliche (PFAS) nelle acque destinate al consumo umano”. Nel documento si legge che “si rileva in tutta l’UE la crescita del numero di casi di alta concentrazione di PFAS nell’acqua dolce, compresa l’acqua potabile”, per questo la Commissione, con queste nuove linee guida, vuole imprimere un’accelerazione al monitoraggio dei PFAS con criteri omogenei nell’ambito dell’Unione Europea, in base a quanto stabilito dalla direttiva (UE) 2020/2184, recepita in Italia con il D.Lgs. 23 febbraio 2023, n.18). Clicca qui.

I Pfas di Arzignano.

“Seguo il caso PFAS da molti anni. Ho dimostrato, con documenti, perché è inquinata la città di Arzignano, che si trova dalla parte opposta della Valle dell’Agno, però stesso livello dell’Agno alla Barchesse di RIMAR/MITENI; che si trova a 110 metri sul livello del mare. Il caso inquinamento, si scopre anni dopo…” Continua qui la storia, che riceviamo da Vittorio Rizzoli.

PFAS bomba ad orologeria in Svizzera.

Le acque sotterranee e l’acqua potabile in tutta la Svizzera sono contaminate da PFAS. L’acido trifluoroacetico (TFA), che appartiene al gruppo PFAS, creato dalla decomposizione di pesticidi e gas refrigeranti, è presente ovunque, soprattutto nelle acque sotterranee delle pianure e delle aree urbane, come riferisce la televisione svizzera romanda RTS riportando i dati dell’Ufficio federale dell’ambiente (UFAM). Le dimensioni microscopiche dei TFA rendono impossibile la rimozione con i sistemi di filtraggio convenzionali, ha spiegato l’UFAM.

PFAS, ovvero TFA, nelle acque minerali. Le 7 marche più contaminate d’Europa.

Un’indagine svizzera di cui abbiamo parlato, aveva già rilevato la presenza di Pfas in alcune marche di acqua minerale. Ancora più noto è il recente scandalo che ha colpito la Francia, dove diverse inchieste sulle acque minerali Nestlé hanno evidenziato gravi anomalie legate alla contaminazione da PFAS (e non solo).
 
Ora, una nuova conferma arriva da un’indagine condotta da Pan Europe che segnala un quadro allarmante per quanto riguarda la presenza di “inquinanti eterni”, appunto PFAS, nell’acqua minerale. Tra questi, è in particolare il TFA (acido trifluoroacetico), prodotto della degradazione di pesticidi e gas fluorurati, a rivelarsi un contaminante significativo. Per condurre il test, tra maggio e giugno 2024, sono stati acquistati campioni di acque minerali da vari paesi europei: Francia, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Ungheria, Austria e Germania. Le acque sono state inviate al Water Technology Centre di Karlsruhe per l’analisi. I test hanno analizzato la presenza di acido trifluoroacetico (TFA), utilizzando un metodo con limite di quantificazione di 50 ng/l.
 
Le acque più contaminate sono risultate, in ordine alfabetico: Gasteiner, Ordal,SPA, Villers, Vittel, Waldquelle.
L’Unione Europea ha fissato un nuovo limite cumulativo per i PFAS nelle acque potabili a 0,5 µg/l, che entrerà in vigore nel 2026. Gli Stati membri sono stati invitati a implementarlo.

Il traghetto italiano dei Pfas: Solvay studia come salvare capra e cavoli.

Si sono autodefiniti désamorceurs » i vertici di Ilham Kadri, amministratrice delegata Solvay Syensqo, con Marco Apostolo, country manager in Italia (Ricatto occupazionale della Solvay a Spinetta Marengo), e con il nuovissimo team legale di Guido Carlo Alleva e Riccardo Lucev, nel merito del possibile scenario sulle sorti dello stabilimento di Spinetta Marengo, “champ de mines”, che comprende il processo avviato presso il GUP di Alessandria (Solvay gongola. Con Greenpeace, Lino Balza escluso come parte civile. Cosa c’è dietro. ) e anche le paventate azioni inibitorie e class action di risarcimenti danni. Si è di recente aggiunta la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea: Edison coimputata con Solvay? Di questi “Vertici dei disinnescatori del campo minato”, pomposamente convocati come Riunioni strategiche per tracciare la rotta della navigazione aziendale”, si potrebbero già intravvedere i riflessi nella imminente udienza GUP del 20 dicembre.  

Utile spunto di riflessione a Bruxelles, per le relative “azioni pianificate e strutturate”, verte attorno alle risoluzioni  in USA del sito Solvay di West Deptford. Qui, da Solvay è stato raggiunto un accordo con il “Dipartimento per la Protezione Ambientale (DEP)” dello Stato del New Jersey, poi che la multinazionale belga  è stata portata in tribunale nel 2020.  Esso segue la cessazione, dopo trenta anni, delle miscele Pfas  compreso l’ADV dal 2010 importato da Spinetta Marengo quale sostituto del PFOA. Discusso dallo Stato con Comuni-Organizzazioni-Cittadini, garantirebbe  la tempestiva bonifica di PFAS e sostanze pericolose nelle adiacenze del sito nella Contea di Gloucester, e risarcirebbe la cittadinanza per i danni. Infatti, l’accordo di transazione, prevede  azioni di risanamento ambientale più impegni finanziari di 392,7 milioni di dollari: “finanziare le indagini ambientali critiche, le attività di bonifica e i progetti di ripristino qualità ambientale nelle comunità di Gloucester e Camden County”.

A  prescindere dai rilievi  economici, a complicare la  disamina -tattica e strategica-  dei nuovi  avvocati c’è la diversa giurisdizione penale americana che consente alla Solvay di affermare che “l’indennizzo non va considerato come una ammissione di colpa”; ovvero c’è che la complice latitanza dello Stato italiano -inteso come centrale e locale- ora sarebbe più proficua  se si trasformasse in una edulcorata legge Pfas ispirata dalla Solvay proiettata a dopo il 2027 (l’opposto della messa al bando con il  Disegno di Legge ex Crucioli). La legge “ralenti” sarebbe utile a disinnescare, fra tutte, almeno questa mina: perché Ilham Kadri a Spinetta non  intende cessare a breve le produzioni di Pfas, proprio mentre cresce l’allarme sociale nell’intero territorio alessandrino per  l’avvelenamento acqua-aria-suolo di PFOA C6O4 e ADV -a tacere gli altri 20  tossici e cancerogeni- evidente anche nel biota acquatico e selvatico  e nei  prodotti alimentari raccolti proprio nei suoli implementati di “nuovi” composti a catena mediocorta precipitanti dalle ciminiere: ancor più bioaccumulabili  dei “vecchi” e ovviamente con standard analitici occultati da opportuni diritti brevettuali, al pari dei Fomblin e Aquivion.

In più, non può essere rallentato all’infinito un monitoraggio di massa della popolazione aperto a tutti gli standard analitici. Che potrà aprire il vaso di pandora sui risarcimenti alle Vittime, leggi class action. Il raffronto per gli avvocati va di nuovo alla Solvay di West Depford che, “per evitare l’onere e le spese di un contenzioso continuo” (si legge nella sua dichiarazione), ha accettato di pagare 1,3 milioni di dollari per chiudere una class action sulla contaminazione da Pfas delle riserve idriche del Parco nazionale di West Deptford, intentata per conto dei residenti del Parco nel giugno 2020, prevedendo gli esami del sangue gratuiti a tutti i cittadini, i risarcimenti individuali e per gli immobili residenziali, le spese legali e gli onorari. Inezie per la multinazionale, salvo che restino aperti i risarcimenti per le patologie sofferte.

A proposito di mine, infine, secondo fonti informate, serviranno a Bruxelles altre riunioni (in gergo: operational meetings, réunions opérationnelles) per affrontare l’impatto di una « azione inibitoria », la questione che è stata alla base del cambio del team di avvocati.

Non ti puoi più fidare di nessuno.

Quando hai i soldi puoi permetterti di essere difeso in tribunale dai più costosi luminari sul mercato. Trovi anche chi è disposto a farti una perizia che affermi che la concentrazione di Pfas nell’acqua potabile accertata nella “zona rossa” (i Comuni più inquinati del Veneto) “è protettiva per la salute umana”. Dunque l’allarme è spropositato tanto più, hanno sostenuto, che non esiste nemmeno una correlazione certa tra Pfas e patologie mediche, come le malattie cardiovascolari, la malattia ischemica del cuore, le malattie cerebrovascolari, l’ipertensione arteriosa, l’ipertensione gravidica, il diabete e il cancro; al massimo hanno ammesso  una limitata associazione tra Pfoa e tumori al rene e al testicolo.
 
Per arrivare a tanto, i due accademici, hanno abbattuto di 70 volte la presenza dei Pfas contenuti nell’acqua potabile e di conseguenza il rischio per la salute umana. E’ bastato, per sputtanarli, un avvocato con una calcolatrice in mano.   E’ accaduto al processo in Corte di Assise di Vicenza. dove si è svolto il contro esame dei due illustri docenti universitari, entrambi citati dai difensori dei manager di Icig Miteni di Trissino, Paolo Boffetta, epidemiologo e ordinario di Medicina del Lavoro all’università di Bologna, e Claudio Colosio, docente all’Università statale di Milano. La firma di entrambi è apposta in calce a una “Relazione di consulenza tecnica” (81 pagine!) che ha per oggetto la “revisione critica dell’evidenza sugli effetti sulla salute esercitati da sostanze Pfas”.
 
Se non fosse stato scoperto, “l’errorino”,  di scambiare la “dose massima consentita per ogni chilogrammo di peso” con “la dose massima consentita al giorno”, avrebbe voluto dimostrare come la quantità di Pfas ingeriti (con la sola acqua, ma ci sono anche quelli contenuti negli alimenti) nei Comuni della “zona rossa” fosse perfettamente compatibile con i limiti Efsa Autorità europea per la sicurezza alimentare. Invece hanno provato il contrario.
 
Solvay si è annotata i nomi di Boffetta e Colosio da cancellare  dal carnet dei consulenti al processo di Alessandria.

I Pfas nelle schiume antincendio sono ancora più pericolose di quanto si conosceva.

«Le concentrazioni di PFOA ramificato nella schiuma antincendio raddoppiano dopo un certo periodo di tempo nell’ambiente»: lo rileva il nuovo studio “Characterization of PFOA isomers from PFAS precursors and their reductive defluorination”, pubblicato su Water Research da un team di ricercatori australiani guidato da Denis O’Carroll e Michael Manefield dell’University of New South Wales (UNSW).
 
I ricercatori avvertono che è “importante capire che non c’è un solo PFAS nella schiuma antincendio o in altre fonti come padelle antiaderenti, indumenti, cosmetici, insetticidi ecc. Esiste una combinazione di fattori, ma la versione ramificata del PFOA si forma a partire dai precursori del PFAS attraverso le condizioni ambientali. E’ essenziale riconoscere che un’efficace bonifica dei PFAS richiederà delle combinazioni di trattamenti, poiché è improbabile che una singola tecnologia produca prodotti rispettosi dell’ambiente”.
 
A sua volta,  lo studio Underestimated burden of per- and polyfluoroalkyl substances in global surface waters and groundwaters” pubblicato su Nature Geoscience da un team di ricercatori dell’UNSW e dell’università dell’Oklahoma, ha valutato i livelli di contaminazione da PFAS nelle acque superficiali e sotterranee in tutto il mondo e ha scoperto che gran parte dell’acqua potabile supera i limiti di sicurezza per il consumo di PFAS.

Bonifica impossibile: Solvay inquina come prima, più di prima.

Solvay nel 2019 è stata condannata definitivamente dalla Cassazione a bonificare a Spinetta Marengo un mare di  cromo esavalente, pfas ecc.  Nel 2024 è di nuovo sotto  processo  per aver omesso la bonifica. Si difende dicendo che ci vogliono anni per farla. Avrebbe ragione, perché ci vogliono, ad esempio, non meno di quattro decenni per permettere a una falda acquifera contaminata di liberarsi dagli PFAS (sostanze perfluoro alchiliche), i contaminanti perenni e ubiquitari che hanno gravi conseguenze sulla salute umana e sull’ambiente. Ma avrebbe ragione se avesse smesso di inquinare, e invece inquina terreni, acque e atmosfera come prima e più di prima. Dunque ogni bonifica è impossibile  se non si fermano le produzioni. Inutile chiudere il tappo ad una vasca se si lascia il rubinetto aperto.  Bisogna chiudere, subito,  il “rubinetto” e, poi,  ci vogliono 40 anni per svuotare  la “vasca”.  
 
Un esempio ci viene dalla Carolina del Nord dove c’era un impianto di produzione di PFAS dell’azienda Fayetteville Works. I ricercatori dell’Università Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston hanno voluto verificare a che punto fossero le acque più profonde visto che, dal 2019, in teoria, la contaminazione è cessata. Per questo hanno raccolto una serie di campioni in due bacini vicini agli impianti e hanno messo a punto un modello per verificare non solo la situazione attuale, ma anche l’andamento della qualità delle acque nel tempo. Quindi hanno identificato e quantificato diversi tipi di PFAS e, in più, hanno utilizzato dei traccianti radioattivi che riescono a datare le acque, e hanno combinato i dati con quelli dei rilevamenti delle concentrazioni di PFAS in atmosfera, e con quelli della cinetica dei flussi delle acque. Così hanno ottenuto delle formule che permettono di stabilire quantitativamente e temporalmente la presenza di PFAS nelle acque. Come hanno poi riportato su Environmental Science & Technology, i risultati sono stati sconvolgenti, perché hanno mostrato che alcuni PFAS erano lì da almeno 43 anni, con concentrazioni pari a 229 e 498 nanogrammi per litro, mentre la soglia limite per l’acqua potabile per l’HFPO-DA stabilita dalla US Environmental Protection Agency (EPA) è di dieci nanogrammi per litro.

Tira brutta aria ad Alessandria, non solo in atmosfera.

L’Arpa Piemonte ha reso pubblici i dati giugno-luglio (clicca qui) dell’inquinamento dei Pfas nell’atmosfera di Alessandria, completando ormai il quadro annuale di questi tossici e cancerogeni che permeano polmoni, cibi, acque, suoli, acquedotti di Spinetta Marengo, Comuni di Alessandria (pozzi chiusi), Montecastello (acquedotto chiuso) e altri della Provincia.
 
La relazione ARPA denuncia, assieme al vecchio PFOA già vietato nel mondo, e al “nuovo” C6O4 malgrado il reparto fosse chiuso in quei mesi, la presenza del “nuovo” pfas ADV, ora denominato MFS, con concentrazioni più sensibili nel sobborgo di Spinetta. Quasi fosse una scoperta!! Mentre invece la nostra associazione ne denunciò pubblicamente l’impiego -non autorizzato- fin dal 2009 con un esposto alla procura. La successiva graziata  autorizzazione AIA della Provincia  è addirittura scaduta nel 2023. Nell’atmosfera alessandrina odierna, Solvay da 72 ciminiere spara in aria i pfas ADV, che si aggiungono ai C6O4, ai PFOA, nel cocktail di altri 20 tossici e cancerogeni, che, tutti assieme motivano le tragiche indagini epidemiologiche (l’ultima nel 2019, clicca qui alcune tabelle). Tutto ciò: malgrado sia già intervenuta una sentenza della Cassazione e per responsabilità della sopravvenuta magistratura.
 
Tira brutta aria ad Alessandria, non solo in atmosfera ma anche in politica e magistratura.

Brutta aria in politica.

 In primo piano, la tomba di Gianni Spinolo, grande avversario e vittima di Solvay.
Un gran daffare a nascondere la polvere (cancerogena) sotto i tappeti. Mentre Solvay si fa propaganda invitando frotte di studenti della provincia per ammirare le meraviglie dello stabilimento di Spinetta Marengo, a coprire le larghe spalle della multinazionale belga provvedono come sempre  le istituzioni locali: in questo frangente è presentata al ristretto  pubblico la “task force” del neo assessore alla sanità regionale Federico Riboldi. Tale denominazione bellica che in italiano è mitigabile  come “unità di pronto intervento”, fa abbastanza ridere perché, mentre Riboldi scopre l’acqua calda, il disastro ecosanitario di Alessandria è vecchio come il cucco, e nei recenti cinquant’anni i politici hanno fatto finta di affrontarlo sotto altri nomi: commissione consiliare, osservatorio ambientale, gruppo di studio, ecc. Tutte inconcludenti distrazioni ad uso dell’opinione pubblica. Con questa cosiddetta task force innanzitutto si punta a sviare l’attenzione sulla ventina di cancerogeni che Solvay spara in aria-acqua-suolo, limitandosi  solo alla punta dell’iceberg dei Pfas.
 
All’assessore Riboldi con l’elmetto di cartone in testa, Solvay Syensqo ha affidato il compito di prendere tempo-perdere tempo: diluire il più a lungo possibile i tempi degli esami del sangue di una ristretta popolazione, piuttosto che il monitoraggio di massa provinciale rivendicato e negato da decenni (i cittadini gli esami se li sono fatti a proprie spese). E, con ciò, rinviare l’unica discussione, ovvero decisione, da fare oggi: su come chiudere, ORA le produzioni della Solvay di Spinetta Marengo e, POI, chiedere i risarcimenti per le Vittime in base ai monitoraggi ematici nel frattempo eseguiti: i cui risultati  inevitabilmente saranno oggetto di lunghissime valutazioni e discussioni in sede giudiziaria (senza riconoscimenti per i tanti Gianni Spinolo sulle lapidi del cimitero di Spinetta).  
 
Il trucco di Solvay-Riboldi è infatti  rovesciare le priorità dei tempi: DOPO che i cittadini faranno da cavie di laboratorio, e ponderati i pro e i contro delle morti e delle malattie, e soppesati i rapporti causa-effetto, e i valori di soglia dei veleni compatibili nel sangue (perdio! ma solo zero è compatibile!), insomma dopo un milione di se e di ma, POI eventualmente, non necessariamente, iniziare la discussione sulla chiusura… secondo i tempi nazionali e internazionali prefissati da Solvay Syensqo. “Altrimenti ha detto senza pudore Riboldi “si prendono decisioni di pancia”. Purtroppo alcuni attivisti ambientalisti si fanno pigliare nell’ingranaggio del trucco. Spontaneamente approva l’irresponsabile sindaco di Alessandria (vedi Adriano Di Saverio).
 
Affinchè tutto resti saldamente nelle mani di Solvay-Riboldi-Regione, la cosiddetta  task force è stata articolata in “commissione tecnica” e “commissione scientifica”, cioè polverizzata  in una pletora ininfluente di fedeli  funzionari provinciali e regionali, nonché di eterogenei dirigenti sanitari per successive diagnosi e terapie a lungo termine. Il fine evidente è annegare ancora una volta in un mare di informazioni tecniche, come non bastassero tutti i dati ambientali e sanitari pur usciti dai mafiosi Arpa e Asl, e nove indagini epidemiologiche nella Fraschetta, a tacere i referti delle Università di Liegi e Aquisgrana.  
 
In concreto, l’impegno “finanziario” consisterebbe  al momento in un annunciato camioncino attrezzato  che girerebbe a fare prelievi in un limitato  raggio di 3 chilometri attorno al polo chimico. “Sui tempi di chiusura” precisa la Regione, “non si possono al momento indicare delle date, perché dipendono dai risultati dei primi campioni”. Lo sappiamo, campa cavallo per il resto della Provincia, del Comune di Alessandria, degli altri Comuni , come Montecastello dove è stato addirittura chiuso l’acquedotto.
 
E’ stato commentato: “Quello della cosiddetta ‘task force’ è solo l’ultimo di una lunga serie di capitoli che da anni si susseguono e che continuano a raccontare la presenza di un inquinamento, di responsabilità relative e di risposte il più delle volte flebile e lascive”. Ecco, “lascive” è il termine appropriato, con i suoi sinonimi: scandalose, indecenti, immorali, vergognose, disoneste, criminali… Syensqo.

Cancerogeni nel pescato di Calabria e Toscana. E in Liguria?

Una contaminazione di Pfas fuori controllo che espone a rischio migliaia di consumatori. Greenpeace  ha consultato i dati delle Agenzie regionali per la protezione ambientale ARPAT e ARPACAL, e ha ribadito: “Questi risultati confermano l’urgenza di vietare l’uso e la produzione dei Pfas, cioè di chiudere le produzioni di Solvay a Spinetta Marengo”.
 
Dalle analisi effettuate in Toscana tra il 2018 e il 2023, circa il 60% di pesci (principalmente cefali) e crostacei delle acque marino costiere del Santuario dei Cetacei è contaminato da Pfas (Pfos), sono emersi valori molto elevati: in un cefalo alla foce del fiume Bruna a Castiglione della Pescaia (Grosseto) è stata trovata la concentrazione record di 14,7 microgrammi per chilo; 5,99 e 5,65 microgrammi per chilogrammo lungo la costa pisana, alle foci dell’Arno e del Fiume Morto.  
 
In Calabria, le indagini dell’Arpacal tra 2021 e 2023 evidenziano notevoli livelli di inquinamento da Pfas (oltre  3 microgrammi per chilogrammo)  in triglie, naselli e cicale di mare prelevati lungo la costa ionica e tirrenica.
 
Se analoghe indagini fossero eseguite in Liguria: ci sarebbe una rivolta di pescatori e ristoratori. Marco Bucci da candidato non le aveva promesse (al pari di tutte le forze politiche) e come neo presidente non le promuoverà (senza proteste delle altre forze politiche e sociali). In Liguria, d’altronde, per i Pfas neanche si effettuano analisi del sangue alla popolazione, anzi il reparto di Endocrinologia dell’Ospedale San Martino di Genova omette di accogliere le richieste di malati di tumore… perché Toti non le finanziava. Chissà ora Bucci, la cui moglie però afferma:  “Con Toti erano pappa e ciccia”.   

Fiumi veneti bocciati da Legambiente.

Fiumi veneti sotto la lente di Legambiente, che come ogni anno ha dato vita alla campagna di monitoraggio Operazione fiumi. Nell’edizione 2024 la novità sono i Pfas. Preoccupante  incremento dei valori di Pfoa e Pfos allo scarico sul Fratta Gorzone, a Cologna Veneta (Verona). Così anche a Padova come a Vicenza per lo stato del Bacchiglione e del canale Piovego. Per il Sile superamenti della media annua di Pfos presumibilmente derivante dallo scarico di depuratore e dalle attività aeroportuali.
 
Il contesto è che tra le province di Vicenza, Verona e Padova c’è uno dei più gravi casi di contaminazione di questi “inquinanti eterni” dell’intero continente europeo: per un avvelenamento della Miteni di Trissino  che interessa oltre 180 km quadrati e 350mila persone che stanno subendo da anni l’emergenza sanitaria.
 
A sua volta, Greenpeace in 220 tappe sta monitorando i Pfas nelle acque potabili delle città italiane. Le quali   in gran parte omettono i controlli fra le maglie sbrindellate della regolamentazione nazionale. La stessa Direttiva europea  partirà già vecchia nel 2026 con limiti ormai superati dagli studi scientifici internazionali, tant’è che molte nazioni (ma non l’Italia!) hanno già introdotto soglie  più cautelative per la salute umana, in considerazione dell’aumento delle patologie cancerogene generate da questi interferenti endocrini:  danni alla tiroide, al fegato, problemi alla fertilità, incremento dei livelli di acidi grassi nel nostro corpo, diabete gestazionale ecc.
 
Alla messa al bando dei Pfas (in parlamento giace da anni il Disegno di Legge Crucioli) si oppone la potente lobby capitanata da Solvay, unico produttore nazionale, che fa quadrato attorno a queste produzioni dai lauti profitti, pur consapevole  che per la totalità del settore industriale in cui vengono impiegati i PFAS, esistono le alternative più sicure.

Pfas nelle acque potabili di tutto il mondo, e nei pesci dei mari.

Il primo studio riguarda le acque potabili, sia del rubinetto che in bottiglia, naturali o gassate, ed è stato condotto da un team sino-inglese, composto da ricercatori delle università di Birmingham, nel Regno Unito e di Shenzhen, in Cina, che hanno poi pubblicato i risultati su ACS Environmental Science &Technology – Water. Gli autori hanno analizzato campioni provenienti da 15 Paesi, 41 acquedotti inglesi e 14 cinesi, e 112 campioni di bottiglie di acque minerali in vetro e in plastica, naturale (89) o gassata (23), di 87 marchi.
 
Ebbene, i Pfas sono presenti con percentuali da al 63% al 99%. Con concentrazione in media da 9,2 nanogrammi per litro (ng/l) a  2,7 ng/l.
Nel secondo studio, pubblicato su ACS Environmental Science & Technology, invece, i ricercatori della facoltà di ingegneria dell’Università di Harvard (Boston) hanno voluto controllare i pesci che vivevano ad alcuni chilometri da una base militare di  Cape Code, dove  impiegano  grandi quantità di schiume e altre sostanze antincendio con Pfas. Hanno così scoperto che, pur diminuendo con la distanza, i PFAS sono presenti nel 90% dei  pesci in concentrazioni superiori ai limiti anche quando questi vivono a otto chilometri di distanza, unitamente a  composti di vario tipo usati nell’industria farmaceutica e in agricoltura.

Italia Nostra denuncia i Pfas nelle acque umbre.

La denuncia di Italia Nostra è stata presentata con una interrogazione in consiglio regionale, malgrado le rassicurazioni dell’Usl Umbria2, che ha avviato quest’anno con Istituto Superiore di Sanità e ISPRA uno screening per la valutazione dei rischi di esposizione agli Pfas della popolazione del sito di interesse nazionale Terni- Papigno – Conca Ternana. Le analisi Arpa restituiscono un quadro preoccupante dei Pfas con ben 5 classi di composti.

Fiumi di Pfas, pesticidi e diserbanti.

In Polesine ben 47 superamenti dello standard di qualità . Con il rapporto “Stato delle acque superficiali del Veneto”, l’Arpav ha rilevato azoxystrobin, metolachlor, metazaclor, boscalid, ampa, nomi sconosciuti a chi non lavori in agricoltura, pesticidi, funghicidi e diserbanti, ma che in pianura scorrono a fiumi nei fiumi e nei canali. Senza contare, soprattutto, la presenza dei Pfas:   sopra i limiti in tutti i punti di prelievo “nel Po con ogni probabilità, di origine esterna alla Regione del Veneto”, nota Arpav anche se si sa bene che vengono dallo stabilimento chimico Solvay di Spinetta Marengo.

La prima mappatura della contaminazione Pfas dell’acqua potabile in Italia.

La  mappatura della contaminazione Pfas dell’acqua potabile in Italia dovrebbe essere un obbligo del governo. Invece, a realizzare il primo censimento sarà Greenpeace con una raccolta di campioni  in 220 città entro cinque settimane. La spedizione “Acque senza veleni” è appena arrivata anche a Palazzolo, Brescia e Desenzano. In Lombardia, Greenpeace sta effettuando campionamenti a Cremona, Lodi, Crespiatica, Crema, Treviglio, Milano/hinterland, Brugherio, Cinisello Balsamo, Monza, Busto Arsizio, Varese, Como, Mariano Comense, Lecco, Mandello del Lario, Sondrio, Bergamo, Palazzolo sull’Oglio, Brescia, Desenzano del Garda, Mantova, Suzzara.
 
In Lombardia, Greenpeace tra il 12 e il 18 maggio 2023 aveva già realizzato campionamenti indipendenti (in fontane pubbliche, parchi giochi, davanti scuole) che avevano mostrato come in undici campioni su 31, pari a circa il 35% del totale, ci fosse presenza di PFAS nelle acque potabili di diversi comuni lombardi, fra cui Milano. In quattro casi era stata riscontrata una contaminazione superiore al limite della Direttiva europea 2020/2184, pari a 100 nanogrammi per litro: a Caravaggio, Mozzanica, Corte Palasio, Crespiatica.
 
Greenpeace inoltre chiede alla Regione Lombardia di pubblicare gli esiti dei monitoraggi effettuati negli ultimi anni in modo trasparente e accessibile alla collettività e, parallelamente, individuare e fermare tutte le fonti inquinanti.

Acque avvelenate di Pfas in Toscana.

Per realizzare la prima mappatura italiana, la spedizione “Acque senza veleni” di Greenpeace è arrivata anche a Pisa per raccogliere campioni di acqua potabile alla ricerca dei cancerogeni PFAS presenti in molti Comuni toscani soprattutto per gli scarichi di aziende di carta, tessile, area fluorovivaistica ma soprattutto cuoio e pelle, finendo poi nei fiumi, inquinando  fonti d’acqua, aria e coltivazioni e arrivando direttamente a causare gravissime patologie a tiroide, diabete, danni al fegato e al sistema immunitario, cancro al rene e ai testicoli e impatti negativi sulla fertilità ecc.
 
Oltre a Pisa e Pontedera, in Toscana Greenpeace Italia effettuerà campionamenti a Orbetello, Grosseto, Rosignano Solvay, Livorno, Viareggio, Massa, Carrara, Aulla, Firenze, Empoli, Poggio a Caiano, Agliana, Pistoia, Montemurlo, Prato, Poggibonsi, Siena, Arezzo, Montevarchi.
Greenpeace a fine luglio aveva già prelevato dei campioni di acqua potabile a Lucca e a Capannori: 54,1 nanogrammi per litro a Lucca.

Mario Draghi, l’avvocato di Solvay, difende i Pfas e mette l’UE sull’attenti.

Solvay, sanno tutti, si avvale in Piemonte delle complicità delle istituzioni locali, dal Comune alla Regione passando per la Provincia, a tacere i parlamenti e governi. Chi ha frequentato le aule di tribunale sa che Solvay si avvale di due dei più eminenti legali italiani esperti di diritto penale ambientale, titolari di studi in diverse regioni, assistenti di cattedra, premiati dalle riviste specializzate come “leader di mercato” e “avvocato dell’anno”, direttore della più autorevole rivista on line; perciò a maggior ragione la multinazionale belga li ha ingaggiati da anni come consulenti di fiducia di tutti gli stabilimenti.  La formidabile coppia, Luca Santa Maria, l’avvocato malinconico, e Dario Bolognesi, l’avvocato sorridente, guarda con sufficienza ad Alessandria come tribunale di periferia, contando sullo stato di soggezione dei giudici al colosso. E infatti i limiti del blando capo di imputazione dell’imminente processo (il secondo) lo testimoniano. Al punto che sta riflettendo con lham Kadri, presidente di  Syensqo Solvay, e con Marco Apostolo, country manager, se gli è conveniente chiedere lo spostamento del processo da Alessandria.
Ma, in aggiunta a tutti questi avvocati diretti e indiretti, ora Solvay ha messo in campo nientepopodimeno che Mario Draghi. Nessuno può stupirsi: Draghi è da sempre l’uomo della finanza e della industria, da inserire nei posti di comando, nella Banca centrale europea e nel governo eccetera. L’avvocatura di Draghi per inserire i Pfas nel suo report europeo è però segno che Solvay si sente in difficoltà. Infatti, la totalità dell’opinione pubblica italiana, comitati e associazioni, centri universitari, Arpe regionali, politici, giornali, chiede la chiusura delle produzioni Solvay di Spinetta Marengo e il divieto dei Pfas nell’uso di una sterminata pletora di prodotti industriali e di largo consumo.
 
Infatti, nel contempo, Danimarca, GermaniaPaesi Bassi, Norvegia Svezia stanno spingendo per mettere al bando in Europa la produzione e l’utilizzo dei Pfas. Che sono indiscutibilmente tossici e cancerogeni per l’uomo e l’ambiente, come sancisce la letteratura scientifica internazionale, come ha dimostrato l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro IARC. Ma di questi, non frega nulla a Draghi per dichiararsi contrario alla messa al bando dei Pfas in Europa: la competitività viene prima della salute (che a lui auguriamo di tutto cuore), si tratti di amianto o di Pfas, ovvero di 4,4 milioni di tonnellate di Pfas nell’ambiente nei prossimi trent’anni.
 
Non stupisce, data la natura dell’uomo,  che Draghi sentenzi: “Un possibile divieto imminente di una serie di sostanze pfas avrebbe un impatto sull’uso di sostanze necessarie per la produzione di tecnologie pulite (batterie, elettrolizzatori e refrigeranti per pompe di calore) per le quali attualmente non esistono alternative”. Draghi, che di chimica pulita si intende ancor meno di economia pulita, si riferisce in particolare all’ultima creatura Pfas di Solvay, l’Aquivion,  impianto da poco inaugurato a Spinetta Marengo -con i soldi dei contribuenti italiani- da Giorgia Meloni (che così spaccia il made in Italy) e da Alberto Cirio presidente Regione Piemonte (che li ha sottratti ai monitoraggi del sangue della popolazione). Draghi, che come Santa Maria e Bolognesi, non ambisce ad una cattedra di etica e morale, replica che ha la coscienza a posto: non è pagato per occuparsi di salute (non l’ha fatto neppure da premier per il covid) bensì della competizione nei confronti della Cina dove ci sono meno rischi di restrizioni alle produzioni Pfas,  bensì, insomma,  del profitto di Solvay.
 
A Draghi, che non sa leggere le indagini epidemiologiche (eccessi di tumori, malattie della tiroide, disfunzione immunitaria e interferenza ormonale ecc.), basta appiccicare ad Aquivion l’etichetta “ad uso idrogeno verde”, riempirsi falsamente  la bocca con “transizione energetica” “energie pulite”, per serrare entrambi gli occhi sui quotidiani scarichi nell’atmosfera alessandrina, sulle ondate di Pfas nel fiume Bormida (fino al Po) e nelle falde acquifere, mentre chiudono pozzi privati e acquedotti pubblici, mentre qualunque cittadino, del sobborgo di Spinetta Marengo o del comune o della provincia di Alessandria, quando sottoposto a prelievo, rivela nel sangue presenze criminali di sostanze tossiche e cancerogene.
 
Per rallentare all’infinito le produzioni, Solvay si è affidata al miglior avvocato difensore europeo, e se Draghi chiama la Commissione Europea risponde sull’attenti: la “stretta” sui Pfas sarà la più “larga” possibile (18 mesi, anche 5 anni)  per divieti a uso abbigliamento o imballaggio o alimentare ecc., e “larghissima” per  batterie, elettrolizzatori e refrigeranti.

Draghi, uno dei vari premier che hanno impedito una legge sui Pfas in Italia.

Mentre per Mario Draghi è impossibile sostituire i Pfas tossici e cancerogeni nel percorso di transizione ecologica a causa delle implicazioni economiche, invece per noi è possibile anzi necessario eliminare e sostituite questo gruppo di sostanze chimiche pericolose per la salute e conosciute come ‘inquinanti eterni’. Infatti Greenpeace Italia prosegue il suo lavoro d’indagine sulla presenza dei Pfas nelle acque potabili. Partirà dalla Toscana il prossimo 23 settembre la spedizione “Acque senza veleni” che, per cinque settimane, toccherà 220 città in tutte le regioni italiane per raccogliere campioni di acqua potabile alla ricerca di Pfas. L’obiettivo dell’organizzazione ambientalista è realizzare la prima mappatura indipendente della contaminazione a livello nazionale. Oltre a quelle già note sollevate proprio dalle inchieste di Greenpeace, per esempio in Lombardia e in Piemonte, identificare cioè nuove aree colpite nel disinteresse di molte Regioni.  (Leggi l’approfondimento)”.
 
La direttiva comunitaria 2184/2020 in Italia entrerà in vigore solo da gennaio 2026 e con un limite di 100 nanogrammi per litro per la somma di 24 molecole, molto più alto rispetto a quelli che molti Paesi si sono già imposti autonomamente. In Italia, invece, manca una legge nazionale che possa almeno limitare la presenza di Pfas nelle acque potabili. Una proposta di  legge nazionale (DDL CRUCIOLI) che ne vieti l’uso e la produzione giace da anni in Parlamento.

Consigliare a Draghi la consultazione delle quasi mille pagine dei due volumi del dossier “Pfas.Basta!” (disponibile a chi ne fa richiesta), come se egli fosse semplicemente disinformato e superficiale, è come offendere la sua malefica intelligenza.

Rischio Pfas nell’acqua potabile, la verità di 34 città italiane.

La rivista “Altroconsumo” ha condotto un’analisi sul territorio nazionale alla ricerca di 30 sostanze perfluoroalchiliche prendendo in esame un totale di 38 fontanelle pubbliche disseminate in 34 città da Nord a SudSul sito viene fornita anche una precisa mappacosì da poter individuare esattamente le aree specifiche, oltre alle arcinote situazioni di emergenza (clicca qui).

Nuove denunce Pfas di Italia Nostra alla magistratura umbra.

Allarmante la situazione PFAS  per lo stato delle acque potabili a Terni e Narni. Secondo l’ARPA, la Conca Ternana, è  toccata massivamente dall’inquinamento sistematico dei propri pozzi, con il 60% delle stazioni di monitoraggio interessate dal fenomeno e addirittura il 72% dei campioni ‘positivi’. Ai fini del bioaccumulo, per i residenti occorre anche osservare come i pozzi locali registrino generalmente la presenza non di una, ma di plurime sostanze chimiche associate ai PFAS (fino a cinque diverse), vicenda che rende ancor più inquietante l’intero fenomeno. Sono svariate decine di migliaia i cittadini ternani e narnesi interessati dalla contaminazione da PFAS delle acque potabili, vicenda finora sconosciuta. Infatti, per quanto il report ARPA Umbria sia recuperabile on line, nessuno ne ha mai divulgato gli inimmaginabili contenuti, con la popolazione del tutto ignara di cosa stia bevendo. “Italia Nostra” ha intanto presentate nuove denunce alla Magistratura a riguardo dello stato di saluto delle acque.

Dalle onde del mare un aerosol ricco di PFAS, trasportato dall’aria verso la terraferma.

Si infittiscono gli studi scientifici internazionali che dimostrano non esserci un limite alla penetrazione dei PFAS sia nell’ambiente che nel corpo umano. Dall’ingestione di  frutta e verdura: dei ricercatori delle Università di Newcastle e Sidney (sul Journal of the Science of Food and Agriculture). Per contatto nella cute tramite cosmetici: dei ricercatori dell’Università di Birmingham (su Environment International). Dall’aria di depuratori e discariche: dei ricercatori dell’Università della Florida di Gainesville (su Environmental Science & Technology Letters) eccetera.
 
A loro volta, i ricercatori dell’ Università di Stoccolma, nell’ambito di una missione durata due mesi, tramite uno studio condotto sul campo, nell’Oceano Atlantico, hanno dimostrato (su Science Advances) che i Pfas arrivati in mare si concentrano e sono vaporizzati dalle onde, e da lì tornano sulla terraferma e in atmosfera più aggressivi che mai: la concentrazione di PFAS nell’aerosol delle onde  è risultata sempre superiore rispetto a quella dell’acqua di origine, in alcuni casi di 100mila volte! Soprattutto nelle acque costiere e in quelle che si trovano in prossimità dello sbocco dei fiumi.  Esempio in Italia: in Adriatico la foce del Po che riceve gli scarichi in Bormida della Solvay di Spinetta Marengo. Una sorta di vendetta della Natura violata.

Regioni e Comuni non controllano gli impianti di depurazione. I Pfas finiscono nei fertilizzanti e nella catena alimentare.

In Italia non si fa tesoro del monito che proviene dagli USA. Cioè dell’inchiesta condotta dal New York Times che ha fatto luce sulla situazione negli Stati Uniti, dove i Pfas sono stati rinvenuti nei fertilizzanti usati in diverse fattorie. Secondo il rapporto, i fanghi di depurazione, utilizzati come fertilizzanti per arricchire i terreni agricoli, contengono elevate quantità di Pfas. Questi fanghi, derivati dai trattamenti delle acque reflue, finiscono per entrare nella catena alimentare.
 
In Italia, gli agricoltori, quando ignari della presenza di queste sostanze tossiche e cancerogene  nei fertilizzanti, stanno utilizzato questi prodotti per anni, contribuendo alla diffusione dei Pfas nei loro raccolti. Le conseguenze sono devastanti, poiché questi composti, una volta entrati nel suolo, si accumulano nelle piante e, successivamente, negli animali che si nutrono di esse. Questo ciclo continuo di contaminazione rappresenta una minaccia seria per la salute umana, considerando che i Pfas sono associati a varie patologie, tra cui problemi endocrini, malattie renali, alcuni tipi di cancro ecc.
 
In pressoché tutte le Regioni italiane sono evidenti gli effetti della  scarsa regolamentazione e dei controlli insufficienti o assenti sui fanghi di depurazione: Pfas nell’acqua potabile e in numerosi alimenti, tra cui pesci, carne e prodotti derivati, non solo nelle zone vicine a impianti industriali che producono (Solvay di Spinetta Marengo) o  utilizzano tali sostanze.
 
Non dimentichiamo che le discariche emettono gas nei quali si annidano numerosi PFAS in concentrazioni talvolta elevate che si disperdono nell’aria.  Lo dimostra uno studio pubblicato su Environmental Science & Technology Letters dai ricercatori dell’ Università della Florida di Gainesville. Similmente  accade con i percolati non filtrati e neutralizzati: anch’essi possono rilasciare nel suolo PFAS che, inesorabilmente, arrivano alle falde. 

Allerta Pfas anche nel Canton Ticino.

Dopo le segnalazioni di contaminazione nei campi vicino al lago di Costanza a San Gallo, l’attenzione si sposta verso il Ticino, dove le autorità locali sono da tempo all’erta riguardo la presenza di Pfas nelle acque e negli alimenti. Già nell’ottobre dello scorso anno, studi sulla distribuzione dell’acqua potabile hanno rivelato la loro presenza nella falda che alimenta il Pozzo Pra Tiro a Chiasso. Questo dato ha spinto all’installazione di filtri avanzati per garantire acqua sicura ai cittadini, una misura che rimane sotto stretta osservazione.
 
Anche altri Comuni, come Capriasca e Sant’Antonino, hanno registrato livelli preoccupanti di PFAS, spesso correlati all’uso di materiali specifici in grandi opere infrastrutturali come la galleria di base del Monte Ceneri.
Sul fronte alimentare, il Laboratorio cantonale ticinese ha intensificato le analisi su vari prodotti, come la carne, estendendo le campionature fino alla fine dell’anno. Inoltre, è in corso una campagna di monitoraggio su diverse derrate alimentari, come i pesci, che possono accumulare PFAS a causa del loro metabolismo.

Solo dal basso si possono fermare Pfas e Solvay. Davide contro Golia.

Non si allenta sulla politica la morsa della lobby industriale chimica. Dei colossi produttori di Pfas, in capo a Solvay Syensqo. E degli illimitati utilizzatori: dalle pentole antiaderenti agli indumenti impermeabili, dalle giacche goretex alle scarpe, dagli imballaggi alimentari ai dispositivi medici, dai pesticidi alla tappezzeria, dalla carta da forno alle cromature, dalla pelletteria alle schiume antincendio, dal filo interdentale alla carta igienica, dalle scioline ai gas refrigeranti, dall’industria elettronica ai semiconduttori, dall’attività estrattiva dei combustibili fossili alle applicazioni dell’industria della gomma e della plastica, nelle cartiere, nei lubrificanti, nei trattamenti anticorrosione, nelle vernici eccetera. A tacere tutti gli utilizzi, strategici, nel settore militare. Per avere una dimensione del business, si consideri che la lobby FluoroProducts &PFAS for Europe  può contare su 72 singoli lobbisti attivi a Bruxelles, con una spesa annuale compresa tra 18,6 e 21,1 milioni di euro e 59 pass al Parlamento Europeo.
 
La lobbying degli enormi interessi finanziari e mercantili, che è sempre intervenuta coi propri mezzi “persuasivi” sull’OMS Organizzazione Mondiale Sanità (in contrasto con l’americana EPA Ente Protezione Ambientale) e in particolare sull’Unione Europea  per imporre legislazioni e regolazioni particolarmente neo-corporative, esempio nel bando al Bisfenolo, ora è riuscita ancora una volta a impedire la messa al bando totale delle migliaia di sostanze “per- e polifluoro alchiliche”: PFAS.
 
Le possiamo immaginare come  catene di ferro avvolte  in una protezione di gomma: gli anelli di ferro sono atomi di carbonio saldamente uniti fra loro, che rendono la catena forte, mentre la copertura rappresenta atomi di fluoro, che proteggono la catena dagli agenti esterni facendoli scivolare via. Questa accoppiata conferisce ai Pfas portentose proprietà di resistenza alle alte temperature e agli agenti esterni, idrorepellenti, oleorepellenti, ignifughe, però conferisce  altrettanto pericolose proprietà di pericolo per la salute di milioni di persone. Infatti sono  bollate da  una sterminata letteratura scientifica internazionale come sostanze inodori insapori incolori indegradabili, “forever chemicals” inquinanti eterni, ubiquitari, trasportati dai venti e dalle acque in ogni parte del globo, estremamente persistenti e accumulabili  nell’ambiente vegetale e animale.
 
Dunque nell’organismo umano: non decomponibili biologicamente, le indistruttibili tossiche e cancerogene sono state trovate nel sangue, nelle urine, nella placenta, nel cordone ombelicale e persino nel latte materno. Inalate e ingerite con cibo e acqua, si introducono infatti  nel sistema circolatorio e si diffondono nel nostro corpo, nel sistema endocrino ovvero nella produzione e regolazione degli ormoni, con malattie della tiroide,  danni al fegato, obesità, diabete, colesterolo,  problemi cardiocircolatori,  cancro ai reni, alla prostata e ai testicoli, ridotta fertilità maschile e femminile, diabete gestazionale, patologie neonatali,  riduzione del peso alla nascita dei neonati, riduzione del quoziente di intelligenza nei bambini, riduzione della risposta immunitaria ai vaccini eccetera.
 
Malgrado tutte queste certezze scientifiche, ma nascondendosi dietro ostruzionistiche confutazioni,  per cui non esisterebbero metodi d’analisi in grado di scoprire o quantificare tutte le migliaia di Pfas con svariato peso molecolare e differenti proprietà chimiche e strutturali, la lunga mano di Solvay & C. ha determinato una lassista normativa europea: estraniata dai controlli delle emissioni atmosferiche (micidiali per il circondario delle fabbriche utilizzatrici, come il “colabrodo di veleni” della Solvay di Spinetta Marengo unico  produttore in Italia), nonché  permissiva, a non dire condiscendente, per quanto riguarda la parametrazione della qualità delle acque per consumo umano: si tratta ora di limiti-soglia massimi ai quali gli Stati dell’Unione europea sarebbero tenuti a conformarsi entro il 12 gennaio 2026.
 
Resta, come sempre, la facoltà di includere e anticipare disposizioni nazionali, come hanno fatto alcuni Stati, tramite valori più rigorosi o parametri aggiuntivi, fino al “limite zero”, ovvero con  palliativi come in Francia (1). Facoltà che comunque l’Italia si è ben guardata da usufruire, per veto di Solvay che ad Alessandria sfora tutti i limiti inimmaginabili di inquinamento. Così il Parlamento ha affossato il Disegno di Legge Crucioli per la messa la bandoAnzi, l’Italia ha perfino evitato di aderire all’iniziativa – presa da Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia, nel febbraio del 2023 – per introdurre una restrizione universale sui PFAS a livello dell’Unione Europea, per vietarne la produzione, la vendita e l’utilizzo. Dal canto suo, si è mostrata ininfluente l’esortazione  di quasi 150 0rganizzazioni  della società civile europea agli Stati membri dell’UE e alla Commissione a vietare tutti i PFAS in tutti i prodotti di consumo entro il 2025 e a vietarli completamente entro il 2030.
 
Nel frattempo, stante appunto questa complice paralisi della politica italiana ed europea, la presidente di Solvay Syensqo, Ilham Kadri, ora ritiene procrastinabile il processo avviato di trasferimento delle produzioni in Cina (dove, per i disastri già compiuti non è più accolta a braccia aperte) e valuta le condizioni di resistere a Spinetta il più a lungo possibile. 
(2) Però, c’è un altro però. Per Kadri si affacciano ulteriori problemi entro il 2026 per lo stabilimento di Spinetta Marengo: esce dall’invisibilità mediatica il TFA, acido trifluoroacetico, che si forma dai PFAS per degradazione. Come i Pfas, si trova ovunque (ubiquitario), come i Pfas è perenne (forever chemical), come i Pfas tossici e cancerogeni è micidiale per la salute, ma, ancora peggio dei Pfas, a differenza dei Pfas non è ancora normato per legge e “Pesticide Action Network” (PAN Europe) chiede ai governi di agire con misure urgenti:  il divieto immediato dei pesticidi con PFAS, il divieto immediato dei gas fluorurati. Ma Kadry opporrà il consueto ostruzionismo. (3)
 
Invece, nel mentre, il fattore tempo sta scadendo a Spinetta Marengo per quanto riguarda le emissioni atmosferiche. La lunga mano di Solvay ha estraniato la lassista normativa europea da controlli che non siano delle acque, e dunque non esisterebbero  limiti di legge per i PFAS in aria ambiente e nelle deposizioni al suolo. Esistono, in realtà, per il cocktail micidiale di 20 veleni tossici e cancerogeni, di cui fanno parte  PFOA, ADV, C6O4, che è scaricato sulla popolazione da 72 ciminiere  e dai 15.000 punti di perdite incontrollate: così come abbiamo denunciato alla Procura. Un cocktail confermato dall’ultimo monitoraggio dell’Arpa. (4)  E… dal continuo andirivieni dei Vigili del fuoco in emergenza (5). Il tutto, per un Sito classificato alto rischio chimico e di catastrofe industriale, per il quale -denunciamo da 40 anni come delittuosa vergogna dei politici locali-  non esiste un Piano di emergenza in grado di affrontare a) l’allarme, b) l’evacuazione, c) il soccorso, d) le cure della popolazione(6)  
 
Veniamo ai dunque. Dunque, da un lato, neppure a pensarci che sia la politica a fermare i Pfas in Italia (a tacere i fallimenti delle Procure). Dall’altro, l’urgenza della condizione eco sanitaria della popolazione di Alessandria rende indifferibile la chiusura immediata delle produzioni Solvay a Spinetta Marengo. Dunque, a tal fine, resta la via, dell’azione giudiziaria inibitoria risarcitoria, avviata dal bassoovvero intraprendere  l’impresa titanica di affrontare Solvay Syensqo: che non rappresenta solo se stessa ma anche la “European chemical industry council (cefic)” la lobby delle industrie chimiche europee che ha riunito i  maggiori produttori e consumatori di Pfas, tra cui figurano  Agc, Arkema, Basf, Bayer, Chemours, Daikin, Du Pont, Exxonmobil, Gfl, Merck, Gore.
 
Alle azioni inibitorie risarcitorie contro Solvay di Spinetta  incitava il Procuratore Generale di Cassazione: “Mi auguro che seguano centinaia, migliaia di cause civili per toccare questa gente nel portafoglio”. E fuori dall’Italia,  è proprio  Solvay, e proprio per i Pfas, a doversi mettere le mani al portafoglio pagando una class action in USA  da 1,3 milioni di dollari. (7)  Ad Alessandria è inimmaginabile che il sindaco faccia causa a Solvay per inquinamento del Bormida,  come il suo omologo americano contro Monsanto: 160 milioni di dollari! (8) Viceversa, l’azione inibitoria risarcitoria, oltre che contro l’azienda, può essere rivolta anche contro le Istituzioni, cioè contro Comune e Provincia di Alessandria e  Regione Piemonte.  Come in Olanda. (9)
La storia di questi decenni ha dimostrato che codeste istituzioni piemontesi sono complici di Solvay (Syensqo, già Montedison): speculari al colosso chimico, subordinati non solo culturalmente e politicamente. I sindacati, a loro volta, si nascondono sempre dietro il ricatto occupazionale (neppure a stento si salva la CGIL), al punto che quando sono stati chiamati al  Tavolo tecnico permanente del Comune addirittura… hanno chiesto di farsi rappresentare direttamente da Solvay.  
 
L’ultimo scandaloso anzi grottesco episodio, sulla spinta delle ripetute immagini sui media delle incontrollate invasioni di schiume di Pfas dall’obsoleto stabilimento ridotto a colabrodo per sfacelo tecnologico e di manutenzioni, è stato lo spettacolo del bluff della Provincia di Alessandria: che obtorto collo sospendeva le produzioni e nel giro di poche settimane ne autorizzava la sciagurata ripresa sulla base di una perizia addomesticata (classico caso di “controllato controllore”) e malgrado la totale disapprovazione dei tecnici dell’Arpa (Ente normalmente non tanto severo). Addirittura le impronte dello  zampino di Solvay si intravvedono nella firma apposta alla lettera di autorizzazione.  (10)
 
Su questa vicenda  la Commissione parlamentare d’inchiesta sugli illeciti ambientali ha convocato il direttore generale di Arpa Piemonte Secondo Barbero e il procuratore capo di Alessandria Enrico Cieri. Queste stupefacenti audizioni hanno scandalizzato Alessandria. In particolare il sottoscritto. Il quale, per evitare termini pesanti, ritiene sufficiente  questo  “commento terzo”  di una preparata giornalista. (11)
 
Come effetto di questa nuova licenza di inquinare falde acquifere – suoli – fiume Bormida – atmosfera del Comune di Alessandria e degli altri Comuni della provincia,  discende la reiterazione del reato: la cosiddetta  “barriera idraulica” attualmente si conferma impianto non idoneo a contenere le fuoriuscite degli inquinanti dello stabilimento, dunque violando la sentenza della Corte di Cassazione dal 2019. 
 
Sentenza che, vogliamo ribadirlo ancora una volta, riguardava ben oltre i Pfas: cioè la bonifica di una massa di veleni, una ventina insieme al cromo esavalente, bonifica che è stata, su ordine di Bruxelles, consapevolmente disattesa sull’altare dei profitti da Solvay, la quale, anzi, ha peggiorato la situazione ecosanitaria. Su questo punto, il capo di accusa nell’imminente processo penale bis andrebbe riformulato sul versante dolo. E portato al massimo livello apicale di Syensqo.  E anche in sede civile con azioni inibitorie che risarciscono le Vittime, come stimolava a fare il Procurate generale in Cassazione: “Quella gente dovete toccarla nel portafoglio”.  Con la Procura di Alessandria è difficile nascondere il dissenso(12) Sorprende infine che sia nel processo di Alessandria che in quello di Vicenza non ci siano medici tra gli imputati(13)
 
Lino Balza Movimento di lotta per la salute Maccacaro

1) Ecologisti francesi sconfitti da sindacato operaio e multinazionale a braccetto.

2) La Cina per Solvay non è più la terra promessa.

3) L’ “invisibile” TFA nell’esistenza nebulosa della Solvay di Spinetta Marengo, tra processi e class action.

4) Procuratore, fermi il cocktail tossico cancerogeno da 72 ciminiere e 15mila punti di perdite incontrollate.

4) Nuovo esposto sui PFAS alla Procura della Repubblica di Alessandria

5) Nubi di fluoridrico spediteci dalla Francia.

6) Il Piano di emergenza di Solvay…scritto da Solvay: grazie alla complicità del sindaco.

7) Migliaia di cause civili per toccare questa gente nel portafoglio. E Solvay in USA paga con dollari sonanti.

8) Viene da ridere pensare che il sindaco di Alessandria fermi Solvay.

9) Anche l’Olanda invasa dai Pfas. Scattano le azioni inibitorie risarcitorie.

10) Puzzano gli amministratori di Provincia Regione Comune di Alessandria. E i sindacati…

11) Imbarazzante esibizione di Procura e Regione davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sugli illeciti ambientali.

12) Rimettere in funzione gli impianti Pfas inquinanti: è una condotta sempre più dolosa della Provincia.

13) Saranno o non saranno risarcite le Vittime di Miteni e Solvay ad Alessandria e Vicenza?

Il dossier in quasi mille pagine disponibile a chi fa richiesta. 

2) La Cina per Solvay non è più la terra promessa.

L’urgenza della condizione eco sanitaria della popolazione di Alessandria imporrebbe l’immediata chiusura  delle produzioni Pfas della Solvay di Spinetta Marengo, provvedimento a cui  la multinazionale  si è preparata da tempo allocandosi in Cina  ma che ora ritiene procrastinabile stante la complice paralisi della politica italiana ed europea, e  perché anche in Cina non l’accolgono più a braccia aperte.
 
Infatti, oggi la nazione è diventata  il maggiore produttore di fluorocarburi, perciò nello scorso decennio la loro emissione di gas  in Cina è salita vertiginosamente, e così l’impatto sull’effetto serra, che è infinitamente superiore a quello della CO2. Due studi, condotti su rilevazioni atmosferiche all’interno del territorio cinese e firmati dal ricercatore Minde An del “Center for Global Change Science del MIT”, pubblicato dall’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti, rivelano che nello scorso decennio le emissioni sono cresciute di oltre il 70%, rappresentando la maggior parte delle emissioni globali di questi gas serra. In particolare: i PFC-14, PFC-116  per le  produzioni di alluminio  e di semiconduttori e display in aree scarsamente popolate,  e  il PFC-318 generato come sottoprodotto della lavorazione per la produzione di politetrafluoroetilene o PTFE, ovvero PFAS, in corrispondenza di grossi poli industriali (tra cui Solvay) dedicati alla produzione di rivestimenti anti-aderenti per pentole da cucina.
 
Di pari passo, i livelli di sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) sono aumentati progressivamente nelle falde acquifere. Come ha confermato anche la ricerca sostenuta dalla National Natural Science Foundation of China e dalla “Natural Science Foundation of Liaoning Province of China”, sul “Bioaccumulo di sostanze perfluoalchiliche in ortaggi di serra con irrigazione a lungo termine con acque sotterranee vicino a impianti fluorochimici a Fuxin”.
 
Secondo lo studio, pubblicato su Scienze ambientali Europa, di un team di ricercatori della Tsinghua University di  Pechino, le concentrazioni di PFAS nell’acqua potabile sono 122,4 ng/l a Changshu, per il polo chimico di Solvay. Gli autori della ricerca  hanno associato l’esposizione ai Pfas  agli  esiti avversi per la salute, inclusa una maggiore incidenza di cancro ai testicoli e ai reni, ridotta fertilità e fecondità, soppressione immunitaria e disturbi della tiroide.
 
Dunque, l’inquinamento atmosferico, ha raggiunto livelli pericolosi in almeno 83 città e sta contribuendo all’impennata dei tassi di cancro ai polmoni. E la crisi idrica della nazione è altrettanto terribile. Secondo un rapporto governativo pubblicato all’inizio di quest’anno, oltre l’80% delle riserve idriche sotterranee della Cina non sono adatte al consumo umano e quasi due terzi non sono adatte a qualsiasi contatto umano. Circa 300 milioni di persone – quasi l’equivalente dell’intera popolazione degli Stati Uniti – non hanno accesso all’acqua potabile e circa 190 milioni si sono ammalati a causa dell’acqua potabile contaminata.

3) L’ “invisibile” TFA nell’esistenza nebulosa della Solvay di Spinetta Marengo, tra processi e class action.

Non ci sono solo le sostanze perfluoroalchiliche,  PFAS, a contaminare le acque superficiali e quelle delle falde e, quindi, l’acqua potabile e gli alimenti. Esce dall’invisibilità mediatica  il TFA, acido trifluoroacetico, che si forma dai PFAS per degradazione: come i Pfas si trova ovunque (ubiquitario), come i Pfas è perenne (forever chemical), come i Pfas tossici e cancerogeni è micidiale per la salute, ma, ancora peggio dei Pfas, a differenza dei Pfas non è ancora normato per legge, e quando avverrà sarà una grana per Solvay.
 
A denunciare la presenza di TFA nelle acque potabili è ora un rapporto della Pesticide Action Network (Pan Europe), nel quale sono stati analizzati 55 campioni di acqua potabile di 11 Paesi (tra i quali non c’era l’Italia) e si è visto che il TFA era presente nel 94% di essi: da 20 a 4.100 nanogrammi per litro (ng/l), per una media di 740 ng/l. Poche le differenze tra campioni di acqua minerale e di acqua di sorgente. Nelle acque di fiumi e laghi erano state rilevate concentrazioni medie pari a 1.220 ng/l. Soprattutto il TFA costituisce il 98% dei cosiddetti PFAS totali in tutti i campioni. Il fatto non stupisce, visto che il TFA si forma da diversi PFAS.
 
Dunque, il TFA, derivato dai PFAS dei pesticidi e dai gas fluorurati,  oggi manca di un quadro legislativo di riferimento: è nebulosa l’indicazione del valore tollerabile per l’essere umano, manca uno standard di qualità per le acque sotterranee o superficiali, non esiste alcun valore massimo indicato per le acque potabili,  la  sostanza non è inclusa negli elenchi dei PFAS che entrano a far parte del bilancio totale. Entrerà nel 2026 in Europa, quando  sarà in vigore un limite per i PFAS totali (500 nanogrammi per litro per l’insieme dei PFAS?).  Se oggi fosse già così, metà dei campioni di acqua del rubinetto analizzati sforerebbe i limiti.
 
Per questi motivi, “PAN Europe” chiede ai governi di agire con misure urgenti:  il divieto immediato dei pesticidi con PFAS, il divieto immediato dei gas fluorurati. Così, per la presidente di Syensqo, Ilham Kadri,  si affacciano ulteriori problemi entro il 2026 per lo stabilimento Solvay di Spinetta Marengo (Alessandria), il  cui  mix produttivo nei fluorurati è ineludibile  [Nota 1]. Ilham Kadri, deve pur occuparsi di azioni legali inibitorie risarcitorie.
 
Dall’Italia fino in Belgio, rimbombano sempre le parole di  Ferdinando Lignola, il Procuratore Generale di Cassazione, quando, nel 2019 nella sua arringa finale contro Solvay, incitò: “Mi auguro che seguano centinaia, migliaia di cause civili per toccare questa gente nel portafoglio”.  Perché era pienamente cosciente, come era ed è Kadri, che in sede penale non si va oltre ad una risibile condanna  ai livelli manageriali più bassi di questa gente delittuosa,  e non si va oltre ad una virtuale condanna di bonifica a spese di questa gente. Soprattutto era conscio, inorridito dell’ingiustizia massima: in sede penale neppure le Vittime vengono risarcite per le morti e le malattie provocate dal reiterato delitto ecosanitario di questa gente.
 
Kadri non ha remore etiche ma sta valutando che anche in Italia gli studi legali si apprestino ad avventurasi nella legislazione aprendo cause in sede civile con azioni inibitorie risarcitorie contro questa gente, contro la belga Solvay proprietaria dello stabilimento di Spinetta Marengo: nell’occhio del ciclone per i veleni in aria-acqua-suolo-sangue della popolazione di Alessandria, dei quali i famigerati Pfas sono solo la punta dell’iceberg ecosanitario locale.
 
Valutazione opportuna perché, fuori dall’Italia,  è proprio la Solvay, e proprio per i Pfas, a doversi mettere le mani al portafoglio. Infatti, Solvay Specialty Polymers USA ha accettato di pagare 1,3 milioni di dollari per chiudere una class action sulla contaminazione da Pfas delle riserve idriche del Parco nazionale di West Deptford ad opera del suo impianto di produzione di Leonard Lane. [Nota 2]. Kadri ha concordato di raggiungere l’accordo “per evitare l’onere e le spese di un contenzioso continuo“.

9) Anche l’Olanda invasa dai Pfas. Scattano le azioni inibitorie risarcitorie.

L’azione inibitoria  risarcitoria può essere rivolta contro l’azienda ma anche contro le Istituzioni (ad esempio, per la Solvay, contro il sindaco di Alessandria e la Regione Piemonte). Contro lo stesso  Stato: l’importante studio legale Knoops di Amsterdam, coadiuvato da un intero team di esperti, intende far rispettare le misure contro la quantità di PFAS nel suolo con un reclamo di massa per obbligare lo Stato ad intervenire. Alla massiccia azione legale partecipano diverse organizzazioni e gruppi, come l’Associazione per la Rete degli Anziani di West-Friesland e il sindacato del personale civile e militare della difesa,  come SchipholWatch per le grandi quantità di PFAS trovate in luoghi intorno all’aeroporto: la sola pista di Zwanenburgbaan coinvolgerebbe almeno 200.000 tonnellate di terreno contenente PFAS. Anche la Fondazione West Friesland Elderly Network ha comunicato  che si unirà alla campagna di Knoops: la salute degli abitanti del villaggio di Westwoud preoccupa per troppi eccessi di cancro.
 
Infatti, secondo  l’Istituto nazionale per la salute pubblica e l’ambiente (in olandese: Rijksinstituut voor Volksgezondheid en Milieu; RIVM),  in centinaia di siti nei Paesi Bassi c’è un’eccessiva presenza di PFAS nel suolo, grandi quantità entrano nel cibo, ad esempio attraverso l’irrigazione dei campi agricoli, trovati di recente anche nelle uova di galline in allevamenti amatoriali, possono  causare il cancro e le altre malattie. Secondo il RIVM, gli olandesi stanno assumendo “troppo” PFASRIVM ha stabilito un limite specifico per alcune varianti. Se superato, il composto è dannoso per la salute. Nel 2010, una variante di PFAS, il PFOS, è stato vietato in tutta l’UE. È stata presentata una proposta a livello UE per fermare completamente l’uso di PFAS entro il 2025. Knoops sta intentando  causa per spingere lo Stato a intervenire più rapidamente.
 
Anche perché la situazione è sempre più allarmante:  i PFAS sono stati trovati anche nella schiuma del mare lungo le coste dell’Olanda.

10) Puzzano gli amministratori di Provincia Regione Comune di Alessandria. E i sindacati…

C’è chi si ostina a dialogare con loro, impantanandosi nel circolo vizioso del loro reciproco scaricabarile. La storia di questi decenni ha invece dimostrato che sono complici di Solvay (Syensqo, già Montedison): speculari al colosso chimico, subordinati culturalmente e politicamente (quando non anche economicamente). Vanno dunque trattati come avversari. Immeritevoli di un briciolo di fiducia.
 
Infatti c’è chi, come noi, non espresse il benché minimo credito alla bolla di sapone della diffida con la quale la Provincia di Alessandria intimava (tardivamente) a Solvay di “sospendere la produzione di cC6O4 in tutto lo Stabilimento” e imponeva che “l’impianto Tecnoflon  potesse essere riavviato solo dopo interventi tecnologici risolutori e approvazione certificata di ARPA”. Pensar male della Provincia non era peccato: tant’è che nel giro di poche settimane il bluff è scoppiato e la Provincia  ha autorizzato la ripresa tossica e cancerogena di “PRODUZIONE ed USO di cC6O4” fregandosene della disapprovazione dell’ARPA.
 
Fregandosene dell’Arpa che non aveva certificato fossero state superate le cause dell’ incontrollata dispersione del Pfas C6O4  nelle falde acquifere per le  perdite dal pozzo G adiacente all’impianto, perdite enormi: misurate da ARPA (l’11 aprile scorso)  con una concentrazione di cC6O4 di 191.262μg/l contro i 0,5 μg/l (generosamente) ammessi.
 
Fregandosene, anzi, che negli incontri tecnici Arpa-Asl avessero denunciato  un forte aumento delle quantità di cC6O4 in falda acquifera esterna, e che le perizie condotte da ARPA e riportate nella relazione di servizio avessero allarmato un pessimo stato di manutenzione dell’impianto colpevole dello sversamento: valvole rotte, tubazioni di scarico danneggiate, pareti di contenimento con buchi, ecc. nonché il colabrodo delle cosiddette barriere idrauliche.  
 
Fregandosene, così , anche di ammettere che,  stante lo sfacelo storico delle manutenzioni, tutti gli altri reparti che utilizzano i PFAS sono nelle stesse condizioni.  
 
Fregandosene, insomma, che la sua nuova licenza di inquinare avrebbe coinvolto non solo falda acquifera-suolo-fiume Bormida -atmosfera del Comune di Alessandria, ma anche di una vasta area provinciale, dove ormai abitualmente si riversano i PFAS nell’aria: i Pfas in alcuni periodi dell’anno raggiungono contenuti a Spinetta Marengo di quasi 1.000 volte superiori a valori ritenuti (permissivamente) normali, e a Piovera e Montecastello di 100 volte superiori, e ad Alessandria (istituto Volta) di 20 volte superiori.
Dall’ennesima esemplare,  e perciò  opacizzata dai media locali, relazione dell’ingegner Claudio Lombardi, già assessore all’ambiente, apprendiamo inoltre che la sciagurata servile autorizzazione della Provincia è appunto avvenuta dopo acceso dibattito con ARPA, sulla base di presunte “relazioni comprovanti interventi risolutivi delle perdite”. Relazioni talmente “comprovanti” da essere la “perizia giurata” firmata… da chi? da un perito incaricato da Solvay!! Perizia “giurata” (sic) e talmente qualificata da risultare esercizio neppure di un ingegnere (che so, idraulico, progettista)  ma da… un architetto paesaggista. Insomma, il più  classico caso di “controllato controllore”!
 
Puzza, puzza il voltagabbana della Provincia. Le impronte dello zampino di Solvay si intravvedono nella firma apposta alla lettera di autorizzazione di ripresa della produzione: stranamente  non già del direttore responsabile ingegner Paolo  Platania (che arditamente aveva emesso la diffida) ma da un suo sostituto, tale Maurizia Fariseo, segretaria di Direzione. Dubbio legittimo: i responsabili politici degli enti pubblici hanno atteso che Platania andasse in ferie? Platania si è rifiutato di firmare? Platania sarà accompagnato alla pensione?
 
Sberleffo successivo alla “voltagabbanata”, a fine agosto la Provincia fa una terza diffida per via del superamento della capienza del percolato di  rifiuti liquidi oltre i limiti nelle vasche destinate allo stoccaggio dei gessi fluoridrici.
 
E i sindacati? Vi chiederete. I sindacati, sempre a rappresentare l’eterno dilemma della sicurezza della popolazione, dei lavoratori e dell’occupazione, sempre a nascondersi dietro il ricatto occupazionale, in questa crisi,  quando sono stati chiamati al  Tavolo tecnico permanente del Comune addirittura… hanno chiesto di farsi rappresentare direttamente da Solvay.  

11) Imbarazzante esibizione di Procura e Regione davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sugli illeciti ambientali.

 
Pfas alla Solvay di Alessandria: storia di omissioni e mezze verità
La commissione parlamentare d’inchiesta ha ascoltato il direttore di Arpa Piemonte e il procuratore capo di Alessandria sul caso pfas alla Solvay di Spinetta Marengo. Entrambi hanno confermato che le sostanze prodotte dallo stabilimento sono tossiche per l’essere umano e l’ambiente, tralasciando però dettagli importanti su una vicenda sempre più complessa.
 
Su un punto sono tutti d’accordo: le sostanze prodotte dallo stabilimento Solvay Syensqo di Spinetta Marengo, una frazione di Alessandria, sono tossiche e nocive per l’essere umano e per l’ambiente. Sarà anche per questo che la Commissione parlamentare d’inchiesta sugli illeciti ambientali, per la terza legislatura consecutiva, ha deciso di occuparsi di pfas convocando a Palazzo San Macuto (l’edificio romano che ne ospita le sedute) il direttore generale di Arpa Piemonte Secondo Barbero e il procuratore capo di Alessandria Enrico Cieri. Due personaggi chiave che in audizione hanno fatto il punto della situazione, tralasciando però dettagli importanti di una vicenda complessa.
Le dimenticanze di Arpa Piemonte
Mercoledì 10 luglio il primo ad essere ascoltato è stato il direttore generale di Arpa Piemonte Secondo Barbero, che ha definito “delicata” la situazione del polo chimico Solvay di Alessandria. Barbero si è soffermato sui sistemi di filtraggio dello stabilimento, che dovrebbero fermare i contaminanti prodotti e scaricati nelle acque di falda sotterranee, spiegando che “tutti questi trattamenti non sono bastati a raggiungere i valori obiettivo posti dai piani di bonifica indicati già nel 2012”.
 
In particolare, i dati comunicati dal direttore mostrano valori di Triclorometano (Cloroformio) ben oltre le concentrazioni di soglia (65 microgrammi per litro), con un picco registrato nel giugno 2023 di 101 microgrammi. Stesso discorso per il Tetracloruro di Carbonio, che a fronte di un valore limite pari a 66 microgrammi per litro, risulta esseri di 132,2 microgrammi. Alle stelle anche il Cromo esavalente e i fluoruri, questi ultimi pari a 44.875 microgrammi per litro quando la soglia massima è di 1.500.
 
Per i pfas il discorso è simile: i valori di marzo 2024 indicano una concentrazione altissima di cC604 (prodotto in esclusiva dalla Solvay di Spinetta) in un pozzo interno allo stabilimento, pari a 191.262 microgrammi per litro. La situazione peggiora all’esterno, dove vivono 7mila persone e abbondano i terreni coltivati. “Fino a 2 chilometri e mezzo di distanza dal sito – spiega Barbero – rileviamo valori molto superiori rispetto alle soglie previste dalla normativa”. Suoli e aria sono quindi inquinati e i dati lo dimostrano in maniera lampante.
 
Continuando con il suo intervento, Barbero è però inciampato su qualche inesattezza. Ad esempio, quando ha spiegato che la contaminazione è oggetto di un monitoraggio continuo. Le cose non stanno esattamente così: i valori dei pfas riscontrati nello scarico, nelle acque interne e nei suoli sono stati raccolti dopo una segnalazione dell’azienda a marzo 2024 e il caso è emerso grazie all’intraprendenza di alcuni cittadini, che tra aprile e maggio hanno contattato il 112 per denunciare la presenza di schiume nello scarico.
 
Il direttore ha ritenuto di non spiegare quale sia il motivo delle perdite in falda, ossia la mancata tenuta della barriera idraulica che serve a filtrare gli inquinanti e che già nel 2019 era stata considerata insufficiente. E anche sui pfas rilevati, si è limitato a citare solto il cC6O4 e la miscela ADV, dimenticando il GenX, un composto tossico ritrovato sia negli alimenti prodotti in prossimità del sito sia nell’aria analizzata nel centro città di Alessandria. A denunciarne la presenza, lo scorso maggio, è stata Greenpeace Italia, ma nessuna istituzione locale, neppure Arpa, ha mai commentato.
 
Barbero non ha neppure spiegato per quale motivo i valori elevati misurati sui percolati di discarica dal dipartimento di Alessandria nell’ottobre 2023 non siano stati subito comunicati, se non ad aprile 2024, quando tutte le istituzioni territoriali erano già state allertate di uno sversamento anomalo interno al sito e per giunta la stessa azienda aveva denunciato il fatto.
 
La deputata del Movimento 5 Stelle Carmela Auriemma ha chiesto come mai a Torino sia presente il pfas cC6O4. “Abbiamo sensibilizzato la Provincia di Torino sul tema per evitare che questo tipo di sostanze sia trattato in impianti non idonei”, ha risposto Barbero senza però indicare come le prescrizioni redatte dall’Arpa dopo l’ampliamento della produzione del composto cC6O4 prevedessero l’obbligo per l’azienda di indicare dove e come smaltire i rifiuti.
Il direttore, infine, non ha informato la Commissione del mancato rinnovo dell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) dell’intero stabilimento, ossia il provvedimento che autorizza l’esercizio di un’installazione a determinate condizioni che garantiscono la conformità ai requisiti Ippc (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento). Solvay Syensqo continua, infatti, a operare con un’Autorizzazione in fase di revisione dal 2019, discussa finora in un’unica conferenza dei servizi ormai due anni fa.
 
Tra accuse e giustificazioni
Terminato l’intervento di Barbero, la commissione ha ascoltato il procuratore capo di Alessandria Enrico Cieri e il sostituto procuratore Eleonora Guerra per capire in che modo stia procedendo la giustizia, dopo la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di due dirigenti Solvay. Cieri ha spiegato che i carabinieri del Noe hanno denunciato Solvay per disastro ambientale colposo, “ma non abbiamo incluso l’omessa bonifica perché riteniamo che Solvay dal 2007 abbiamo messo in opera azioni di messa in sicurezza, con un piano di bonifica per un sito che è affetto da inquinamento storico”.
 
E ancora: “Abbiamo sempre avuto un’interlocuzione franca con Solvay, che ha investito molto per limitare la contaminazione (40 milioni in tre anni a fronte di un fatturato annuo solo per gli stabilimenti italiani Solvay di 1.3 miliardi ndr). Se mi posso permettere – ha aggiunto il magistrato – non siamo di fronte ad un inquinatore scellerato, che intenzionalmente sversa contaminanti in spregio agli obblighi di legge, ma a un imprenditore che crediamo abbia ottemperato agli adempimenti che dal 2007 il Comune gli ha ordinato. Permangono delle inadeguatezze di queste misure che valgono il rimprovero di una colpa”.
 
Affermazioni che sembrano “ammorbidire” le valutazioni sulle condotte di Solvay e per questo scatenano la reazione della deputata del Partito democratico Maria Stefania Marino: “Se lei reputa che stiano inquinando la falda, ma stiano facendo tutto il possibile allora di cosa stiamo parlando? Se vengono avvelenate le falde è un reato, è dolo”. Cieri ribatte spiegando che è merito della Procura avere indagato Solvay. In realtà sono stati due esposti presentati nel giugno 2020 da cittadini e associazioni ad avere scoperchiato il vaso di Pandora.
 
Il procuratore chiude il suo intervento dicendo che “dopo il sequestro delle tre discariche dei gessi presenti nel sito, abbiamo capito che molti rifiuti contenenti cC6O4 vengono legalmente rivenduti come gessi per l’edilizia. Tramite il Noe di Alessandria, abbiamo avvertito tutti i dipartimenti ambientali dei carabinieri sul suolo nazionale per capire se questi gessi siano o meno monitorati, così da prevenire la presenza di cC6O4 ovunque”.
 
Nuovi dati allarmanti
Venerdì 19 luglio, a pochi giorni di distanza dall’audizione di Roma, durante un tavolo tecnico dedicato ai pfas e voluto dal Comune di Alessandria, Arpa è stata chiamata a presentare i nuovi dati sui pozzi interni allo stabilimento di Solvay Syensqo. Malgrado non siano stati consegnati documenti ufficiali, il tecnico di Arpa presente ha indicato come i pozzi più contaminati di aprile – che avevano fatto partire la diffida della Provincia per la sospensione del cC6O4 – abbiano valori in diminuzione, attestandosi intorno ai 30mila microgrammi per litro.
 
A fronte di questa diminuzione, a detta del tecnico aumentano i valori registrati all’esterno del sito produttivo, a dimostrazione ancora una volta del malfunzionamento della barriera idraulica. Un ulteriore problema è l’inquinamento in atmosfera, con i dai dati raccolti a giugno che sembrano indicare una presenza di diversi composti pfas in tutte le zone di campionamento, tra il centro città di Alessandria e i piccoli comuni limitrofi, uno su tutti Montecastello.
 
Con questi valori la Provincia ha confermato di voler prorogare la diffida nei confronti della ditta e, contestualmente, ha sollecitato Arpa a consegnare il prima possibile tutti i documenti utili. Al tavolo tecnico per la prima volta si sono sedute anche le organizzazioni sindacali interne alla ditta, che hanno sottolineato come il fermo della produzione possa provocare disagi ai lavoratori, rimarcando poi la necessità di invitare alle prossime riunioni la stessa Solvay. Una proposta che verrà discussa nei prossimi giorni, in vista del tavolo fissato per metà settembre.

12) Rimettere in funzione gli impianti Pfas inquinanti: è una condotta sempre più dolosa della Provincia.

Due ecocidi mondiali e locali. Con i Pfas si ripete la tragedia dell’amianto e dell’Eternit di Casale Monferrato. La belga Solvay Syensqo  è l’unico produttore in Italia dei diffusissimi Pfas tossici cancerogeni e, con la complicità di Sindaco e Regione, compromette direttamente  la salute della popolazione alessandrina, a cominciare dai lavoratori.
 
C6O4, ADV e PFOA sono impiegati nei cicli aziendali da decenni, e alcuni  attualmente prodotti: l’ARPA di Alessandria da qualche anno, finalmente, ne denuncia e documenta che i reflui dallo stabilimento  di Spinetta Marengo fuoriescono ed inquinano sempre più pesantemente le falde acquifere, il fiume Bormida e l’atmosfera dei Comuni della provincia, provocando morti e malattie.  
 
Nei primi mesi del 2024, l’azienda non è più riuscita a nascondere che l’impianto di produzione del cC6O4, il più moderno inaugurato in pompa magna da pochi anni, stava accusando gravi problemi di funzionamento. Al punto  da costringere la Solvay stessa ad autodenunciarsi alla Provincia ed a fermare l’impianto. I problemi funzionali causano enormi perdite in falda acquifera: l’ARPA addirittura ha misurato (11 aprile ) nel pozzo G adiacente all’impianto di produzione una concentrazione di cC6O4 di 191.262μg/l contro gli 0,5 μg/l ammessi!
 
La Provincia di Alessandria è stata, obtorto collo, costretta  a ingiungere a Solvay, tramite diffida, che l’impianto doveva fermarsi e poteva essere riavviato solo dopo interventi tecnologici risolutori e approvazione certificata di ARPA, tramite incontri tecnici fra Provincia, Comune, Arpa, Asl.
 
Scandalosamente poi la Provincia si è rimangiata l’ingiunzione. voltagabbana
Ancor prima del voltafaccia, Claudio Lombardi, ex assessore comunale Ambiente, già denunciava che Solvay pretendeva  di aver risolto il problema stabilimento  grazie anche ad una ‘super efficiente barriera idraulica’. Niente di più falso. L’ARPA ha contestato nell’ultimo incontro tecnico un forte aumento delle quantità di C6O4 nella falda acquifera esterna allo stabilimento. La barriera idraulica, dunque, non funziona minimamente e, oltre a non trattenere C6O4, lascia fuoriuscire all’esterno le altre sostanze tossiche e cancerogene interne alla fabbrica. Questo gravissimo fatto,  conclude Lombardi, mette in risalto  due nodi relativi all’esistenza stessa del sito produttivo Solvay di Spinetta Marengo. Innanzitutto, “la produzione del cC6O4 non poteva  essere ripresa se non solo dopo interventi tecnologici risolutivi comprovati e certificati per adeguato lasso temporale (non certo di giorni ma di mesi)”.
 
Soprattutto, “la barriera idraulica si dimostra impianto non idoneo a contenere le fuoriuscite degli inquinanti interni allo stabilimento, come d’altra parte recitò la sentenza della Corte di Cassazione nella sentenza di condanna dei dirigenti Solvay nel dicembre 2019”. Sentenza che, viene ribadito, riguardava  ben oltre i Pfas: cioè la bonifica di una massa di veleni, una ventina insieme al cromo esavalente, bonifica che è stata, su ordine di Bruxelles, consapevolmente disattesa sull’altare dei profitti da Solvay, la quale, anzi ha peggiorato la situazione ecosanitaria.
 
Su questo punto, il capo di accusa nell’imminente processo penale bis  andrebbe riformulato sul versante dolo. E portato al massimo livello apicale di Syensqo. Dove: anche in sede civile  con azioni inibitorie che risarciscono  le Vittime, come stimolava a fare il Procurate generale in Cassazione: “Quella gente dovete toccarla nel portafoglio”.  
 
Non si può nascondere il dissenso con la Procura di Alessandria.

13) Saranno o non saranno risarcite le Vittime di Miteni e Solvay ad Alessandria e Vicenza?

Di fronte alle Vittime: nell’aula del tribunale di Vicenza ha affermato con cipiglio che i Pfas non erano pericolosi, non meritevoli di allarme. Giovanni Costa era il medico aziendale della Miteni di Trissino e della Solvay di Spinetta Marengo, per le quali certificava  le analisi del sangue degli operai, e li rassicurava dell’innocuità. Eppure essi avevano nel sangue valori che già nell’esposto del 2009 alla Procura della Repubblica di Alessandria denunciavo estremamente allarmanti secondo i noti parametri scientifici internazionali.
 
Rispetto a questa testimonianza che ha reso a difesa della Miteni e del proprio operato, Costa  può essere accusato di aver svolto un ruolo cruciale nella storia del disastro ecosanitario dei Pfas in Italia.
Ne abbiamo abbondantemente trattato da pagina 329 primo volume  del dossier “Pfas. Basta!” (disponibile a chi ne fa richiesta). Nello stralcio della Rete Ambientalista (https://www.rete-ambientalista.it/2022/09/28/due-medici-al-centro-dei-processi-pfas-di-vicenza-e-alessandria-giovanni-costa/ ) è ricostruito il ruolo di questo medico  garante improbabile delle problematiche di rischio sanitario e ambientale collegato ai Pfas, e delle correlate azioni di prevenzione e limitazione, ovvero di divieto del loro uso.
 
In estrema sintesi. Costa rappresentava l’azienda tra i produttori mondiali di Pfas e anche nei meeting internazionali: aveva una conoscenza aggiornata e tempestiva su tutte le novità emerse nei decenni dalla comunità scientifica sui gravissimi rischi connessi ai Pfas. Conoscenza che i produttori appunto nascondevano. Infatti la “Commissione parlamentare di inchiesta sugli ecoreati” contesta diffusamente ogni attendibilità delle sue tranquillizzanti “relazioni cliniche” sullo stato di salute dei lavoratori, per concludere la censura: “In realtà, l’unico obiettivo delle varie relazioni del professor Costa sembra essere, per un verso, quello di dimostrare il rispetto dei valori di riferimento indicati, come invece si è visto molto elevati e, per altro verso, l’assenza di ‘significativo rischio di patologie correlate al lavoro’Insomma, Costa si sarebbe sempre  impegnato a coprire gli interessi aziendali di produrre ad ogni costo… umano.
 
Nel suddetto stralcio si può leggere che avevamo anticipato già dal 2009 la censura della “Commissione parlamentare di inchiesta sugli ecoreati”, denunciando ufficialmente “di occultare la gravità della condizione sanitaria dei lavoratori e dei cittadini ingannando l’ignavia dell’Arpa”. Lino Balza sfidò invano Giovanni Costa ad un confronto pubblico tramite il basilare documento depositato 15 anni fa in Procura articolato in 24 dettagliatissimi punti / capi di imputazione quanto meno morali”. 
 
Così concludeva la ventiquattresima domanda: “24) In conclusione, dott. Costa, Lei è d’accordo con Solvay che rassicurante sostiene essere questa sostanza – che provoca tumori/ malformazioni/alterazioni sessuali –  pressoché innocua o benefica all’uomo italiano, anzi associata a cromo esavalente e a una montagna di altri 20 veleni che colano nelle falde acquifere? Oppure ammette che, dopo gli studi internazionali, dopo i miliardi di risarcimenti, dopo che è messo al bando in tutto il mondo perché tossico/teratogeno/mutageno/cancerogeno, il PFOA deve essere finalmente, oggi, 2009, senza rinvii, eliminato dalle lavorazioni dello stabilimento di Spinetta Marengo che contaminano il sangue di lavoratori e cittadini, e avvelenano le falde e i fiumi Bormida, Tanaro e Po fino alla foce, e che debbono essere indennizzati i danni alle persone e all’ambiente? I lavoratori e i cittadini si costituiranno parti civili al processo”.
 
Purtroppo le Vittime non sono ancora state risarcite. Men che meno puniti i responsabili, oggi 2024.  

Salvini: manca l’acqua? si bevano un mojito.

Un corteo pacifico e festoso di varie migliaia di persone ha sfilato per le strade di Messina nonostante il caldo torrido . “Vogliamo l’acqua dal rubinetto, non il ponte sullo stretto” a sottolineare l’emergenza idrica che attanaglia la Sicilia e per la quale non vengono stanziati fondi né pensate soluzioni strutturali.
 
“No al ponte delle menzogne”, un altro striscione sottolinea il cumulo di bugie, inesattezze che sottostanno al faraonico progetto. L’irrealizzabilità dell’attraversamento ferroviario, l’assenza di valide prove che attestino la resistenza del fantomatico ponte a vento e terremoti, l’insostenibilità dei cantieri dal punto di vista del consumo di risorse idriche. Comunque NO ad un’opera inutile, soprattutto per calabresi e siciliani, costosissima in termini di denaro e di materie prime, e che devasterebbe un territorio unico al mondo, cancellando ogni prospettiva di futuro per chi ci vive. 

Miliardi di bottiglie di finta acqua minerale naturale, magari con Pfas, pesticidi e feci.

In merito allo scandalo delle acque minerali Nestlè (Perrier. Vittel ecc.) siamo già intervenuti, clicca qui L’acqua imbottigliata non ha l’etichetta “pfas free”, e ora che esso continua ad allargarsi dopo l’esplosione del caso sui media francesi, per la sua sconvolgente cronaca lasciamo direttamente la parola, clicca qui, a “Il fatto alimentare”: un Sito di giornalisti indipendenti senza un editore e senza conflitti di interesse, che da 13 anni si occupano di alimenti, etichette, nutrizione, prezzi, allerte e sicurezza. L’accesso al Sito è gratuito.  
 
Apprenderete che un’inchiesta di Mediapart ha scoperto che la multinazionale avrebbe iniziato a vendere acqua minerale filtrata illegalmente più di 15 anni fa. Secondo un rapporto della Direzione generale francese della concorrenza, dei consumatori e del controllo delle frodi (DGCCRF), infatti, Nestlé Waters avrebbe acquistato apparecchiature UV già nel 2005 e utilizzato filtri non autorizzati almeno dal 2010. Le dimensioni della frode sono enormi: si parla di 3 miliardi di euroIl caso è scoppiato, quando un reportage realizzato dal quotidiano Le Monde e dal team investigativo di Radio France ha svelato le frodi che avrebbero commesso importanti produttori di acque minerali, tra cui Nestlé Waters e Sources Alma. Le aziende avrebbero, infatti, sottoposto a trattamenti di filtrazione non consentita l’acqua prelevata dalle fonti perché contaminata da “feci, Escherichia coli, PFAS e pesticidi”, scrive l’associazione dei consumatori Foodwatch.
 
Apprenderete i particolari dello scandalo. Che per 27 anni Nestlé avrebbe prelevato l’acqua da nove pozzi in maniera completamente illegale: si tratta di 19 miliardi di litri di acqua solo tra il 1999 e il 2019 (non ci sono dati per gli anni precedenti). Che nel febbraio 2023, il governo francese avrebbe accettato di negoziare con l’azienda, senza informare né la magistratura né le autorità europee. Che Nestlè avrebbe  sospeso i prelievi da alcune fonti e lanciato una nuova linea, Maison Perrier, non etichettata come “acqua minerale”, ma che  comunque la “qualità sanitaria” delle acque del gruppo Nestlé non sarebbe garantita. Eccetera.

Per i Pfas, in Olanda non restano a guardare.

Da un lato, studi legali dimostreranno -come illustreremo prossimamente con lo sguardo rivolto alla Solvay di Spinetta Marengo-  che  l’azione inibitoria risarcitoria  può essere rivolta contro l’azienda inquinante ma anche contro le Istituzioni. Dall’altro, le aziende di distribuzione dell’acqua in Olanda chiedono al nuovo governo di aiutare a affrontare l’inquinamento idrico nei Paesi Bassi. Le organizzazioni sono preoccupate per la crescente presenza di sostanze nocive e chiedono un divieto su tali sostanze, c .

Le aziende di distribuzione e i consorzi idrici ritengono di non poter affrontare il problema da soli. Solo i consorzi di gestione idrica investono oltre mezzo miliardo di euro nella depurazione delle acque reflue, trattando 2 miliardi di metri cubi all’anno. Dunque ritengono indispensabile l’intervento del governo per la pianificazione territoriale e la legislazione.

Pfas nelle schiume del mare in Olanda, Belgio e Italia.

Scarichi Solvay.

I PFAS sono stati trovati anche nella schiuma del mare lungo le coste dell’ Olanda. Secondo uno studio dell’Istituto Nazionale per la Salute e l’Ambiente dei Paesi Bassi (RIVM), la concentrazione di PFAS nella schiuma del mare delle località olandesi è alta quanto quella delle coste delle Fiandre in Belgio.

Sono chiare le conseguenze dell’ingestione o del contatto con i PFAS tramite l’acqua potabile (effetti tossici sul sistema immunitario, aumento di rischio di tumori (soprattutto nelle donne), problemi di fertilità ecc.), si presume che le conseguenze siano analoghe  tramite la schiuma del mare. Tant’è che il governo ha invitato alla cautela i propri cittadini: “È sensato farsi una doccia dopo il bagno, lavarsi le mani prima di mangiare e non lasciare che i bambini e gli animali domestici ingoino la schiuma del mare.

Dunque, è sempre più provato che i PFAS stanno contaminando le acque di tutta Europa, come mostra la mappa realizzata da Forever Pollution Project, comprese quelle del mare, dove defluiscono i corsi d’acqua e gli scarichi industriali. Il mare Adriatico riceve Pfas dal Po, a sua volta dal Tanaro e dalla Bormida dove scarica Solvay a Spinetta Marengo. Fu rilevato già alla foce del Po nel 2010 dopo le denunce dei nostri esposti e mentre ad Alessandria ricevevamo minacce personali https://www.rete-ambientalista.it/2009/12/07/siamo-scesi-in-piazza/