RICORSO ANTINUCLEARE: Dobbiamo Arrenderci?

La SOGIN (Società gestione impianti nucleari), vale a dire il governo, sta tentando di prenderci per fame. Abbiamo presentato il ricorso al TAR del Piemonte ad aprile 2009 per bloccare la costruzione a Bosco Marengo (Alessandria) del deposito di scorie radioattive definito “provvisorio a tempo indeterminato” cioè definitivo, ricorso che vuole creare un precedente legale utile per tutte le popolazioni dei siti ex nucleari italiani (candidati privilegiati per le nuove centrali), dunque ricorso come diga contro il rilancio del nucleare in Italia che ci vogliono ancora imporre senza neppure aver risolto le eredità del passato: le scorie da custodire per millenni al riparo da terremoti,attentati, alluvioni, inabissamenti.

Da aprile, l’abilità dei loro strapagati avvocati e l’italica farragine della giustizia hanno fatto sì che, di udienza in udienza, la sentenza definitiva è stata fatta slittare al 17 dicembre prossimo.
Sogin, il governo, è riuscito a rinviare il giudizio, tentando lo scippo: cercando di spostare il processo da Torino a Roma, Roma sede considerata più vicina alla loro sfera di influenza. Così ha presentato appello al Consiglio di Stato contro la sentenza di maggio del Tar Piemonte. Eccezioni procedurali, pretesti e cavilli giuridici: ma Tar e Consiglio di Stato gli hanno dato torto tre volte. Però, di rinvio in rinvio, stiamo arrivando all’udienza del 17 dicembre. Purtroppo la conseguenza più grave è che la loro tattica dello scippo e del rinvio ci ha messo in enormi difficoltà economiche. Le spese legali e giudiziarie, con tanto di trasferte a Roma e avvocati romani, si sono dilatate al punto che abbiamo consumato tutti i soldi raccolti con l’entusiasmante sottoscrizione popolare e il provvidenziale Beppe Grillo.
Non siamo più in grado di far fronte alle spese future, di proseguire il ricorso, di andare all’udienza del 17 dicembre che prevede anche la verificazione tecnica di ingegneri nucleari. Cioè ulteriori costi, migliaia di euro. Dobbiamo arrenderci? Visto che altresì l’esposto in Procura, che pur abbiamo presentato, per ora non ha prodotto effetti. La giustizia è solo per i potenti? Ritirare il ricorso? Dopo averli battuti in tre tappe, dobbiamo arrenderci in dirittura finale? Ritirare il ricorso? Oppure resistiamo?Oppure resistiamo. Oppure tutti assieme facciamo una nuova grande sottoscrizione popolare, anche con i mezzi infornatici -blog, meetup- che Beppe Grillo ci mette a disposizione. Inventiamo altre forme di comunicazione. Facciamo sì che le centinaia di sottoscrittori diventino migliaia. Diventino il nocciolo duro di quei milioni di resistenti che saranno necessari per respingere il business nucleare. Resistere resistere resistere. Anche alle intimidazioni: Sogin ha già minacciato querela. Perché resistere al Tar? Perchè il ricorso è importante per il movimento antinuclearista nazionale. Infatti è firmato da comitati e associazioni locali, è riferito a Bosco Marengo (Alessandria) dove al posto di un ex impianto di combustibile nucleare Sogin (con l’autorizzazione del governo) vuole illegittimamente costruire un deposito di scorie radioattive, ma è un ricorso con valore per tutto il territorio italiano, è un obbiettivo nazionale per i movimenti di opposizione all’atomo in Italia. La pronuncia del Tar diventerà un precedente legale per tutto lo Stato. Se a noi favorevole, ad essa si potranno appellare tutte le popolazioni dei siti italiani che hanno ereditato i rifiuti nucleari delle centrali dismesse e che sono i primi candidati alle nuove centrali e ai nuovi depositi. Soprattutto la sentenza del Tar metterà in discussione l’intera strategia di rilancio nucleare del Governo, come affermato a gran voce dallo stesso.
Allora rilanciamo la lotta. Sottoscriviamo
Sottoscrizioni con causale: nucleare alessandria
tramite conto corrente bancario, intestato a Medicina Democratica Scrl
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L’ARPA E LA SOLVAY SOLEXIS

A voi risulta che l’Arpa abbia dato notizia che sabato 7 novembre 2009 intorno alle ore 17 c’è stato un incidente all’impianto Algofrene della Solvay Solexis di Spinetta Marengo? A noi no.
Eppure sembrerebbe che a seguito della foratura della colonna di testa del reattore R3 ci sia stata una considerevole fuoriuscita di gas. All’interno di tale apparecchiatura alla pressione di 11 bar si fa reagire il Cloroformio con Acido Fluoridrico ottenendo così Clorodifluorometano (CFC22) e Acido Cloridrico. Il reattore in pochi minuti si è depressurizzato all’aria senza che la Solvay dichiarasse alcuna emergenza. Non vogliamo dubitare che sia successo nulla di grave, ci chiediamo però se l’Arpa è stata informata, e se sì ,perchè non ha informato. Magari solo per tranquillizzare, considerando che il Cloroformio ha un effetto deprimente sul sistema nervoso centrale, può produrre danni al fegato dove viene metabolizzato in fosgene ed è cancerogeno (associato al carcinoma epatocellulare). A sua volta l’acido fluoridrico è estremamente tossico sia per inalazione che per contatto e danneggia il tessuto osseo e le vie nervose; l’ingestione è spesso mortale. Il Clorodifluorometano è una sostanza classificata come pericolosa ai sensi della Direttiva 67/548/CEE, persiste nell’aria e partecipa al processo di riduzione dello strato di ozono stratosferico.
In compenso l’Arpa ha convocato una conferenza stampa su cromo e PFOA per spiegare che oggi come ieri possiamo stare tranquilli: è tutto sotto controllo, come sempre.
Come il 19 marzo 2008, quando su un giornale locale viene intervistato il direttore dell’Arpa. A seguito di esposti in Procura, infatti, l’Arpa sta rispondendo al procuratore e al giornalista. Afferma Alberto Maffiotti: “L’intervento di bonifica dell’impianto Bicromati è regolare”. Tutto regolare, non c’è cromo a Spinetta Marengo, non esistono 500 milioni di metri cubi sotterrati, le falde non sono inquinate. Attenzione: le rassicurazioni ARPA sono rilasciate a marzo. A maggio, neanche due mesi dopo, la magistratura apre l’inchiesta sullo scandalo mentre il sindaco è costretto a chiudere tutti i pozzi!!!
Era tutto regolare per l’ARPA, facendo finta di non sapere che cinque mesi prima la Coopsette aveva trovato valori incredibili di cromo esavalente; o di non sapere delle decennali denunce della responsabile del laboratorio dello zuccherificio e di Medicina democratica. Anche volendo concedere la buona fede, come si può giustificare che l’Arpa dal 2002 al 2006 aveva rilevato “cromo totale” nei terreni della Fraschetta e non le è venuto in mente di accertare la logica presenza di “cromo esavalente”? Addirittura (sta scritto sui giornali) l’Arpa viene accusata di averlo sì rilevato tra il 2003 e il 2004: ma allora l’ha nascosto. Domande che abbiamo posto alla Procura. C’è di peggio nel rimpallo delle responsabilità: il Comune di Alessandria afferma che con ordinanza 2005 aveva impegnato sul “cromo esavalente” la Regione e l’Arpa, la quale Arpa nega di averla mai ricevuta. E’ tutta una matassa di rimpalli che dovrà essere districata dalla Magistratura.
Questi sono alcuni esempi di affidabilità dell’Arpa riferiti al cromo (comprereste voi una macchina usata da…?).
Facciamone altri sul PFOA.
Maffiotti afferma che “la pericolosità del PFOA è da provare” e al riguardo “non vi è letteratura scientifica”. Ignora o finge di ignorare (non so cosa sia più grave) che gli studi internazionali si occupano dei rischi Pfoa quanto meno dal 1972, come tossico e cancerogeno, e che l’EPA americana l’ha messo infine al bando la sostanza (chissà perché? si chiede Maffiotti), vietata con qualche ritardo si dirà, ma in netto anticipo rispetto all’Arpa che ancora oggi chiude gli occhi in attesa di una legge italiana che gli imponga di aprirli.
Bastava e basta fare un clic su internet (vedi es. allegato) per essere informati conoscendo un poco di inglese o con un traduttore.
Dov’era l’Arpa nel 2002 quando le emissioni di PFOA erano di quasi 100 volte superiori a quelle di oggi (dati Solvay)? Dov’era fino ad oggi?
Dov’era l’Arpa quando i valori di Pfoa nel sangue dei lavoratori erano 30 volte superiori a quelli odierni (che pur restano inammissibili: dovrebbero essere zero)?
Cosa ha fatto l’Arpa quando in Bormida e Tanaro il Pfoa è stato trovato (non per iniziativa Arpa) a livelli da 100 a 1.500 volte superiori a tutti i fiumi italiani ed europei?
TG3 Piemonte Solvay Solexis PFOA

Le Iene Solvay Solexis PFOA

CONFERENZA STAMPA

MEDICINA DEMOCRATICA E COMITATO SALUTE AMBIENTE TERRITORIO
CONFERENZA STAMPA GIOVEDI’ 12 NOVEMBRE ORE 18,30
CIRCOSCRIZIONE CENTRO VIA VENEZIA 7 ALESSANDRIA
NON MANCATE

Quale è stato il senso degli esposti di Medicina democratica alla Magistratura? Quale è il senso della partecipazione di Medicina democratica all’imminente processo per inquinamento da cromo esavalente & altri 20 veleni tossici e cancerogeni? Perché organizziamo a parti civili del processo i lavoratori e i cittadini ammalati e i famigliari dei deceduti?

Ce ne siamo sempre fatti carico: le preoccupazioni dei lavoratori e degli abitanti sono le nostre.
Le preoccupazioni dei lavoratori di perdere la salute.
Le preoccupazioni dei cittadini di perdere la salute.
Le preoccupazioni dei lavoratori di perdere il posto di lavoro.
Medicina democratica, infatti, è nata proprio dentro le fabbriche. Difende la salute per difendere l’occupazione. La fabbrica che inquina, inevitabilmente chiuderà.
Personalmente ho partecipato per 40 anni a denunce ambientali in tutta Italia, di cui moltissime alla Montedison di Spinetta Marengo, dove ho lavorato per 35 anni. Con queste denunce -prima come sindacalista e poi come ambientalista- ho costretto Montedison a spendere miliardi per il risanamento ambientale e ho salvato i posti di lavoro di tutti e il mio. Anche se quelle denunce (essendo incorruttibile e non terrorizzabile) mi sono costate note rappresaglie**.

Se il sindacato è partner invece di controparte del padrone, come oggi avviene, allora è succube e non cura gli interessi dei lavoratori. All’imprenditore interessa il profitto, talora ad ogni costo, spreme il limone (il lavoratore e gli impianti) fino in fondo e poi lo butta via. Il sindacato dovrebbe impedirglielo. Dunque dovrebbe (doveva) essere il sindacato per primo a chiedere la bonifica dello stabilimento, senza la quale la fabbrica chiuderà. Il sindacato dovrebbe sostenere la Procura e non criticare noi che siamo in perfetta consonanza con la Procura. Il sindacato deve chiedere, come noi, che la bonifica deve essere vera, togliendo i veleni sotterrati, e non finta come il progetto Amag di sciacquatura delle acque o il palliativo di un incontinente muro lungo e profondo chilometri. Deve chiedere, con noi e la Magistratura, che la bonifica la deve pagare la Solvay che i profitti se li è messi in tasca in Belgio.

Politici e amministratori pubblici sono abituati a far finta di fare, lasciando irrisolti i problemi a marcire.
Hanno fatto finta di fare l’Osservatorio ambientale della Fraschetta, e non quello vero, quello democratico da noi rivendicato da venti anni, quello vero, finanziato da loro ma controllato da noi. Hanno fatto finta, con l’Arpa, di controllare l’inquinamento aria-acqua-suolo spendendo miliardi pubblici con il famigerato progetto Linfa.
Ora fanno finta di affrontare l’inquinamento cromo e altri venti veleni con il fasullo progetto Amag, e non potendolo chiamare “bonifica” lo battezzano “messa in sicurezza”. Quando l’unica sicurezza per l’ambiente e l’occupazione è la bonifica del sito, togliere i veleni sotterrati. Forse la Provincia ha scoperto il trucco e parla al plurale: “verificare i migliori progetti”.
Ora il sindaco annuncia una indagine epidemiologica, così fa l’Arpa su cui la nostra fiducia è pari a zero. Il rischio è che siamo di nuovo ad una finta. L’indagine epidemiologica, che rivendichiamo dai tempi della piattaforma Osservatorio, deve essere svolta da esperti al di sopra di ogni sospetto, sotto diretto controllo popolare, deve comprendere malati e morti in un arco di almeno 50 anni, deve riguardare tutte le persone che in quell’arco di tempo hanno lavorato nel polo chimico di Spinetta e/o abitato nella Fraschetta. Per essere scientifica e attendibile. Altrimenti sarà l’ennesima finta.

** Il “confronto” con Montedison si è svolto, fra l’altro, a colpi di querele, esposti, denunce, manifestazioni, scioperi della fame, incatenamenti, chilometri di firme di solidarietà, titoli su titoli in giornali e TV; ventitré udienze in tribunale, sette cause in pretu
ra, quattro in appello, due in cassazione, tutte concluse felicemente ma piene di sofferenze: cassa integrazione, tre trasferimenti, mobbing, anni di dequalificazione professionale, di inattività assoluta, oltre ad uno stillicidio di tentati provvedimenti disciplinari e vertenze minori e, dulcis in fundo, tentato licenziamento.

VIVERE CON I VELENI

Luigi Pelazza con i proprietari del Ristorante di Alessandria “IL VICOLETTO”

Solvay Solexis – Cromo Esavalente e PFIB
Il servizio dell’inviato delle Iene Luigi Pelazza si è concentrato nella prima parte sul cromo esavalente, un minerale con caratteristiche tossiche e cancerogene, in grado di provocare sterilità e mutazioni genetiche. Il problema risale agli anni ’60 quando a Spinetta c’era ancora la Montedison che produceva, tra le altre sostanze chimiche, anche il bicromato di potassio, contenente per l’appunto il cromo esavalente, che all’epoca poteva essere smaltito, senza alcun problema, semplicemente dissotterrandolo nel terreno della fabbrica. Lo scandalo risiede nel fatto che fino al maggio 2008, per un tacito accordo tra Montedison e abitanti di Spinetta, questi ultimi utilizzavano gratuitamente l’acqua accettando la presenza dello stabilimento inquinante a pochi passi dalle case. A partire dal 28 maggio 2008, il sindaco di Alessandria Fabbio vieta ai cittadini di Spinetta di utilizzare l’acqua proveniente dalla falda vicina per uso potabile e irriguo, data l’alta concentrazione di cromo VI riscontrata dalle rilevazione dell’ASL. Nel 2002 la Solvay acquista il polo chimico, nonostante sia a conoscenza della presenza di cromo VI, e si impegna a disporre un piano di bonifica con le istituzioni per evitare l’inquinamento delle falde acquifere. Ma il cromo finisce nelle falde e i danni inevitabilmente ci sono: per esempio, nell’inverno del 2005, in uno dei magazzini dello stabilimento, in seguito allo scioglimento della neve, comincia a trasudare dai muri e dal pavimento un liquido giallognolo riconosciuto come cromo esavalente. Quando uno dei lavoratori si rivolge al superiore, non ricevendo chiarimenti in merito, avverte il servizio Spresal dell’Arpa, che, dopo le analisi, vieta l’ingresso senza dispositivi di sicurezza (mascherine, occhiali). E immediatamente lo stesso lavoratore che aveva fatto la denuncia viene licenziato. Dopo la denuncia del lavoratore, anche sui giornali compaiono servizi al riguardo (si veda l’articolo della Stampa del 27 maggio 2008 a firma di Massimo Putzu). La magistratura di Alessandria inizia degli accertamenti e invia quattro avvisi di garanzia a quattro dirigenti della Solvay per inquinamento ambientale. Pelazza passa poi ad intervista tre dirigenti della Solvay: il direttore generale Bigini, il responsabile dell’ufficio stampa Novelli e il direttore del personale Bessone. Secondo il direttore generale, il fabbricato di cui si parlava poco sopra è ancor oggi inquinato, mentre secondo il direttore del personale in quelle stanze non è mai entrato alcun lavoratore, nonostante la foto di una scrivania con cartelle di lavoro e un telefono sembrano sconfessarlo. Pelazza chiede anche informazioni riguardo la lavorazione del PFIB o perfluoroisobutene, altra sostanza altamente tossica se inalata. Dinanzi al documento della dott.ssa Valeria Giunta, responsabile per l’igiene ambientale della Solvay, nel quale era scritto che “nel caso di presunta presenza di PFIB, sospendere l’analisi fino a conferma dell’assistente…“, il direttore generale Bigini non sa letteralmente cosa dire. Gli stessi dirigenti sono così preoccupati che quando il giornalista si rivolge ad un ingegnere per avere chiarimenti in merito alle rilevazioni di fughe di PFIB, i dirigenti si mettono in mezzo alla discussione per evitare di far parlare serenamente l’ingegnere. L’inviato delle Iene si reca poi al laboratorio contaminato dal cromo VI; a rispondere alle domande è ora Novelli, responsabile dell’ufficio stampa. Afferma che il laboratorio è stato chiuso, ma solo nel momento in cui sono emerse anomalie: solo quando è stato ritrovato cromo esavalente ai lavoratori è stato impedito di operare al suo interno cosicché il direttore del personale è stato sbugiardato per la seconda volta. Infine Pelazza ci parla del cosiddetto “pozzo numero 8”, situato all’interno della fabbrica, il quale ha rifornito di acqua non solo la fabbrica ma anche molte famiglie di Spinetta Marengo e la cui acqua, a detta di Novelli, era potabile. Tuttavia anche questo pozzo è stato chiuso dall’ordinanza del sindaco di Alessandria e la ditta è stata costretta all’allacciamento con l’acquedotto, sebbene, secondo i dirigenti, tale decisione sia stata presa solo a scopo precauzionale. Di tutt’altro avviso Fabbio: il pozzo “non aveva i valori corretti“; inoltre, “la pericolosità dell’azienda sta nell’aria, non nell’acqua”, in quanto una perdita può portare “alla morte di tremila persone in mezz’ora“. Sconcertanti sono le testimonianze degli abitanti di Spinetta: tutti hanno bevuto l’acqua contaminata, si fidavano della Solvay. E poi gente che racconta della polvere rossa sui marciapiedi o delle calze sintetiche letteralmente mangiate dall’aria. Ma c’è anche chi fa presente che ieri la Montedison e oggi la Solvay vogliono dire lavoro: senza di essa ci sarebbero molti disoccupati.
Ringraziamo Aldo Bonaventura per il dettagliato resoconto del servizio.
Le Iene – Vivere con i Veleni – 27 ottobre 2009

Dirigenti Solvay sotto processo in tutta Italia: Bussi

Un canyon imponente, incastrato tra due parchi nazionali (Gran Sasso e Majella), che dall’Appennino si apre verso il mare Adriatico. Boschi a perdita d’occhio, cime imbiancate sullo sfondo, qua e là mucchi di case lungo i pendii. All’altezza del paesino di Bussi, sotto il ponte dell’autostrada e con il fiume che passa in mezzo, c’è un sito industriale. Un insediamento chimico sorto nel 1901 e finito nell’orbita Montedison.

Nel 1982 si aprono otto nuovi pozzi dell’acquedotto, a valle dell’industria, dove il fiume Tirino ha già imbarcato un bel po’ di veleni. Vent’anni dopo l’ASL certifica le sostanze inquinanti: tetracloroetilene, tricloroetilene e cloroformio, tossici e cancerogeni. Ma Asl (Azienda sanitaria locale, dà i giudizi di potabilità), Arta (Autorità regionale territorio e ambiente, fa le analisi in laboratorio), Aca (società pubblica di gestione dell’acqua), Ato (Ambito territoriale ottimale, ente pubblico che coordina la gestione dell’acqua), commissario straordinario del governo, una quarantina di Comuni, Provincia, Regione, si danno la consegna del silenzio. I cittadini continuano a bere ignari di tutto. Anzi, viene miscelata l’acqua inquinata con quella buona, per diluire i veleni. Nel 2004 una nuova relazione dell’Agenzia ambientale regionale aggrava il quadro: nella falda, diciannove molecole superano i limiti di legge. Tra queste anche il cromo esavalente, il micidiale agente tossico e cancerogeno. Il tetracloroetilene risulta schizzato fino a 4.800 volte superiori a quelli tollerati. E poi mercurio, piombo, nichel, cloruro di vinile. L’Agenzia… conferma il giudizio di potabilità dell’acqua. Vengono aggiunti dei filtri. Inutili. Nel 2007 si rilevano superiori concentrazioni di tetracloruro di carbonio (un composto tossico che colpisce fegato, reni, cuore e sistema nervoso). Fausto Croce, professore di chimica all’università di Chieti, vive proprio nella valle. Preleva campioni di acqua e li fa analizzare in laboratorio da un’equipe di colleghi. L’esito è sconvolgente: cancerogeni a livelli mai raggiunti in nessuna acqua potabile del mondo. L’ATO minimizza. Il Corpo forestale, guidato dal comandante provinciale Guido Conti, va a dare un’occhiata nelle viscere della valle. Comincia a scavare attorno al sito industriale e al fiume. Per chilometri. La terra è intrisa di sostanze inquinanti, che fino al 1963 erano scaricate direttamente nel fiume Pescara. Le stesse che hanno contaminato l’acqua. Una superficie grande come venti campi di calcio, per un totale di 500 mila tonnellate di rifiuti. La discarica abusiva di rifiuti pericolosi più grande d’Europa. I pozzi vengono chiusi. L’Acquedotto ricambia i filtri e i pozzi vengono riaperti. Poi si arrende. Sessanta tra associazioni e comitati spontanei organizzano una manifestazione con seimila persone. Un gruppo di giovani geologi e registi inizia a girare un documentario. Infine l’Istituto superiore di sanità fa giustizia di anni di ipocrisie. Dichiara l’acqua «non idonea al consumo umano» e certifica «un rischio per la salute umana». Dai primi allarmi sono passati sei anni, dalle prime analisi quattro. Quanti e quali danni alla salute dei cittadini si potevano evitare! Il pubblico ministero Aldo Aceto ha inviato 33 avvisi di garanzia a politici eccellenti (del PD), dirigenti Ato, Arca e Montedison: avvelenamento delle acque, disastro doloso, delitti colposi contro la salute pubblica, truffa, ecc. Cioè Montedison ha inquinato truccando le carte per farla franca mentre le autorità pubbliche insabbiavano. I dirigenti Montedison sono gli stessi responsabili dello scandalo rifiuti tossici della Montedison-Solvay di Spinetta Marengo (Alessandria). La prescrizione come sempre incombe. E dei rifiuti pericolosi ancora depositati nella valle? Per quelli ci sono ancor meno speranze. Bonificare la megadiscarica costa circa 150 milioni di euro. Per ora ne sono arrivati solo un paio e non sono bastati nemmeno per coprire i rifiuti con un telone. Così l’acqua piovana e il fiume continuano a trasportare veleni. In attesa della bonifica, a Bussi si guarda avanti. Una parte dello stabilimento chimico Solvay è in dismissione, ma è già pronto un progetto per insediare un nuovo impianto per il trattamento dei rifiuti industriali. Non quelli già abbandonati nella valle, ma altri provenienti da impianti petrolchimici, raffinerie e industrie chimiche di mezzo mondo, dagli Stati Uniti alla Polonia. Più o meno centomila tonnellate ogni anno.

Capitolo tratto da “Le mille vertenze del territorio” sulla rivista di Medicina democratica ottobre 2008

Bomba Ecologica: Spinetta come Bussi


Il limite ammesso di cromo esavalente, tossico e cancerogeno, è di 5 microgrammi per litro. La Coopsette, analizzando i terreni su cui vuole costruire a Spinetta Marengo (Alessandria) un ipermarket, ha riscontrato 288 microgrammi. Così venerdì 23 maggio 2008 sono apparsi titoloni a sei colonne su giornali e tv: “Bomba ecologica. Falde inquinate. Emergenza pozzi a Spinetta”. Ma dove stava la novità, la sorpresa? In realtà la dottoressa Rini, capo laboratorio dello zuccherificio di Marengo, fin dagli anni ’80 denunciava ripetutamente sui giornali che l’acqua in falda era al punto inquinata da essere inutilizzabile nella lavorazione delle barbabietole.


Inquinata da chi? Dalla Montedison. Un allarme che Medicina democratica negli anni ha ripreso più volte, pubblicando sulla stampa le foto dei bidoni nascosti, rivendicando l’Osservatorio della Fraschetta e contestando i palliativi dell’azienda e delle amministrazioni pubbliche. L’abbiamo ancora ripetuto la settimana scorsa all’assemblea popolare di Pozzolo Formigaro.
Finalmente il 23 maggio l’opinione pubblica è rimasta scossa dall’emergenza idrica, con il sindaco che ordina la chiusura dei pozzi. Abbiamo dunque scritto ai giornali: “ Prima che si esaurisca di nuovo l’ondata emotiva, invitiamo di nuovo gli enti preposti ad andare a vedere che cosa c’è sotto e attorno allo stabilimento ex Montedison e ora Solvay e Arkema. Non ci sono barriere che tengano. Spinetta è come Bussi in Abruzzo, è un altro scandalo nazionale.


Nel sottosuolo all’interno della fabbrica stanno percolando nelle falde i veleni sversati, non solo il cromo. Bisogna fare i carotaggi e le analisi. Cosa è stato depositato nel bunker antiaereo di cui si chiacchiera dal dopoguerra? Bisogna andare a vedere. Le colline sullo sfondo dello stabilimento non sono naturali nella piana di Marengo: sono depositi di rifiuti. Bisogna andare a scavare. Provvederanno ASL e ARPA? Lo pretenderà la massima autorità sanitaria comunale, cioè il sindaco di Alessandria, preoccupato di interrompere i cicli produttivi e non altrettanto dell’acquedotto? E gli altri sindaci della Fraschetta? Per i reati commessi, per le misure di emergenza, per i risarcimenti: sarà tempestivo l’intervento della Magistratura? Il Comune si costituirà parte civile? Sono queste le domande inquietanti che poniamo nel timore che un nuovo velo venga tra qualche giorno a coprire le vergini grida di allarme e sdegno.”
Così scrivevamo. Il 24 maggio, apertura di una inchiesta della Procura della Repubblica e riunione di emergenza fra Comune, Provincia, Arpa, Solvay e Unione industriali, alla luce delle quali aggiungiamo le seguenti considerazioni che saranno trasmesse alla Procura e a tutti gli enti competenti. Specifichiamo che Medicina democratica si costituirà parte civile nel procedimento che la Magistratura vorrà aprire per azienda e amministrazioni.

1) Gli imputati per l’avvelenamento pubblico non sono “ignoti” ma sono innanzitutto i dirigenti della Montedison che si sono avvicendati nel grande polo chimico.

2) La Solvay, che è subentrata nel 2002 alla Montedison, era a conoscenza della situazione pregressa della fabbrica addirittura beneficiando dei fondi regionali per la bonifica dei suoli.
3) La bonifica fissata dalla Regione Piemonte era curata per competenza dal Comune di Alessandria con la partecipazione tra gli altri di Provincia e Arpa. Sarà cura della Procura accertarne le responsabilità aziendali e amministrative.
4) Le responsabilità dovranno essere accertate anche per la rilevante perdita di acqua, conosciuta da Comune e Provincia, che avrebbe accelerato e alimentato il deflusso dei veleni in falda, perdita in corso da almeno un anno e non fronteggiata dalle effimere barriere idrauliche della Solvay.
5) Non c’è giustificazione per Provincia & C. Tutti i controlli erano possibili anche prima delle più recenti normative ambientali, a maggior ragione per le risapute denunce pubbliche.
6) La Solvay, subentrata a Montedison, dovrà essere chiamata in solido per i risarcimenti.
7) La società belga dovrà risarcire i dipendenti che saranno messi in cassa integrazione per le perdite salariali, e risarcire la stessa INPS.
8) I risarcimenti si riferiscono non solo ai danni sociali ed economici ai privati e alle aziende agricole, ma soprattutto ai danni alla salute passati, presenti e futuri per l’avvelenamento del suolo e delle acque.
9) L’avvelenamento va accertato non solo per il cromo esavalente ma anche per gli altri veleni sversati nei decenni per le lavorazioni dei pigmenti e dei clorofluorocarburi: urgono carotaggi e analisi dei depositi nascosti sotto gli impianti, nel bunker antiaereo e nelle colline artificiali. Urgono indagini epidemiologiche.
10) Non è vero che i consumatori possono stare tranquilli. La Procura dovrà, ad esempio, verificare se è vero che il pozzo in cui sono stati riscontrati 93 microgrammi per litro di cromo nella mega azienda agricola Pederbona non era mai stato utilizzato per abbeverare il bestiame da carne e latte.
11) Se anche fosse vero che questo e altri pozzi erano stati usati solo per scopo irriguo, il cromo tossico e cancerogeno è entrato comunque nella catena alimentare tramite foraggio, carni, latte, verdure ecc.
12) Addiritura Solvay forniva con i propri pozzi gli abitanti di Spinetta Marengo che utilizzavano l’acqua per usi domestici e per irrigare campi e orti e abbeverare bestiame.
13) Sono stati, malgrado le polemiche che sollevammo, buttati via miliardi di soldi pubblici per progetti (Linfa) che non hanno accertato nulla del disastro balzato alla cronaca.
14) Viceversa Regione, Provincia e Comune non hanno mai voluto realizzare l’Osservatorio ambientale della Fraschetta, che rivendichiamo da trenta anni come strumento di democrazia diretta, unica garanzia per le popolazioni a rischio.
15) La rivendicazione dell’Osservatorio è quanto mai attuale perché se è vero che la drammatica situazione delle falde non è dovuta all’attività in corso alla Solvay, però il polo spinettese resta ad alto rischio chimico e di catastrofe industriale e non solo oggetto anche di recente ad esposti in magistratura per inquinamenti atmosferici.

I veleni nascosti sotto Spinetta Marengo


“Bomba ecologica. Emergenza pozzi a Spinetta. Il sindaco ne vieta l’uso. Cromo esavalente nelle falde della Fraschetta. Nel mirino il polo chimico”.

Sono i titoloni sui giornali e TV.

Dove sta la novità, la sorpresa? La dottoressa Rini, capo laboratorio dello zucchericio, fin dagli anni ’80 denunciava ripetutamente sui giornali che l’acqua in falda era inquinata al punto da essere inutilizzabile nella lavorazione delle barbabietole. Un allarme che io stesso negli anni ho ripreso più volte, pubblicando sulla stampa le foto dei bidoni nascosti, rivendicando l’Osservatorio della Fraschetta e contestando l’inutile progetto Linfa. L’ho ancora ripetuto la settimana scorsa all’assemblea di Pozzolo Formigaro. Oggi, prima che si esaurisca di nuovo l’ondata emotiva, invito di nuovo gli enti preposti ad andare a vedere che cosa c’è sotto e attorno allo stabilimento ex Montedison e ora Solvay e Arkema. Non ci sono barriere che tengano. Spinetta è come Bussi in Abruzzo, di cui parlano tutti i telegiornali. Nel sottosuolo all’interno della fabbrica stanno percolando nelle falde i veleni sversati, non solo il cromo. Bisogna fare i carotaggi e le analisi. Cosa è stato depositato nel bunker antiaereo di cui si chiacchiera dal dopoguerra? Bisogna andare a vedere. Le colline sullo sfondo dello stabilimento non sono naturali nella piana di Marengo: sono depositi di rifiuti. Bisogna andare a scavare. Provvederanno ASL e ARPA? Lo pretenderà la massima autorità sanitaria comunale, cioè il sindaco di Alessandria, preoccupato di interrompere i cicli produttivi e non altrettanto dell’acquedotto? E gli altri sindaci della Fraschetta? Per i reati commessi, per le misure di emergenza, per i risarcimenti: sarà tempestivo l’intervento della Magistratura? Il Comune si costituirà parte civile? Sono queste le domande inquietanti che poniamo nel timore che un nuovo velo venga tra qualche giorno a coprire le vergini grida di allarme e sdegno.

Lino Balza

I Delegati Solvay dovrebbero dimettersi

Dopo l’esposto dei due dipendenti a Procura della Repubblica, ASL e Ispettorato del lavoro, i delegati sindacali della Solvay di Spinetta Marengo dovrebbero -per dignità- dimettersi. Altrimenti dovrebbero essere i responsabili provinciali a sospenderli.
Questo esposto si inserisce nella polemica in corso di Medicina democratica contro il sindacato accusato di aver eretto un muro di omertà attorno all’azienda chimica belga, di nascondere le reali condizioni di criticità, di aver risposto al nostro allarme con l’irresponsabile affermazione: “Tutto il possibile per garantire salute e sicurezza a lavoratori e cittadini è stato fatto”, come se miracolosamente la fabbrica fosse diventata una bomboniera. Invece è uno stabilimento ad alto rischio chimico, dove gli inquinamenti possono determinare una rilevanza terribile su territorio e popolazione, con lavorazioni pericolosissime a rischio di catastrofe industriale per migliaia di persone, in un territorio con il record di malattie e morti per cancro.

Il dettagliato esposto dei due ricercatori Solvay viene finalmente a rompere la cortina di omertà, confermando il nostro allarme. In tre pagine dense di dati e tabelle essi chiedono a magistratura ed enti ispettivi di “verificare la preoccupante situazione della Solvay”. Dove “siamo messi in condizione di dover barattare la nostra salute e quella degli abitanti di Spinetta”. Dove “l’azienda continua a farci pressione e ci siamo dovuti rivolgere a un legale e in fabbrica ci sono già stati dei precedenti”. Dove “abbiamo scoperto attraverso le analisi che sono anni che respiriamo otto ore al giorno sostanze cancerogene”, lentamente rilasciate nel suolo, nella rete fognaria comunale e in aria da bassi camini senza dosimetri, “sostanze non sufficientemente aspirate” per le quali è prescritto di “utilizzare durante l’esposizione la maschera o meglio l’autorespiratore” e che addirittura “in America sono state bandite”. Dove “gran parte dei dipendenti ha questa sostanza nel sangue” ma l’azienda continua a ripetere che “non ha effetti nocivi sull’uomo e di non preoccuparsi”. Dove, citando date e ora degli episodi, “abitualmente non viene dichiarata emergenza quando si verificano incidenti agli impianti lasciando all’oscuro dipendenti e popolazione di Spinetta Marengo”. In conclusione, l’esposto conferma nei dettagli le nostre accuse al sindacato di “subordinazione politica e culturale nei confronti delle direzioni aziendali, di azione speculare alle stesse”.

Lino Balza