
“Auspico che la Russia torni a svolgere un ruolo di rilievo nel rispetto della sovranità di ogni Stato, della carta dell’Onu e del diritto internazionale”: giuste parole ma non sulla bocca di Sergio Mattarella. Nel 1999 un governo da lui vicepresieduto bombardò per 78 giorni Belgrado con la Nato e contro l’Onu, il diritto internazionale e la sovranità di uno Stato: la Serbia alleata di Mosca. Undici settimane di massacri, dai 1.200 ai 2.500 morti quasi tutti civili, fiumi di profughi, distrutta l’ambasciata cinese, polverizzati ospedali, scuole, zone residenziali, treni passeggeri, convogli di fuggiaschi, autobus, mercati, ponti affollati e gli studi della tv RTS (uccisi 16 fra registi, giornalisti e tecnici). Ma la Nato non la chiamò guerra, bensì “ingerenza umanitaria”. Quella brusca rottura della pace europea dopo 44 anni spalancò la strada a un’altra gravissima lesione del diritto: lo smembramento della Serbia col riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo contro la risoluzione dell’Onu n. 1244, che vi confermava la sovranità di Belgrado.
La scena si ripeté con le guerre illegali della Nato in Afghanistan (“lotta al terrorismo”), in Iraq (“esportazione della democrazia”) e in Libia (“sostegno alle primavere arabe”). Mattarella non fece mai paragoni col Terzo Reich. Lo fa ora dopo che fra il 2014 e il 2022 fu proprio lui a insignire delle massime onorificenze della Repubblica Italiana ben 30 ministri, funzionari e oligarchi putiniani, alcuni già sanzionati per la Crimea. Il tutto anni dopo le guerre russe in Cecenia e in Georgia e i bombardamenti in Siria. Anzi, sul petto di Dmitry Peskov portavoce di Putin nel 2017 Mattarella appuntò la stella di Commendatore della Repubblica a Mosca.