Mentre il Corriere della Sera pubblica l’anteprima di uno studio effettuato da Greenpeace sull’acqua ad uso potabile della Lombardia con allarmanti concentrazioni di Pfas in diverse zone, in Toscana l’Arpat si conferma avanguardia italiana nei controlli pubblicando l’ennesimo dossier del suo “Monitoraggio ambientale corpi idrici superficiali: fiumi, laghi, acque di transizione”, ovvero la ricerca di sostanze pericolose in organismi che occupano l’apice della catena alimentare in ecosistemi fluviali. Il monitoraggio sulle circa 250 stazioni dislocate in fiumi, torrenti, laghi e foci, è stato suddiviso in tre anni.
Ebbene: “Tutti i campioni di biota fluviali risultano classificati non buono, a causa del superamento della concentrazione ammessa dalla normativa ambientale vigente, di mercurio e Pfas. Sono evidenti sostanze utilizzate dalle industrie, di tutta Italia, che finiscono a varie concentrazioni nelle acque fluviali e nei pesci d’acqua dolce fino alla foce di Arno, Serchio, Ombrone, Cornia, San Rocco”.
Commentano i giornali toscani: “E’ evidente che con queste sostanze chimiche non è lecito “scherzare” perché ne va della salute degli esseri umani e viventi e della natura in generale e, se si pensa che l’inquinamento proviene chiaramente dalle industrie, la domanda che da anni ci si pone resta invariata: perché anche a costi maggiori l’industria italiana non produce prodotti privi di sostanze chimiche pericolosissime come i pfas? La politica regionale fino a quando potrà continuare a tacere su questi temi?”
Perché, aggiungiamo, il parlamento non mette al bando la produzione dei Pfas della Solvay di Spinetta Marengo?