Stato diritto, Stato di sicurezza e Stato di guerra permanente.

La ministra dell’Interno Luciana Lamorgese ha appena emanato una direttiva per limitare le manifestazioni pubbliche. Fra queste nei prossimi mesi saranno vietati, nei centri urbani e a ridosso dei cosiddetti obiettivi sensibili, i cortei, tutti i cortei. Lo assicura un lungo articolo di due sociologi (clicca qui) che indaga quella che viene definita La lunga storia dell’allarmismo emergenziale che serve a giustificare la sistematica erosione dello ‘Stato di diritto’, giacché, in una guerra permanente e infinita, lo ‘Stato di sicurezza’ che la conduce deve assumere i connotati di uno ‘Stato di guerra permanente’”.

Sono prese in esame, nei diversi periodi della storia italiana, le vere o presunte emergenze che si sono sovrapposte fino quasi a diventare “la normalità”: del “blocco stradale e ferroviario” (anni ‘50), della “legislazione speciale anti-terrorismo” (anni ’70), della  guerra alla droga” (anni ’80), della lotta alla mafia (anni ’90), del “controllo dei flussi dei migranti” (anni ’90), dell’ “istituto del daspo” tifosi della questura esteso dai sindaci ai soggetti marginali’ poveri, senzatetto, mendicanti, lavavetri, malati psichici (anni ’90), dello sfoggio della forza militare al “G8 di Genova” (2001) e del “G8 di Roma” (2021), a tacere la militarizzazione della Valsusa.

Di conseguenza, i due autori affermano che anche  alla pandemia è stata fornita una risposta univoca: la militarizzazione del territorio. In continuità con i “decreti sicurezza” degli ultimi anni, la militarizzazione è stata reputata la soluzione più adeguata al problema della povertà, delle diseguaglianze e dell’esclusione, individuando così via via il “nemico pubblico”, a tappe: dal decreto emergenza  del gennaio 2020 al super green pass, tra sanzioni penali e amministrative.