
Il premio 2025 per il World Press Photo è andato alla fotografa palestinese Abu Elou per lo scatto, immortalato per tutto il mondo dal New York Time, che ritrae Mahmoud Ajjour, bambino di nove anni rimasto mutilato di entrambe le braccia mentre cercava di fuggire da un attacco israeliano a Gaza: si era fermato per incitare la famiglia a continuare la fuga. Adesso ha una grande voglia di vivere, sta imparando a usare i piedi. Però: “Mamma, come faccio ad abbracciarti?”.
L’Oscar del fotogiornalismo è stato contestato per aver “sfruttato la rappresentazione dell’orrore”. E la risposta, come sempre, è questa: “Cosa c’è di sbagliato nel mostrare l’ingiustizia, cosa c’è di giusto nel nasconderla?”. La polemica è ipocrita perché in realtà rivolta alla fotografia simbolica dello sterminio israeliano della gente di Gaza. Ed è giusto che fosse la fotografia di un bambino.
Perché dall’ospedale del Qatar fanno sapere che almeno undicimila bambini gravemente feriti sono ancora là, fra le macerie di Gaza, sotto le bombe esplosive e sotto la morte per fame e sete dovuta al blocco degli aiuti umanitari. Secondo l’Onu nel dicembre 2024 solo Gaza registrava il numero pro capite più alto di bambini amputati al mondo, mentre per l’Unicef al 31 marzo i bambini palestinesi uccisi hanno superato quota 15mila, quelli feriti sono stati oltre 34mila, e quelli sfollati più di un milione.
Secondo lo studio pubblicato dalla rivista scientifica Lancet, il numero effettivo dei morti si attesta “certamente al di sopra di 70’000 e probabilmente verso gli 80’000”, di cui il 59% dei decessi si registra fra gruppi che ben difficilmente possono essere qualificati come combattenti: ovvero bambini, donne e anziani. Contando anche le “morti indirette”, il genocidio potrebbe raggiungere almeno le «186mila» persone. Significherebbe che almeno il 7,9% della popolazione di Gaza è morta dal 7 ottobre 2023 in poi.
La foto del piccolo Mahmoud, checchè ne dica Liliana Segre, è dunque una testimonianza “silenziosa” che urla forte la parola “genocidio”, in una guerra (massacro, carneficina, sterminio, deportazione ) le cui conseguenze si estenderanno per generazioni.