Il rapporto delle Nazioni Unite menzionato nell’articolo di InsideOver https://it.insideover.com/guerra/ucraina-e-russia-il-rapporto-onu-sulle-violazioni-del-diritto-non-risparmia-nessuno.html evidenzia violazioni del diritto internazionale commesse sia dalla Russia che dall’Ucraina nel contesto del conflitto in corso. Secondo il rapporto, entrambe le parti sono responsabili di azioni che contravvengono alle norme internazionali, senza che nessuna delle due possa essere considerata esente da colpe.
In particolare, il rapporto documenta casi di maltrattamenti e torture subiti dai prigionieri di guerra di entrambe le nazionalità. Sono state condotte interviste con 174 prigionieri di guerra ucraini negli ultimi 18 mesi, e quasi tutti (169 su 174) hanno fornito resoconti di maltrattamenti durante la detenzione.
Queste violazioni includono trattamenti inumani e degradanti, che rappresentano una delle pagine più dolorose e meno espresse di questo conflitto.
Il rapporto sottolinea l’importanza di rispettare il diritto internazionale umanitario e i diritti umani, esortando entrambe le parti a cessare immediatamente tali pratiche e a garantire la protezione dei civili e dei prigionieri di guerra.
Rispetto a quando per la prima volta (1990) scrivemmo che lo stabilimento di Spinetta Marengo scaricava Pfas in Bormida. Rispetto a quando dai primi anni 2000 eravamo in pochi, se non i soli, a diffondere sui Pfas informazioni e documenti internazionali sempre più allarmanti, anche trasmettendoli -come Movimento di lotta per la salute Maccacaro– in forma di esposti (venti) alla Procura di Alessandria. Ebbene, rispetto a quei tempi, fino a quelli odierni, per tutti i quali ci appuntiamo la medaglietta di indefessa costanza, ebbene oggi si può affermare che la tragedia Pfas primeggia quasi in tutti gli organi di informazione, merito anche negli ultimissimi anni dell’accelerata mediatica della campagna di Greenpeace in Italia ( http://bit.ly/3FAJ7H0 ). Meglio tardi che mai. Ma non ancora a sufficienza.
Infatti, a tutt’oggi, le produzioni dei cancerogeni e tossici Pfas della Solvay non sono state fermate ad Alessandria e l’uso dei Pfas non è stato messo al bando in Italia.
Lo stallo malmostoso è il segno che la lobby delle aziende chimiche e industriali capitanata da Solvay è tutt’altro che rassegnata: grandi manovre sono in corso attorno ai processi Miteni di Vicenza e Solvay di Alessandria, con il sospetto che si voglia spegnerli, quando meno impacchettarli. In Veneto l’allarmato documento di Mamme No Pfas, Isde, Cillsa, Legambiente, Cgil Veneto e Rete dei comitati denuncia l’esistenza di unsemiclandestino tavolo di autorità politiche, istituzionali e giudiziarie che tratta con le aziende imputate coprendone le responsabilità penali e risarcitorie (https://www.rete-ambientalista.it/2025/01/11/delitto-perfetto-2-vicenza/). In Piemonte: l’altro “inciucio” della tabula rasa dei patteggiamenti giudiziali a danno delle Vittime e della bonifica, su cui hanno preso posizione Legambiente e Movimento di lotta per la salute Maccacaro (https://www.rete-ambientalista.it/2025/01/11/delitto-perfetto-2-alessandria/ ).
A lato di questo “inciucione”, la lobby è quanto mai aggressiva in campagne di pressione sui politici e di disinformazione atte a sviare l’attenzione pubblica dalle loro responsabilità verso i rischi per la salute e i relativi costi sociali (esemplari furono le campagne pro-tabacco). Lo scopo delle centinaia di lobbisti (addirittura Mario Draghi) è duplice: indebolire e affossare la proposta di Bruxelles di vietare la vendita e commercializzazione dei Pfas, e spostare il peso economicodei lavori di bonifica dalle aziende ai cittadini.
La multinazionale belga in Europa mantiene, con Ilham Kadri amministratrice delegata di Syensqo spin off di Solvay, un ruolo apicale nella “Campagna di disinformazione” dopo la richiesta di restrizione e divieto dei Pfas promossa nel 2023 dai cinque Stati europei (Danimarca, Germania, Norvegia, Olanda, Svezia). La campagna punta all’esclusione dal divieto dei fluoro polimeri: da considerarsi innocui prodotti finiti rispetto ai Pfas “storici” intermedi di produzione, e soprattutto da affermarsi essenziali per lo sviluppo della nuova tecnologia verde sponsorizzata dal Green Deal e finanziata in parte dal PNRR. Il nuovo fluoropolimero essenziale per l’idrogeno verde sarebbe “Aquivion, che dal 2025 a Spinetta noi produrremo senza utilizzo di pfas”. Falso. Aquivion rimane un Pfas e una volta riversato in ambiente il prodotto degrada in Pfas”: clicca qui.
Nella sua campagna, la lobby sta anche fronteggiando l’indagine interdisciplinare transfrontaliera coordinata da Le Monde,Forever Lobbying Project (FLP), che coinvolge 46 giornalisti di diverse redazioni , 18 esperti accademici e avvocati internazionali e 29 media partner in 16 Paesi. L’indagine “sulla peggiore crisi di inquinamento che l’umanità abbia dovuto affrontare”, utilizzando una metodologia articolata e basata su criteri scientifici, ha infatti portato a galla quanto costerà ripulire dal “veleno del secolo” 23.000 siti in Europa, tra cui quelli, come Alessandria e Vicenza, considerati “hotspot PFAS”, dove la contaminazione ha già dimostrato di aver raggiunto livelli particolarmente pericolosi per la salute delle popolazioni esposte. A prescindere dagli incalcolabili costi umani e sociali in morti e ammalati e dall’impatto dei PFAS sui nostri sistemi sanitari, l’indagine si è “limitata” a calcolare i costi per bonificare le falde acquifere e i terreni impregnati di PFAS.
La cifra è da capogiro, ed equivale a 2 trilioni e mezzo di euro, 2,5 mila miliardi di euro in un periodo di 20 anni, ovveroun costo annuale pari a 100 miliardi di euro. Per l’Italia, ad esempio, l’opera di pulizia costerebbe intorno a 12 miliardi di euro l’anno: stima assai per difetto se solo si guardano i costi depositati presso il tribunale di Vicenza. Cifre che comunque esploderebbero ulteriormente, in perpetuo, se non ci sarà lo stop immediato dei Pfas. Il nodo politico è: questi costi da chi verranno affrontati? dalle aziende che hanno messo in circolazione il PFAS, o dai cittadini tramite le proprie tasse?
Il principio sarebbe: chi inquina paga. Dunque il nodo è politico: mentre gli altri Paesi CEE chiedono a gran voce all’Agenzia Europea delle Sostanze Chimiche (ECHA) di mettere al bando i PFAS, in Italia la storica complicità politica e sindacale, delle istituzioni locali e governative, non ferma le produzioni Pfas della Solvay a Spinetta Marengo, primo indispensabile passo verso il divieto in Italia dell’uso di Pfas in tutte le manifatture, come fu (1992) per l’Eternit e l’amianto.
Lino Balza Movimento di lotta per la salute Maccacaro
Ormai l’elenco dei prodotti di largo consumo con Pfas è talmente lungo che, sintetizzando, si può dire che va dalla carta igienica, passando per le pentole antiaderenti, fino… ai cinturini degli orologi.
Nei cinturini degli smartwatche fitness tracker a rilasciare più Pfas sulla nostra pelle sono proprio quelli di marche “premium”, di giganti come Apple, Nike, Fitbit (di proprietà di Google) e Samsung. Lo studio è opera di un team di ricerca dell’Università statunitense di Notre Dame, guidato dal professor Graham Peaslee, che ha analizzato 22 cinturini realizzati con materiali diversi, tra cui fluoro elastomeri (Pfas) , plastica, pelle e metalli. Addirittura sono proprio i cinturini con un costo superiore a 30 dollari quelli che presentano livelli più elevati di fluoro, indicatore della presenza di Pfas, rispetto a quelli con un prezzo inferiore a 15 dollari.
Già gli studi precedenti, esempio dell’Istituto tedesco Bundesinstitut für Risikobewertung (BfR) per quanto riguarda cosmetici e creme solari, hanno dimostrato che i Pfas, non solo respirati e mangiati, sono anche assorbiti dalla pelle e perfino con presenza minimacontaminano il sangue per anni.
Le barre azzurre rappresentano il test effettuato in estate, quelle blu le analisi di conferma realizzate in autunno; i valori di TFA sono espressi in ng/l.
Ne abbiamo più volte documentato, non è una novità (esempioin questo articolo). L’ennesima conferma arriva da un test effettuato dall’associazione ambientalista Pesticide Action Network Europe (PAN Europe), che ha portato in laboratorio 19 marchi di acqua minerale provenienti da diversi Paesi europei, trovando in più della metà di esse acido trifluoroacetico (TFA), una piccola molecola che fa parte della categoria degli PFAS.
Una nuova analisi, pubblicata in esclusiva dal Guardian, ha rivelato che le fonti d’acqua potabile in tutto il Regno Unito sono contaminate dai Pfas. Le più alte concentrazioni sono state rilevate in aree che ospitano grandi aree industriali (Ucelby e Barrow nel Lincolnshire) e vicino alle basi militari RAF (nel West Suffolk e nel Norfolk). Un rapporto dell’Environmental Agency ha dichiarato che potrebbero esserci fino a 10.000 siti contaminati: anche in Inghilterra le principali fonti di inquinamento sono le industrie chimiche, i siti militari, gli aeroporti, gli impianti di trattamento delle acque reflue, aziende produttrici di carta, pelle, tessuti e siti di smaltimento dei rifiuti, fanghi di depurazione sparsi su terreni ad uso agricolo. L’associazione di categoria Water UK chiede di “vietare i PFAS e sviluppare un piano nazionale per rimuoverli dall’ambiente, che dovrebbe essere pagato dai produttori”.