“Tra cataste di cadaveri senza nome e un numero spaventoso di feriti senza speranza di ricevere cure adeguate per mancanza di mezzi. E i più piccoli in cerca di un perché che non c’è. Amputati in sale operatorie buie, senza elettricità, con antidolorifici e antibiotici centellinati. E non esiste un dopo.”
Una straordinaria testimonianza di Federica Jezzi, chirurgo pediatrico di Medici Senza Frontiere a Gaza. Clicca qui.
1) Nazionalizzare e mantenere pubblici tutti i servizi necessari e strategici. (A tacere Sanità e Scuole, esempio: ENI, Poste, Demanio statale). Meloni ha già privatizzato, svenduto 3 miliardi di quote Eni: i nuovi azionisti si spartiranno i dividendi dell’azienda che potevano restare nelle casse dello Stato. Accadrà la medesima cosa con Poste. D’altronde, negli ultimi dieci anni i miliardari nel mondo hanno raddoppiato i propri patrimoni.
2) Tassare i ricchi. Tassare i grandi patrimoni. Nella Borsa italiana i primi dieci nella classifica dei più ricchi possiedono un patrimonio azionario di 110 miliardi di euro che viene tassato solo quando genera plusvalenze (lo 0,3 % delle entrate erariali). Lo 0,1% più ricco che ha patrimoni netti superiori ai 5,4 milioni di euro paga tasse di successione che insultano la progressività e la giustizia sociale degli italiani (ospedali, tribunali, scuole, carceri, case popolari ecc.). In Italia il 70% dell’evasione fiscale negli anni, circa 800 miliardi, riguarda l’1,3% dei contribuenti più ricchi che hanno debiti fiscali che ammontano a oltre 500 milioni di euro.
La proprietà è furto? sarebbe un programma comunista? In quale partito è abbozzato un tale programma? Al massimo, si sente una voce (Riccardo Ricciardi M5S) che parla nel deserto. Insomma, Karl o Groucho?
Prossimamente su BUZZ Blog e nostro Sito: a puntate i servizi realizzati da Mattia Servettini.
Balza ripercorrerà i cento anni di presenza del sito produttivo di Spinetta Marengo, per arrivare all’attuale drammatica situazione ambientale e sanitaria della Solvay. Infatti, raccontare è utile: far conoscere la storia di una fabbrica che ha dato pane, lacrime e sangue alla popolazione del sobborgo di Spinetta: è utile se si vogliono raccontare e affrontare nei giorni nostri le lotte della popolazione alessandrina che non è più disposta a pagare lacrime e sangue. La storia locale di uno dei più importanti stabilimenti italiani e del suo martoriato territorio è interessante perchè è anche la storia dell’Italia, dell’economia prima e dopo la guerra, del capitalismo imperante, dei movimenti operai prima del loro apice e dopo, dei movimenti ecopacifisti tra vittorie e sconfitte; delle responsabilità -nome per nome- dei politici, sindacalisti, giornalisti, magistrati; tra mobilitazioni, connivenze, complicità, corruzioni, ignavie. Insomma, risulterà una miscela storica abbastanza polemica (Balza garantisce).
Non si allenta sulla politica la morsa della lobby industriale chimica. Dei colossi produttori di Pfas, in capo a Solvay Syensqo. E degli illimitati utilizzatori: dalle pentole antiaderenti agli indumenti impermeabili, dalle giacche goretex alle scarpe, dagli imballaggi alimentari ai dispositivi medici, dai pesticidi alla tappezzeria, dalla carta da forno alle cromature, dalla pelletteria alle schiume antincendio, dal filo interdentale alla carta igienica, dalle scioline ai gas refrigeranti, dall’industria elettronica ai semiconduttori, dall’attività estrattiva dei combustibili fossili alle applicazioni dell’industria della gomma e della plastica, nelle cartiere, nei lubrificanti, nei trattamenti anticorrosione, nelle vernici eccetera. A tacere tutti gli utilizzi, strategici, nel settore militare. Per avere una dimensione del business, si consideri che la lobby “FluoroProducts &PFAS for Europe ”può contare su 72 singoli lobbisti attivi a Bruxelles, con una spesa annuale compresa tra 18,6 e 21,1 milioni di euro e 59 pass al Parlamento Europeo.
La lobbying degli enormi interessi finanziari e mercantili, che è sempre intervenuta coi propri mezzi “persuasivi” sull’OMS Organizzazione Mondiale Sanità (in contrasto con l’americana EPA Ente Protezione Ambientale) e in particolare sull’Unione Europea per imporre legislazioni e regolazioni particolarmente neo-corporative, esempio nel bando al Bisfenolo, ora è riuscita ancora una volta a impedire la messa al bando totale delle migliaia di sostanze “per- e polifluoro alchiliche”: PFAS.
Le possiamo immaginare come catene di ferro avvolte in una protezione di gomma: gli anelli di ferro sono atomi di carbonio saldamente uniti fra loro, che rendono la catena forte, mentre la copertura rappresenta atomi di fluoro, che proteggono la catena dagli agenti esterni facendoli scivolare via. Questa accoppiata conferisce ai Pfas portentose proprietàdi resistenza alle alte temperature e agli agenti esterni, idrorepellenti, oleorepellenti, ignifughe, però conferisce altrettanto pericolose proprietà di pericolo per la salute di milioni di persone. Infatti sono bollate da una sterminata letteratura scientifica internazionale come sostanze inodori insapori incolori indegradabili, “forever chemicals” inquinanti eterni, ubiquitari, trasportati dai venti e dalle acque in ogni parte del globo, estremamente persistenti e accumulabili nell’ambiente vegetale e animale.
Dunque nell’organismo umano: non decomponibili biologicamente, le indistruttibili tossiche e cancerogene sono state trovate nel sangue, nelle urine, nella placenta, nel cordone ombelicale e persino nel latte materno. Inalate e ingerite con cibo e acqua, si introducono infatti nel sistema circolatorio e si diffondono nel nostro corpo, nel sistema endocrino ovvero nella produzione e regolazione degli ormoni, con malattie della tiroide, danni al fegato, obesità, diabete, colesterolo, problemi cardiocircolatori, cancro ai reni, alla prostata e ai testicoli, ridotta fertilità maschile e femminile, diabete gestazionale, patologie neonatali, riduzione del peso alla nascita dei neonati, riduzione del quoziente di intelligenza nei bambini, riduzione della risposta immunitaria ai vaccini eccetera.
Malgrado tutte queste certezze scientifiche, ma nascondendosi dietro ostruzionistiche confutazioni, per cui non esisterebbero metodi d’analisi in grado di scoprire o quantificare tutte le migliaia di Pfas con svariato peso molecolare e differenti proprietà chimiche e strutturali, la lunga mano di Solvay & C. ha determinato una lassista normativa europea: estraniata dai controlli delle emissioni atmosferiche (micidiali per il circondario delle fabbriche utilizzatrici, come il “colabrodo di veleni” della Solvay di Spinetta Marengo unico produttore in Italia), nonché permissiva, a non dire condiscendente, per quanto riguarda la parametrazione della qualità delle acque per consumo umano: si tratta ora di limiti-soglia massimi ai quali gli Stati dell’Unione europea sarebbero tenuti a conformarsi entro il 12 gennaio 2026.
Resta, come sempre, la facoltà di includere e anticipare disposizioni nazionali, come hanno fatto alcuni Stati, tramite valori più rigorosi o parametri aggiuntivi, fino al “limite zero”, ovvero con palliativi come in Francia (1).Facoltà che comunque l’Italia si è ben guardata da usufruire, per veto di Solvay che ad Alessandria sfora tutti i limiti inimmaginabili di inquinamento.Così il Parlamento ha affossato ilDisegno di Legge Crucioliper la messa la bando. Anzi, l’Italia ha perfino evitato di aderire all’iniziativa – presa da Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia, nel febbraio del 2023 – per introdurre una restrizione universale sui PFAS a livello dell’Unione Europea, per vietarne la produzione, la vendita e l’utilizzo. Dal canto suo, si è mostrata ininfluente l’esortazione di quasi 150 0rganizzazioni della società civile europea agli Stati membri dell’UE e alla Commissione a vietare tutti i PFAS in tutti i prodotti di consumo entro il 2025 e a vietarli completamente entro il 2030.
Nel frattempo, stante appunto questa complice paralisi della politica italiana ed europea,la presidente di Solvay Syensqo, Ilham Kadri, ora ritiene procrastinabile il processo avviato di trasferimento delle produzioni in Cina (dove, per i disastri già compiuti non è più accolta a braccia aperte)e valuta le condizioni di resistere a Spinetta il più a lungo possibile.
(2) Però, c’è un altro però. Per Kadri si affacciano ulteriori problemi entro il 2026 per lo stabilimento di Spinetta Marengo: esce dall’invisibilità mediatica il TFA, acido trifluoroacetico, che si forma dai PFAS per degradazione. Come i Pfas, si trova ovunque (ubiquitario), come i Pfas è perenne (forever chemical), come i Pfas tossici e cancerogeni è micidiale per la salute, ma, ancora peggio dei Pfas, a differenza dei Pfas non è ancora normato per legge e “Pesticide Action Network” (PAN Europe)chiede ai governi di agire con misure urgenti: il divieto immediato dei pesticidi con PFAS, il divieto immediato dei gas fluorurati. Ma Kadry opporrà il consueto ostruzionismo. (3)
Invece, nel mentre, il fattore tempo sta scadendo a Spinetta Marengo per quanto riguarda le emissioni atmosferiche. La lunga mano di Solvay ha estraniato la lassista normativa europea da controlli che non siano delle acque, e dunque non esisterebbero limiti di legge per i PFAS in aria ambiente e nelle deposizioni al suolo. Esistono, in realtà, per il cocktail micidiale di 20 veleni tossici e cancerogeni, di cui fanno parte PFOA, ADV, C6O4, che è scaricato sulla popolazione da 72 ciminiere e dai 15.000 punti di perdite incontrollate: così comeabbiamo denunciato alla Procura. Un cocktail confermato dall’ultimo monitoraggio dell’Arpa. (4) E… dal continuo andirivieni dei Vigili del fuoco in emergenza (5). Il tutto, per un Sito classificato alto rischio chimico e di catastrofe industriale, per il quale -denunciamo da 40 anni come delittuosa vergogna dei politici locali- non esiste un Piano di emergenzain grado di affrontare a) l’allarme, b) l’evacuazione, c) il soccorso, d) le cure della popolazione. (6)
Veniamo ai dunque. Dunque, da un lato, neppure a pensarci che sia la politica a fermare i Pfas in Italia (a tacere i fallimenti delle Procure). Dall’altro, l’urgenza della condizione eco sanitaria della popolazione di Alessandria rende indifferibile la chiusura immediata delle produzioni Solvay a Spinetta Marengo. Dunque, a tal fine, resta la via, dell’azione giudiziaria inibitoria risarcitoria, avviata dal basso, ovvero intraprendere l’impresa titanica di affrontare Solvay Syensqo: che non rappresenta solo se stessa ma anche la “European chemical industry council (cefic)” la lobby delle industrie chimiche europee che ha riunito i maggiori produttori e consumatori di Pfas, tra cui figurano Agc, Arkema, Basf, Bayer, Chemours, Daikin, Du Pont, Exxonmobil, Gfl, Merck, Gore.
Alle azioni inibitorie risarcitorie contro Solvay di Spinetta incitava il Procuratore Generale di Cassazione: “Mi auguro che seguano centinaia, migliaia di cause civili per toccare questa gente nel portafoglio”. E fuori dall’Italia, è proprio Solvay, e proprio per i Pfas, a doversi mettere le mani al portafogliopagando una class action in USA da 1,3 milioni di dollari. (7) Ad Alessandria è inimmaginabile che il sindaco faccia causa a Solvay per inquinamento del Bormida, come il suo omologo americano contro Monsanto: 160 milioni di dollari! (8) Viceversa, l’azione inibitoria risarcitoria, oltre che contro l’azienda, può essere rivolta anche contro le Istituzioni, cioè contro Comune e Provincia di Alessandria e Regione Piemonte. Come in Olanda. (9)
La storia di questi decenni ha dimostrato che codeste istituzioni piemontesi sono complici di Solvay (Syensqo, già Montedison): speculari al colosso chimico, subordinati non solo culturalmente e politicamente. I sindacati, a loro volta, si nascondono sempre dietro il ricatto occupazionale (neppure a stento si salva la CGIL), al punto che quando sono stati chiamati al Tavolo tecnico permanente del Comune addirittura… hanno chiesto di farsi rappresentare direttamente da Solvay.
L’ultimo scandaloso anzi grottesco episodio, sulla spinta delle ripetute immagini sui media delle incontrollate invasioni di schiume di Pfas dall’obsoleto stabilimento ridotto a colabrodo per sfacelo tecnologico e di manutenzioni, è stato lo spettacolo del bluff della Provincia di Alessandria: che obtorto collo sospendeva le produzioni e nel giro di poche settimane ne autorizzava la sciagurata ripresa sulla base di una perizia addomesticata (classico caso di “controllato controllore”) e malgrado la totale disapprovazione dei tecnici dell’Arpa (Ente normalmente non tanto severo). Addirittura le impronte dello zampino di Solvay si intravvedono nella firma apposta alla lettera di autorizzazione. (10)
Su questa vicenda la Commissione parlamentare d’inchiesta sugli illeciti ambientali ha convocatoil direttore generale di Arpa Piemonte Secondo Barbero e il procuratore capo di Alessandria Enrico Cieri. Queste stupefacenti audizioni hanno scandalizzato Alessandria. In particolare il sottoscritto. Il quale, per evitare termini pesanti, ritiene sufficiente questo “commento terzo” di una preparata giornalista. (11)
Come effetto di questa nuova licenza di inquinare falde acquifere – suoli – fiume Bormida – atmosfera del Comune di Alessandria e degli altri Comuni della provincia, discende la reiterazione del reato: la cosiddetta “barriera idraulica” attualmente si conferma impianto non idoneo a contenere le fuoriuscite degli inquinanti dello stabilimento, dunque violando la sentenza della Corte di Cassazione dal 2019.
Sentenza che, vogliamo ribadirlo ancora una volta, riguardava ben oltre i Pfas: cioè la bonificadi una massa di veleni, una ventina insieme al cromo esavalente, bonifica che è stata, su ordine di Bruxelles, consapevolmente disattesa sull’altare dei profitti da Solvay, la quale, anzi, ha peggiorato la situazione ecosanitaria. Su questo punto, il capo di accusa nell’imminente processo penale bis andrebbe riformulato sul versante dolo. E portato al massimo livello apicale di Syensqo. E anche in sede civile con azioni inibitorie che risarciscono le Vittime, come stimolava a fare il Procurate generale in Cassazione: “Quella gente dovete toccarla nel portafoglio”. Con la Procura di Alessandria è difficile nascondere il dissenso. (12) Sorprende infine che sia nel processo di Alessandria che in quello di Vicenza non ci siano medici tra gli imputati. (13)
Lino Balza Movimento di lotta per la salute Maccacaro
L’urgenza della condizione eco sanitaria della popolazione di Alessandria impone la chiusura delle produzioni Pfas della Solvay di Spinetta Marengo: immediatamente. Troppo tardi le altre date che circolano per altre soluzioni: addirittura 2030. Unica-via-urgente: l’azione giudiziaria inibitoria risarcitoria, avviata dal basso.
Non sarebbero di nessuna utilità, per l’Italia e l’Europa, men che meno per Alessandria, i limiti del disegno di legge che i parlamentari dell’Assemblée nationale hanno approvato all’unanimità in prima lettura, per il quale dal 1 gennaio 2026 in Francia i PFAS saranno vietati nei cosmetici, nella sciolinae nella produzione di alcuni abiti. Con una siffatta restrittiva legge, gli impianti di Spinetta, infatti, procederebbero come prima.
Non concordiamo perciò con la gaffe di Greenpeace che chiede al governo italiano di seguire l’esempio francese. Sarebbe un palliativo addirittura antitetico alla Legge di totale messa al bando dei Pfas che Greenpeace, insieme a noi, pur rivendica con urgenza. Il disegno di legge non è una mezza vittoria per gli ecologisti francesi, anzi sarebbe una sconfitta totale dei loro allarmi sanitari: per loro e per tutta l’Europa se innescasse il contagio. Sarebbe invece una vittoria per la mobilitazione realizzata in questi anni dalla strana lobby dei sindacati (2.000 operai) e delle multinazionali (Seb), insomma dei produttori di stoviglie (le famose pentole antiaderenti Tefal!) dell’Alta Savoia. Insomma, sindacato operaio e multinazionale a braccetto, operai in piazza a Rumilly, dietro i vessilli di Force ouvrière, sindacato autonomo.
In controtendenza, sempre in Francia, invece, i tribunali hanno ordinato una perizia indipendente a seguito dell’azione legale per risarcimenti, avviata con associazioni e sindacati dagli abitanti della cosiddetta Chemical Valley, contro Arkema che dal 1957, a Lione, in località Pierre-Bénite, ha scaricato nel Rodano 3,5 tonnellate di PFAS all’anno, avvelenando una quindicina di Comuni.
Le analogie tra le situazioni ecosanitarie e politiche di Lione e Alessandria sono impressionanti: stesse ir-responsabilità degli amministratori locali (sindaco in testa), assenza leggi nazionali di messa al bando dei Pfas, necessità di ricorso alle class action.
L’urgenza della condizione eco sanitaria della popolazione di Alessandria imporrebbe l’immediata chiusura delle produzioni Pfas della Solvay di Spinetta Marengo, provvedimento a cui la multinazionale si è preparata da tempo allocandosi in Cina ma che ora ritiene procrastinabile stante la complice paralisi della politica italiana ed europea, e perché anche in Cina non l’accolgono più a braccia aperte.
Infatti, oggi la nazione è diventata il maggiore produttore di fluorocarburi, perciò nello scorso decennio la loro emissione di gas in Cina è salita vertiginosamente, e così l’impatto sull’effetto serra, che è infinitamente superiore a quello della CO2. Due studi, condotti su rilevazioni atmosferiche all’interno del territorio cinese e firmati dal ricercatore Minde An del “Center for Global Change Science del MIT”, pubblicato dall’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti, rivelano che nello scorso decennio le emissioni sono cresciute di oltre il 70%, rappresentando la maggior parte delle emissioni globali di questi gas serra. In particolare: i PFC-14, PFC-116 per le produzioni di alluminio e di semiconduttori e display in aree scarsamente popolate, e il PFC-318 generato come sottoprodotto della lavorazione per la produzione di politetrafluoroetilene o PTFE, ovvero PFAS, in corrispondenza di grossi poli industriali (tra cui Solvay) dedicati alla produzione di rivestimenti anti-aderenti per pentole da cucina.
Di pari passo, i livelli di sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) sono aumentati progressivamente nelle falde acquifere. Come ha confermato anche la ricerca sostenuta dalla National Natural Science Foundation of China e dalla “Natural Science Foundation of Liaoning Province of China”, sul “Bioaccumulo di sostanze perfluoalchiliche in ortaggi di serra con irrigazione a lungo termine con acque sotterranee vicino a impianti fluorochimici a Fuxin”.
Secondo lo studio, pubblicato su Scienze ambientali Europa, di unteam di ricercatori della TsinghuaUniversitydi Pechino, le concentrazioni di PFAS nell’acqua potabile sono 122,4 ng/l a Changshu, per il polo chimico di Solvay. Gli autori della ricerca hanno associato l’esposizione ai Pfas agli esiti avversi per la salute, inclusa una maggiore incidenza di cancro ai testicoli e ai reni, ridotta fertilità e fecondità, soppressione immunitaria e disturbi della tiroide.
Dunque, l’inquinamento atmosferico, ha raggiunto livelli pericolosi in almeno 83 città e sta contribuendo all’impennata dei tassi di cancro ai polmoni. E la crisi idrica della nazione è altrettanto terribile. Secondo un rapporto governativo pubblicato all’inizio di quest’anno, oltre l’80% delle riserve idriche sotterranee della Cina non sono adatte al consumo umano e quasi due terzi non sono adatte a qualsiasi contatto umano. Circa 300 milioni di persone – quasi l’equivalente dell’intera popolazione degli Stati Uniti – non hanno accesso all’acqua potabile e circa 190 milioni si sono ammalati a causa dell’acqua potabile contaminata.
Non ci sono solo le sostanze perfluoroalchiliche, PFAS, a contaminare le acque superficiali e quelle delle falde e, quindi, l’acqua potabile e gli alimenti. Esce dall’invisibilità mediatica il TFA, acido trifluoroacetico, che si forma dai PFAS per degradazione: come i Pfas si trova ovunque (ubiquitario), come i Pfas è perenne (forever chemical), come i Pfas tossici e cancerogeni è micidiale per la salute, ma, ancora peggio dei Pfas, a differenza dei Pfas non è ancora normato per legge, e quando avverrà sarà una grana per Solvay.
A denunciare la presenza di TFA nelle acque potabili è ora un rapporto della Pesticide Action Network (Pan Europe), nel quale sono stati analizzati 55 campioni di acqua potabile di 11 Paesi (tra i quali non c’era l’Italia) e si è visto che il TFA era presente nel 94% di essi: da 20 a 4.100 nanogrammi per litro (ng/l), per una media di 740 ng/l. Poche le differenze tra campioni di acqua minerale e di acqua di sorgente. Nelle acque di fiumi e laghi erano state rilevate concentrazioni medie pari a 1.220 ng/l. Soprattutto il TFA costituisce il 98% dei cosiddetti PFAS totali in tutti i campioni. Il fatto non stupisce, visto che il TFA si forma da diversi PFAS.
Dunque, il TFA, derivato dai PFAS dei pesticidi e dai gas fluorurati, oggi manca di un quadro legislativo di riferimento: è nebulosa l’indicazione del valore tollerabile per l’essere umano, manca uno standard di qualità per le acque sotterranee o superficiali, non esiste alcun valore massimo indicato per le acque potabili, la sostanza non è inclusa negli elenchi dei PFAS che entrano a far parte del bilancio totale. Entrerà nel 2026 in Europa, quando sarà in vigore un limite per i PFAS totali (500 nanogrammi per litro per l’insieme dei PFAS?). Se oggi fosse già così, metà dei campioni di acqua del rubinetto analizzati sforerebbe i limiti.
Per questi motivi, “PAN Europe” chiede ai governi di agire con misure urgenti: il divieto immediato dei pesticidi con PFAS, il divieto immediato dei gas fluorurati. Così, per la presidente di Syensqo, Ilham Kadri, si affacciano ulteriori problemi entro il 2026 per lo stabilimento Solvay di Spinetta Marengo (Alessandria), il cui mix produttivo nei fluorurati è ineludibile [Nota 1]. Ilham Kadri, deve pur occuparsi di azioni legali inibitorie risarcitorie.
Dall’Italiafino in Belgio, rimbombanosempre le parole di Ferdinando Lignola, il Procuratore Generale di Cassazione, quando, nel 2019 nella sua arringa finale contro Solvay, incitò: “Mi auguro che seguano centinaia, migliaia di cause civili per toccare questa gente nel portafoglio”. Perchéera pienamente cosciente, come era ed è Kadri, che in sede penale non si va oltre ad una risibile condanna ai livelli manageriali più bassi di questa gente delittuosa, e non si va oltre ad una virtuale condanna di bonifica a spese di questa gente. Soprattutto era conscio, inorridito dell’ingiustizia massima: in sede penale neppure le Vittime vengono risarcite per le morti e le malattie provocate dal reiterato delitto ecosanitario di questa gente.
Kadri non ha remore etiche ma sta valutando che anche in Italia gli studi legali si apprestino ad avventurasi nella legislazione aprendo cause in sede civile con azioni inibitorie risarcitorie contro questa gente, controla belga Solvay proprietaria dello stabilimento di Spinetta Marengo: nell’occhio del ciclone per i veleni in aria-acqua-suolo-sangue della popolazione di Alessandria, dei quali i famigerati Pfas sono solo la punta dell’iceberg ecosanitario locale.
Valutazione opportuna perché, fuori dall’Italia, è proprio la Solvay, e proprio per i Pfas, a doversi mettere le mani al portafoglio. Infatti, Solvay Specialty Polymers USA ha accettato di pagare 1,3 milioni di dollari per chiudere una class action sulla contaminazione da Pfas delle riserve idriche del Parco nazionale di West Deptford ad operadelsuo impianto di produzione di Leonard Lane. [Nota 2]. Kadri ha concordato di raggiungere l’accordo “per evitare l’onere e le spese di un contenzioso continuo“.
Un cocktail micidiale di veleni tossici e cancerogeni, di cui fanno parte PFOA, ADV, C6O4, è scaricato sulla popolazione alessandrina da 72 ciminiere e dai 15.000 punti di perdite incontrollate: così comeabbiamo denunciato alla Procura (clicca qui Nuovo esposto sui PFAS alla Procura della Repubblica di Alessandria): PFOA, ADV, C6O4, Acido Fluoridrico, Acido CloridricoNH3, Alcoli, Anidride fosforica (P2O5), Composti Iodurati (C4F8I2), Zn, Idrossido di Potassio (KOH) NOx, CO2, SOx, Polveri. Composti fluorurati (c2f4, c3f6, c4f8): 107 kg/giorno; 40 t/anno.
In questo micidiale cocktail, per il PFOA, l’ADV e il cC6O4 di produzione Solvay di Spinetta Marengo, dal cielo ricadono sulla popolazione ogni giorno 5 microgrammi per ogni metro quadrato.L’ultimo monitoraggio delle sostanze perfluoroalchiliche in aria ambiente condotto da Arpa nel 2023 e 2024 (che l’assessore regionale alla Sanità Federico Riboldi ha finto di non vedere)conferma che il sobborgo di Spinetta (centro di via Genova) è il sito più esposto alle ricadute del polo chimico, con concentrazioni di cC6O4 tra 0.821 e 1.534 ng/m³. Mentre ad Alessandria Centro (scuola Volta) le concentrazioni di cC6O4 variavano tra 0.009 e 0.031 ng/m³. Nel Comune di Montecastello (dove l’acquedotto è stato chiuso) nel maggio 2024, è stata rilevata la presenza di cC6O4 nel PM10 a 0.036 ng/m³ dal campionatore PM10 installato nella piazza del paese, ma anche nelle uova e negli ortaggi. Uova e ortaggi, anche nel Comune di Sezzadio. Nel Comune di Alzano Scrivia sono stati rilevati fino a 120 nanogrammi per litro di Pfoa (il cancerogeno che non sarebbe ufficialmente in uso nello stabilimento).
Tra le perdite incontrollate, le più subdole sono le fughe di gas: quando improvvise non vengono rilevate dagli strumenti di controllo (assenti) ai camini, bensì da postazioni fisse (se funzionanti) non sempre coinvolte nell’area dell’incidente, ovvero dalle apparecchiature Arpa (se avvertita) dopo ore dall’evento mentre i venti nel frattempo hanno trasferito i veleni altrove. Se non rimarcate da intossicazioni acute, le fughe passano addirittura inosservate, ma non per questo non nocive. Ad esempio (7 agosto, replicata il 28) l’emergenza dovuta a una fuoriuscita diacido fluoridrico dai reattori degli Algofreni è scattata quando avvertita dai sensori interni dell’impianto, mentre l’Arpa è intervenuta ore dopo principalmente per effettuare rilevazioni “presso la centralina fissa” (di via Genova) e, ipotizzando “venti provenienti dai settori nord ovest e nordest”, “monitoraggi nelle aree esterne attraverso strumentazione portatile”, “per la ricerca di composti organoclorurati e fluorurati tramite canister per le analisi di laboratorio”. Insomma, “senza evidenziareconcentrazioni significative di HF”, “sotto i limiti di quantificazione”. Con la precisazione che “comunque è importante precisare che la pioggia ne ha favorito l’abbattimento, in quanto l’acido fluoridrico è molto solubile in acqua”. Quanto letale sui polmoni.
L’azienda ha buon gioco a definire l’emergenza “di breve durata”, “da codice giallo”, “il più basso” secondo la scala dell’azienda. Insomma innocua. Non con buona pace della popolazione che protesta su La Stampa: “Sale il livello di preoccupazione.Continuano le fuoruscite”
Ricordiamo le pagine su “L’avventurosa storia del giornalismo di Lino Balza” riguardanti la nostra battaglia contro le “bombe viaggianti” degli anni ‘80 , che portò alla eliminazione dei convogli terrestri da Porto Marghera che circolavano liberamente fra le strade cittadine. Le ricordiamo quando apprendiamo che adesso stanno arrivando cisterne da Oltralpe.
Infatti, non bastassero le continue perdite da quel colabrodo di stabilimento (la precedente del 7 agosto), si aggiungono anche le aggressioni all’ambiente che provengono dall’esterno, anzi dall’estero. Nella notte del 29 agosto, da un container arrivato via treno dallo stabilimento Solvay di Tauvax (Francia) è fuoriuscito diclorofluorometano, con tracce di acido fluoridrico, un gas incolore dalla tossicità paragonabile al cloroformio. Di nuovo sirene d’emergenza, sospeso il cambio turno e l’ingresso dei giornalieri, vigili del fuoco, Arpa e la solita pantomima con l’azienda che dichiara: tutto sotto controllo.
Ma ci rendiamo conto che si tratta di un Sito classificato ad alto rischio chimico e di catastrofe industriale, senza neppure un valido piano di sicurezza ed emergenza per la popolazione a rischio?
Sempre di notte un’altra fuga di gas, l’ennesima. Ma ci rendiamo conto che si tratta di un Sito classificato ad alto rischio chimico e di catastrofe industriale, per il quale -denunciamo da 40 anni come delittuosa vergogna dei politici locali- non esiste un Piano di emergenza in grado di affrontare a) l’allarme, b) l’evacuazione, c) il soccorso, d) le cure della popolazione?
Nel 2024 i giornali magari si scandalizzeranno (finalmente!) che è un fantasma il piano di emergenza dello stabilimento Solvay di Spinetta Marengo abbozzato nel 2015 dalla Prefettura, smemorata destinataria di tanti esposti. Con quali insulti alle Istituzioni dovremmo commentare noi che come Rete Ambientalista Provinciale lo rivendicammo negli anni ‘90? E soprattutto il sottoscritto che nel 1985 firmava pubblica accusa in prima pagina sul popolare settimane alessandrino Il Piccolo con il titolo : “Algoflon: gas subdolo, omicida di morte invisibile, senza odore né sapore”. L’Algoflon è appunto il principale impianto che usa i Pfas (all’epoca il PFOA). E sempre sullo stesso giornale, sempre in prima pagina firmavo l’articolo a caratteri cubitali “L’allarme parte da Spinetta Marengo. Non esiste ad Alessandria un Piano in caso di catastrofe industriale”, specificando senza mezzi termini: si tratta di armi chimiche di massa, “pulite”, uccidono senza scalfire un muro, possono determinare l’evacuazione dell’intera città.(La cronaca di quegli avvenimenti, compreso il vergognoso comportamento dei politici, è pubblicata su “L’avventurosa storia del giornalismo di Lino Balza” volume secondo).
Ancora nel 2015, col titolo “Piano di emergenza in sordina, sia sottoposto a referendum consultivo”. Scrivemmo: “Può essere una cosa seria il ‘nuovo’ piano di emergenza di Spinetta Marengo? Dubbio legittimo se ne esaminiamo la genesi. Su internet, ancora oggi, è possibile leggere la sua presentazione da parte della Prefettura indirizzata ai sindaci di Alessandria, Castellazzo Bormida e Frugarolo.
Prima obiezione: e gli altri Comuni della Fraschetta? Dunque non è il Piano di emergenza della Fraschetta che noi stiamo rivendicando da 40 anni, in solitudine. Ma soprattutto contestiamo: il 13 luglio è stato fissato in 30 giorni il termine per concludere la consultazione sulla bozza. Che a ferragosto sarebbe dunque diventata definitiva; e malgrado non contenesse neppure tutti gli allegati. Il tutto nel presunto rispetto di ben tre richiamate leggi dello Stato. Le quali, evidentemente, non vietano che la ‘consultazione’ sia escogitata in piena estate, in sordina, a scongiurare ‘osservazioni’, scomode soprattutto ad opera nostra, su un Piano pessimo per le popolazioni a rischio di catastrofe industriale. Stante le leggi citate dalla Prefettura, il Piano sarebbe dunque definitivo al 13 agosto. Il Comune di Alessandria comunque l’ha presentato come bozza il 23 ottobre in casa della Solvay, profeta in patria. Alla ‘assemblea di consultazione popolare’, ovviamente, erano accomodati solo dirigenti aziendali e politici, mentre dei 6.500 cittadini di Spinetta Marengo le presenze si potevano contare sulle dita delle mani. Infatti la dice lunga che il Piano sia stato illustrato, senza contradditorio, perfino da una persona ‘competente’ come la sindaco Rita Rossa che sei mesi fa aveva tranquillizzato tutti sulla nube tossica scoppiata al reparto Perossidi. Insomma: il Piano di emergenza di Solvay…scritto da Solvay ”.
Provocatoriamente proponemmo: sottoponiamo a referendum popolare questo abbozzo, che non è in grado di affrontare 1) l’allarme, 2) l’evacuazione, 3) il soccorso e 4) le cure della popolazione, 1985, 2015, 2024. Lo stabilimento di Spinetta era e resta con siffatto piano pur essendo Sito classificato ad alto rischio chimico e di catastrofe industriale, come tale anche identificato negli ordini del giorno approvati all’unanimità da diversi consigli comunali: complici dell’ecocidio.
L’urgenza della condizione eco sanitaria della popolazione di Alessandria rende indifferibile la chiusura immediata delle produzioni Solvay a Spinetta Marengo, e allo stesso tempo i risarcimenti alle Vittime.
Aveva ragione Ferdinando Lignola, il Procuratore Generale di Cassazione, quando, nel 2019 nella sua arringa finale contro Solvay, incitò: “Mi auguro che seguano centinaia, migliaia di cause civili per toccare questa gente nel portafoglio”. Perchéera pienamente cosciente che in sede penale non si va oltre ad una risibile condanna ai livelli più bassi di questa gente delittuosa, e non si va oltre ad una virtuale condanna di bonifica a spese di questa gente.
Soprattutto era conscio dell’ingiustizia massima: in sede penale neppure le Vittime vengono risarcite per le morti e le malattie provocate dal delitto ecosanitario di questa gente. Eppure in Italia gli studi legali stentano ad avventurasi nella legislazione aprendo cause in sede civile. Come potranno, con azioni inibitorie risarcitorie, per la belga Solvay proprietaria dello stabilimento di Spinetta Marengo: nell’occhio del ciclone per i veleni in aria-acqua -suolo della popolazione di Alessandria, dei quali i famigerati Pfas sono solo la punta dell’iceberg locale.
E fuori dall’Italia, è proprio la Solvay, e proprio per i Pfas, a doversi mettere le mani al portafoglio. Solvay Specialty Polymers USA ha accettato di pagare 1,3 milioni di dollari per chiudere una class action sulla contaminazione da Pfas delle riserve idriche del Parco nazionale di West Deptford ad operadelsuo impianto di produzione di Leonard Lane. La causa è stata intentata per conto dei residenti del Parco Nazionale nel giugno 2020, risarciti per ora con 8.000 dollari ciascuno, ma l’accordo prevede il pagamento degli esami del sangue per tutte le persone che hanno vissuto nel distretto dal 1° gennaio 2019 al 28 febbraio 2024: il fondo include 784.000 dollari per la “classe di biomonitoraggio”. Anzi, “Non è incluso il costo di qualsiasi potenziale interpretazione del risultato dell’esame del sangue da parte di medici o professionisti sanitari.” Dunque restano aperti i risarcimenti per le patologia sofferte.
Il fondo inoltre comprende circa 244.000 dollari per le spese legali e gli onorari degli avvocati. Nonché l’accordo prevede addirittura pagamenti (200.000 dollari) alle persone che hanno posseduto o affittato immobili residenziali nel distretto nello stesso periodo.
Solvay ha concordato di raggiungere l’accordo “per evitare l’onere e le spese di un contenzioso continuo“, si legge nella sua dichiarazione. D’altronde Solvay deve affrontare numerose cause legali per l’inquinamento da PFAS nel South Jersey, per il suo stabilimento della contea di Gloucester.
L’urgenza della condizione eco sanitaria della popolazione di Alessandria renderebbe indifferibile la chiusura immediata delle produzioni Solvay a Spinetta Marengo, se il sindaco fosse del livello dell’omologo di Seattle. Infatti il Comune di Seattle, dopo una battaglia legale durata ben otto anni, ha obbligato il colosso chimico della Bayer, Monsanto, a sborsare 160 milioni di dollari per aver inquinato il fiume Lower Duwamish e potenzialmente danneggiato esseri umani, pesci e fauna selvatica. Viene da ridere
immaginare il Comune di Alessandria fare la stessa cosa per il disastro ecosanitario della Solvay di Spinetta Marengo.
La causa era stata intentata dalla città di Seattle e riguardava l’inquinamento del fiume locale e del sistema fognario della città con PCB, ovvero sostanze chimiche (per tossicità, stabilità, persistenza, insolubilità, volatilità analoghe ai Pfas) impiegate nella produzione di plastificanti e rivestimenti. L’accordo, che evita il processo penale) prevede 35 milioni per le attività di bonifica e 125 milioni di dollari per far fronte alle richieste di risarcimenti.
I risarcimenti per le Vittime della Solvay potranno intervenire, stante la paralisi del sindaco, in sede civile con azione inibitoria che faccia cessare le produzioni inquinanti del colosso belga Solvay.
L’azione inibitoria risarcitoria può essere rivolta contro l’azienda ma anche contro le Istituzioni (ad esempio, per la Solvay, contro il sindaco di Alessandria e la Regione Piemonte). Contro lo stesso Stato: l’importante studio legale Knoops di Amsterdam, coadiuvato da un intero team di esperti, intende far rispettare le misure contro la quantità di PFAS nel suolo con un reclamo di massa per obbligare lo Stato ad intervenire. Alla massiccia azione legale partecipano diverse organizzazioni e gruppi, come l’Associazione per la Rete degli Anziani di West-Friesland e il sindacato del personale civile e militare della difesa, come SchipholWatch per le grandi quantità di PFAS trovate in luoghi intorno all’aeroporto: la sola pista di Zwanenburgbaan coinvolgerebbe almeno 200.000 tonnellate di terreno contenente PFAS. Anche la Fondazione West Friesland Elderly Network ha comunicato che si unirà alla campagna di Knoops: la salute degli abitanti del villaggio di Westwoud preoccupa per troppi eccessi di cancro.
Infatti, secondo l’Istituto nazionale per la salute pubblica e l’ambiente (in olandese: Rijksinstituut voor Volksgezondheid en Milieu; RIVM), in centinaia di siti nei Paesi Bassi c’è un’eccessiva presenza di PFAS nel suolo, grandi quantità entrano nel cibo, ad esempio attraverso l’irrigazione dei campi agricoli, trovati di recente anche nelle uova di galline in allevamenti amatoriali, possono causare il cancro e le altre malattie. Secondo il RIVM, gli olandesi stanno assumendo “troppo” PFAS. RIVM ha stabilito un limite specifico per alcune varianti. Se superato, il composto è dannoso per la salute. Nel 2010, una variante di PFAS, il PFOS, è stato vietato in tutta l’UE. È stata presentata una proposta a livello UE per fermare completamente l’uso di PFAS entro il 2025.Knoops sta intentando causa per spingere lo Stato a intervenire più rapidamente.
Anche perché la situazione è sempre più allarmante: i PFAS sono stati trovati anche nella schiuma del mare lungo le coste dell’Olanda.
C’è chi si ostina a dialogare con loro, impantanandosi nel circolo vizioso del loro reciproco scaricabarile. La storia di questi decenni ha invece dimostrato che sono complici di Solvay (Syensqo, già Montedison): speculari al colosso chimico, subordinati culturalmente e politicamente (quando non anche economicamente). Vanno dunque trattati come avversari. Immeritevoli di un briciolo di fiducia.
Infatti c’è chi, come noi, non espresse il benché minimo credito alla bolla di sapone della diffida con la quale la Provincia di Alessandria intimava (tardivamente) a Solvay di “sospendere la produzione di cC6O4 in tutto lo Stabilimento” e imponeva che “l’impianto Tecnoflon potesse essere riavviato solo dopo interventi tecnologici risolutori e approvazione certificata di ARPA”. Pensar male della Provincia non era peccato: tant’è che nel giro di poche settimane il bluff è scoppiato e la Provincia ha autorizzato la ripresa tossica e cancerogena di “PRODUZIONE ed USO di cC6O4” fregandosene della disapprovazione dell’ARPA.
Fregandosene dell’Arpa che non aveva certificato fossero state superate le cause dell’ incontrollata dispersione del Pfas C6O4 nelle falde acquifere per le perdite dal pozzo G adiacente all’impianto, perdite enormi: misurate da ARPA (l’11 aprile scorso) con una concentrazione di cC6O4 di 191.262μg/l contro i 0,5 μg/l (generosamente) ammessi.
Fregandosene, anzi, che negli incontri tecnici Arpa-Asl avessero denunciato un forte aumento delle quantità di cC6O4 in falda acquifera esterna, e che le perizie condotte da ARPA e riportate nella relazione di servizio avessero allarmato un pessimo stato di manutenzione dell’impianto colpevole dello sversamento: valvole rotte, tubazioni di scarico danneggiate, pareti di contenimento con buchi, ecc. nonché il colabrodo delle cosiddette barriere idrauliche.
Fregandosene, così , anche di ammettere che, stante lo sfacelo storico delle manutenzioni, tutti gli altri reparti che utilizzano i PFAS sono nelle stesse condizioni.
Fregandosene, insomma, che la sua nuova licenza di inquinare avrebbe coinvolto non solo falda acquifera-suolo-fiume Bormida -atmosfera del Comune di Alessandria, ma anche di una vasta area provinciale, dove ormai abitualmente si riversano i PFAS nell’aria: i Pfas in alcuni periodi dell’anno raggiungono contenuti a Spinetta Marengo di quasi 1.000 volte superiori a valori ritenuti (permissivamente) normali, e a Piovera e Montecastello di 100 volte superiori, e ad Alessandria (istituto Volta) di 20 volte superiori.
Dall’ennesima esemplare, e perciò opacizzata dai media locali, relazione dell’ingegner Claudio Lombardi, già assessore all’ambiente, apprendiamo inoltre che la sciagurata servile autorizzazione della Provincia è appunto avvenuta dopo acceso dibattito con ARPA, sulla base di presunte “relazioni comprovanti interventi risolutivi delle perdite”. Relazioni talmente “comprovanti” da essere la “perizia giurata” firmata… da chi? da un perito incaricato da Solvay!! Perizia “giurata” (sic) e talmente qualificata da risultare esercizio neppure di un ingegnere (che so, idraulico, progettista) ma da… un architetto paesaggista. Insomma, il più classico caso di “controllato controllore”!
Puzza, puzza il voltagabbana della Provincia. Le impronte dello zampino di Solvay si intravvedono nella firma apposta alla lettera di autorizzazione di ripresa della produzione: stranamente non già del direttore responsabile ingegner Paolo Platania (che arditamente aveva emesso la diffida) ma da un suo sostituto, tale Maurizia Fariseo, segretaria di Direzione. Dubbio legittimo: i responsabili politici degli enti pubblici hanno atteso che Platania andasse in ferie? Platania si è rifiutato di firmare? Platania sarà accompagnato alla pensione?
Sberleffo successivo alla “voltagabbanata”, a fine agosto la Provincia fa una terza diffida per via del superamento della capienza del percolato di rifiuti liquidi oltre i limiti nelle vasche destinate allo stoccaggio dei gessi fluoridrici.
E i sindacati? Vi chiederete. I sindacati, sempre a rappresentare l’eterno dilemma della sicurezza della popolazione, dei lavoratori e dell’occupazione, sempre a nascondersi dietro il ricatto occupazionale, in questa crisi, quando sono stati chiamati al Tavolo tecnico permanente del Comune addirittura… hanno chiesto di farsi rappresentare direttamente da Solvay.
Pfas alla Solvay di Alessandria: storia di omissioni e mezze verità
La commissione parlamentare d’inchiesta ha ascoltato il direttore di Arpa Piemonte e il procuratore capo di Alessandria sul caso pfas alla Solvay di Spinetta Marengo. Entrambi hanno confermato che le sostanze prodotte dallo stabilimento sono tossiche per l’essere umano e l’ambiente, tralasciando però dettagli importanti su una vicenda sempre più complessa.
Su un punto sono tutti d’accordo: le sostanze prodotte dallo stabilimento Solvay Syensqo di Spinetta Marengo, una frazione di Alessandria, sono tossiche e nocive per l’essere umano e per l’ambiente. Sarà anche per questo che la Commissione parlamentare d’inchiesta sugli illeciti ambientali, per la terza legislatura consecutiva, ha deciso di occuparsi di pfas convocando a Palazzo San Macuto (l’edificio romano che ne ospita le sedute) il direttore generale di Arpa Piemonte Secondo Barbero e il procuratore capo di Alessandria Enrico Cieri. Due personaggi chiave che in audizione hanno fatto il punto della situazione, tralasciando però dettagli importanti di una vicenda complessa.
Mercoledì 10 luglio il primo ad essere ascoltato è stato il direttore generale di Arpa Piemonte Secondo Barbero, che ha definito “delicata” la situazione del polo chimico Solvay di Alessandria. Barbero si è soffermato sui sistemi di filtraggio dello stabilimento, che dovrebbero fermare i contaminanti prodotti e scaricati nelle acque di falda sotterranee, spiegando che “tutti questi trattamenti non sono bastati a raggiungere i valori obiettivo posti dai piani di bonifica indicati già nel 2012”.
In particolare, i dati comunicati dal direttore mostrano valori di Triclorometano (Cloroformio) ben oltre le concentrazioni di soglia (65 microgrammi per litro), con un picco registrato nel giugno 2023 di 101 microgrammi. Stesso discorso per il Tetracloruro di Carbonio, che a fronte di un valore limite pari a 66 microgrammi per litro, risulta esseri di 132,2 microgrammi. Alle stelle anche il Cromo esavalente e i fluoruri, questi ultimi pari a 44.875 microgrammi per litro quando la soglia massima è di 1.500.
Per i pfas il discorso è simile: i valori di marzo 2024 indicano una concentrazione altissima di cC604 (prodotto in esclusiva dalla Solvay di Spinetta) in un pozzo interno allo stabilimento, pari a 191.262 microgrammi per litro. La situazione peggiora all’esterno, dove vivono 7mila persone e abbondano i terreni coltivati. “Fino a 2 chilometri e mezzo di distanza dal sito – spiega Barbero – rileviamo valori molto superiori rispetto alle soglie previste dalla normativa”. Suoli e aria sono quindi inquinati e i dati lo dimostrano in maniera lampante.
Continuando con il suo intervento, Barbero è però inciampato su qualche inesattezza. Ad esempio, quando ha spiegato che la contaminazione è oggetto di un monitoraggio continuo. Le cose non stanno esattamente così: i valori dei pfas riscontrati nello scarico, nelle acque interne e nei suoli sono stati raccolti dopo una segnalazione dell’azienda a marzo 2024 e il caso è emerso grazie all’intraprendenza di alcuni cittadini, che tra aprile e maggio hanno contattato il 112 per denunciare la presenza di schiume nello scarico.
Il direttore ha ritenuto di non spiegare quale sia il motivo delle perdite in falda, ossia la mancata tenuta della barriera idraulica che serve a filtrare gli inquinanti e che già nel 2019 era stata considerata insufficiente. E anche sui pfas rilevati, si è limitato a citare solto il cC6O4 e la miscela ADV, dimenticando il GenX, un composto tossico ritrovato sia negli alimenti prodotti in prossimità del sito sia nell’aria analizzata nel centro città di Alessandria. A denunciarne la presenza, lo scorso maggio, è stata Greenpeace Italia, ma nessuna istituzione locale, neppure Arpa, ha mai commentato.
Barbero non ha neppure spiegato per quale motivo i valori elevati misurati sui percolati di discarica dal dipartimento di Alessandria nell’ottobre 2023 non siano stati subito comunicati, se non ad aprile 2024, quando tutte le istituzioni territoriali erano già state allertate di uno sversamento anomalo interno al sito e per giunta la stessa azienda aveva denunciato il fatto.
La deputata del Movimento 5 Stelle Carmela Auriemma ha chiesto come mai a Torino sia presente il pfas cC6O4. “Abbiamo sensibilizzato la Provincia di Torino sul tema per evitare che questo tipo di sostanze sia trattato in impianti non idonei”, ha risposto Barbero senza però indicare come le prescrizioni redatte dall’Arpa dopo l’ampliamento della produzione del composto cC6O4 prevedessero l’obbligo per l’azienda di indicare dove e come smaltire i rifiuti.
Il direttore, infine, non ha informato la Commissione del mancato rinnovo dell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) dell’intero stabilimento, ossia il provvedimento che autorizza l’esercizio di un’installazione a determinate condizioni che garantiscono la conformità ai requisiti Ippc (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento). Solvay Syensqo continua, infatti, a operare con un’Autorizzazione in fase di revisione dal 2019, discussa finora in un’unica conferenza dei servizi ormai due anni fa.
Tra accuse e giustificazioni
Terminato l’intervento di Barbero, la commissione ha ascoltato il procuratore capo di Alessandria Enrico Cieri e il sostituto procuratore Eleonora Guerra per capire in che modo stia procedendo la giustizia, dopo la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di due dirigenti Solvay. Cieri ha spiegato che i carabinieri del Noe hanno denunciato Solvay per disastro ambientale colposo, “ma non abbiamo incluso l’omessa bonifica perché riteniamo che Solvay dal 2007 abbiamo messo in opera azioni di messa in sicurezza, con un piano di bonifica per un sito che è affetto da inquinamento storico”.
E ancora: “Abbiamo sempre avuto un’interlocuzione franca con Solvay, che ha investito molto per limitare la contaminazione (40 milioni in tre anni a fronte di un fatturato annuo solo per gli stabilimenti italiani Solvay di 1.3 miliardi ndr). Se mi posso permettere – ha aggiunto il magistrato – non siamo di fronte ad un inquinatore scellerato, che intenzionalmente sversa contaminanti in spregio agli obblighi di legge, ma a un imprenditore che crediamo abbia ottemperato agli adempimenti che dal 2007 il Comune gli ha ordinato. Permangono delle inadeguatezze di queste misure che valgono il rimprovero di una colpa”.
Affermazioni che sembrano “ammorbidire” le valutazioni sulle condotte di Solvay e per questo scatenano la reazione della deputata del Partito democratico Maria Stefania Marino: “Se lei reputa che stiano inquinando la falda, ma stiano facendo tutto il possibile allora di cosa stiamo parlando? Se vengono avvelenate le falde è un reato, è dolo”. Cieri ribatte spiegando che è merito della Procura avere indagato Solvay. In realtà sono stati due esposti presentati nel giugno 2020 da cittadini e associazioni ad avere scoperchiato il vaso di Pandora.
Il procuratore chiude il suo intervento dicendo che “dopo il sequestro delle tre discariche dei gessi presenti nel sito, abbiamo capito che molti rifiuti contenenti cC6O4 vengono legalmente rivenduti come gessi per l’edilizia. Tramite il Noe di Alessandria, abbiamo avvertito tutti i dipartimenti ambientali dei carabinieri sul suolo nazionale per capire se questi gessi siano o meno monitorati, così da prevenire la presenza di cC6O4 ovunque”.
Nuovi dati allarmanti
Venerdì 19 luglio, a pochi giorni di distanza dall’audizione di Roma, durante un tavolo tecnico dedicato ai pfas e voluto dal Comune di Alessandria, Arpa è stata chiamata a presentare i nuovi dati sui pozzi interni allo stabilimento di Solvay Syensqo. Malgrado non siano stati consegnati documenti ufficiali, il tecnico di Arpa presente ha indicato come i pozzi più contaminati di aprile – che avevano fatto partire la diffida della Provincia per la sospensione del cC6O4 – abbiano valori in diminuzione, attestandosi intorno ai 30mila microgrammi per litro.
A fronte di questa diminuzione, a detta del tecnico aumentano i valori registrati all’esterno del sito produttivo, a dimostrazione ancora una volta del malfunzionamento della barriera idraulica. Un ulteriore problema è l’inquinamento in atmosfera, con i dai dati raccolti a giugno che sembrano indicare una presenza di diversi composti pfas in tutte le zone di campionamento, tra il centro città di Alessandria e i piccoli comuni limitrofi, uno su tutti Montecastello.
Con questi valori la Provincia ha confermato di voler prorogare la diffida nei confronti della ditta e, contestualmente, ha sollecitato Arpa a consegnare il prima possibile tutti i documenti utili. Al tavolo tecnico per la prima volta si sono sedute anche le organizzazioni sindacali interne alla ditta, che hanno sottolineato come il fermo della produzione possa provocare disagi ai lavoratori, rimarcando poi la necessità di invitare alle prossime riunioni la stessa Solvay. Una proposta che verrà discussa nei prossimi giorni, in vista del tavolo fissato per metà settembre.
Due ecocidi mondiali e locali. Con i Pfas si ripete la tragedia dell’amianto e dell’Eternit di Casale Monferrato. La belga SolvaySyensqo è l’unico produttore in Italia dei diffusissimi Pfas tossici cancerogeni e, con la complicità di Sindaco e Regione, compromette direttamente la salute della popolazione alessandrina, a cominciare dai lavoratori.
C6O4, ADV e PFOA sonoimpiegati nei cicli aziendali da decenni, e alcuni attualmente prodotti: l’ARPA di Alessandria da qualche anno, finalmente, ne denuncia e documenta che i reflui dallo stabilimento di Spinetta Marengo fuoriescono ed inquinano sempre più pesantemente le falde acquifere, il fiume Bormida e l’atmosfera dei Comuni della provincia, provocando morti e malattie.
Nei primi mesi del 2024, l’azienda non è più riuscita a nascondere che l’impianto di produzione del cC6O4, il più moderno inaugurato in pompa magna da pochi anni, stava accusando gravi problemi di funzionamento. Al punto da costringere la Solvay stessa ad autodenunciarsi alla Provincia ed a fermare l’impianto. I problemi funzionali causano enormi perdite in falda acquifera: l’ARPA addirittura ha misurato (11 aprile ) nel pozzo G adiacente all’impianto di produzione una concentrazione di cC6O4 di 191.262μg/l contro gli 0,5 μg/l ammessi!
La Provincia di Alessandria è stata, obtorto collo, costretta a ingiungere a Solvay, tramite diffida, che l’impianto doveva fermarsi e poteva essere riavviato solo dopo interventi tecnologici risolutori e approvazione certificata di ARPA, tramite incontri tecnici fra Provincia, Comune, Arpa, Asl.
Scandalosamente poi la Provincia si è rimangiata l’ingiunzione. voltagabbana
Ancor prima del voltafaccia, Claudio Lombardi, ex assessore comunale Ambiente, già denunciava che Solvay pretendeva di aver risolto il problema stabilimento grazie anche ad una ‘super efficiente barriera idraulica’. Niente di più falso. L’ARPA ha contestato nell’ultimo incontro tecnico un forte aumento delle quantità di C6O4 nella falda acquifera esterna allo stabilimento. La barriera idraulica, dunque, non funziona minimamente e, oltre a non trattenere C6O4, lascia fuoriuscire all’esterno le altre sostanze tossiche e cancerogene interne alla fabbrica. Questo gravissimo fatto, conclude Lombardi, mette in risalto due nodi relativi all’esistenza stessa del sito produttivo Solvay di Spinetta Marengo. Innanzitutto, “la produzione del cC6O4 non poteva essere ripresa se non solo dopo interventi tecnologici risolutivi comprovati e certificati per adeguato lasso temporale (non certo di giorni ma di mesi)”.
Soprattutto, “la barriera idraulica si dimostra impianto non idoneo a contenere le fuoriuscite degli inquinanti interni allo stabilimento, come d’altra parte recitò la sentenza della Corte di Cassazione nella sentenza di condanna dei dirigenti Solvay nel dicembre 2019”. Sentenza che, viene ribadito, riguardava ben oltre i Pfas: cioè la bonificadi una massa di veleni, una ventina insieme al cromo esavalente, bonifica che è stata, su ordine di Bruxelles, consapevolmente disattesa sull’altare dei profitti da Solvay, la quale, anzi ha peggiorato la situazione ecosanitaria.
Su questo punto, il capo di accusa nell’imminente processo penale bis andrebbe riformulato sul versante dolo. E portato al massimo livello apicale di Syensqo. Dove: anche in sede civile con azioni inibitorie che risarciscono le Vittime, come stimolava a fare il Procurate generale in Cassazione: “Quella gente dovete toccarla nel portafoglio”.
Non si può nascondere il dissenso con la Procura di Alessandria.
Di fronte alle Vittime: nell’aula del tribunale di Vicenza ha affermato con cipiglio che i Pfas non erano pericolosi, non meritevoli di allarme. Giovanni Costa era il medico aziendale della Miteni di Trissino e della Solvay di Spinetta Marengo, per le quali certificava le analisi del sangue degli operai, e li rassicurava dell’innocuità. Eppure essi avevano nel sangue valori che già nell’esposto del 2009 alla Procura della Repubblica di Alessandria denunciavo estremamente allarmanti secondo i noti parametri scientifici internazionali.
Rispetto a questa testimonianza che ha reso a difesa della Miteni e del proprio operato, Costa può essere accusato di aver svolto un ruolo cruciale nella storia del disastro ecosanitario dei Pfas in Italia.
Ne abbiamo abbondantemente trattato da pagina 329 primo volume del dossier “Pfas. Basta!” (disponibile a chi ne fa richiesta). Nello stralcio della Rete Ambientalista (https://www.rete-ambientalista.it/2022/09/28/due-medici-al-centro-dei-processi-pfas-di-vicenza-e-alessandria-giovanni-costa/ ) è ricostruito il ruolodi questo medico garante improbabile delle problematiche di rischio sanitario e ambientale collegato ai Pfas, e delle correlate azioni di prevenzione e limitazione, ovvero di divieto del loro uso.
In estrema sintesi. Costa rappresentava l’azienda tra i produttori mondiali di Pfas e anche nei meeting internazionali: aveva una conoscenza aggiornata e tempestiva su tutte le novità emerse nei decenni dalla comunità scientifica sui gravissimi rischi connessi ai Pfas. Conoscenza che i produttori appunto nascondevano. Infatti la “Commissione parlamentare di inchiesta sugli ecoreati” contesta diffusamente ogni attendibilità delle sue tranquillizzanti “relazioni cliniche” sullo stato di salute dei lavoratori, per concludere la censura: “In realtà, l’unico obiettivo delle varie relazioni del professor Costa sembra essere, per un verso, quello di dimostrare il rispetto dei valori di riferimento indicati, come invece si è visto molto elevati e, per altro verso, l’assenza di ‘significativo rischio di patologie correlate al lavoro’. Insomma, Costa si sarebbe sempre impegnato a coprire gli interessi aziendali di produrre ad ogni costo… umano.
Nel suddetto stralcio si può leggere che avevamo anticipatogià dal 2009 lacensura della “Commissione parlamentare di inchiesta sugli ecoreati”,denunciando ufficialmente “di occultare la gravità della condizione sanitaria dei lavoratori e dei cittadini ingannando l’ignavia dell’Arpa”. Lino Balzasfidò invano Giovanni Costa ad un confronto pubblico tramite il basilare documento depositato 15 anni fa in Procura articolato in 24 dettagliatissimi punti / capi di imputazione quanto meno morali”.
Così concludeva la ventiquattresima domanda: “24) In conclusione, dott. Costa, Lei è d’accordo con Solvay che rassicurante sostiene essere questa sostanza – che provoca tumori/ malformazioni/alterazioni sessuali – pressoché innocua o benefica all’uomo italiano, anzi associata a cromo esavalente e a una montagna di altri 20 veleni che colano nelle falde acquifere? Oppure ammette che, dopo gli studi internazionali, dopo i miliardi di risarcimenti, dopo che è messo al bando in tutto il mondo perché tossico/teratogeno/mutageno/cancerogeno, il PFOA deve essere finalmente, oggi, 2009, senza rinvii, eliminato dalle lavorazioni dello stabilimento di Spinetta Marengo che contaminano il sangue di lavoratori e cittadini, e avvelenano le falde e i fiumi Bormida, Tanaro e Po fino alla foce, e che debbono essere indennizzati i danni alle persone e all’ambiente? I lavoratori e i cittadini si costituiranno parti civili al processo”.
Purtroppo le Vittime non sono ancora state risarcite. Men che meno puniti i responsabili, oggi 2024.