Non proprio caraibico il mare delle “spiagge bianche” di Rosignano Solvay.

Basta osservare la fotografia per individuare Solvay quale responsabile della chiazza schiumosa galleggiante a pochi metri dalle Spiagge Bianche di Rosignano. Sullo sfondo: dall’immortalato stabilimento scende una condotta che scarica le acque reflue nel Tirreno a 600 metri dalla costa: teoricamente dovrebbero essere depurate a monte, quanto lo siano effettivamente lo mostra la foto. Scattato l’allarme salute, non è stata sufficiente la rassicurazione del sistema di disinfezione di emergenza (con ipoclorito) delle acque inviate nella avariata condotta sottomarina di scarico, anche per la conseguenza della risalita della sabbia in superficie. Ma è stata sufficiente per le autorità che, in periodo turistico, non hanno vietato la balneazione. La quale peraltro dovrebbe comunque sempre essere  automaticamente preclusa per legge nei tratti di costa nelle vicinanze degli scarichi. Ma come potrebbe se Rosignano Solvay deve essere  definita “Caraibi artificiali toscani”, dopo un secolo di scarti industriali sversati in mare che hanno  creato quella spiaggia dai colori strabilianti?
 
Ma con quali  conseguenze ambientali? Ne abbiamo parlato a lungo e più volte sul Sito. Gli scarti della produzione, a partire dai primi anni fino ai giorni nostri, sono rilasciati nelle acque marine antistanti: con quei residui di calcare che donano  il colore caratteristico alle Spiagge Bianche e un azzurro intenso al mare… non esattamente puro e limpido quanto quello caraibico. Non solo calcare:  nel corso della sua attività l’azienda ha scaricato in mare anche metalli pesanti quali arsenico, cromo, mercurio e altri inquinanti: in una dichiarazione per l’anno 2017 presentata all’European Pollutant Release and Transfer Register (il registro europeo delle emissioni inquinanti da attività industriale), l’azienda conferma l’emissione di 59 kg/anno di mercurio, con quantità di cromo e arsenico tra le 3 e le 4 tonnellate annue.
 
Abbiamo chiesto più volte come si possa  certificare l’elevato inquinamento della costa, con evidenza di emissioni negli ultimi cento anni, e confermarne allo stesso tempo la balneabilità del tratto di mare. L’apparente incoerenza è dovuta ai parametri scelti dalle autorità: nel decreto legislativo 116/08, recepimento della direttiva europea 2006/7/CE, i monitoraggi richiesti sono infatti esclusivamente di natura biologica (Escherichia coli), e non chimica.  Insomma  l’inquinamento consiste soprattutto in anomale concentrazioni di mercurio e esaclorobenzene nel fondali del tratto di costa, mentre le concentrazioni in acqua sono simili a quelle di altre località della regione.
Aggiungiamo che non costituiscono un pericolo immediato, per gli ignoranti o sconsiderati  bagnanti, gli inquinanti “sepolti” nel sedimento, facendo le corna  a eventi estremi che ne causino il rimescolamento. Basti per ora chiudere gli occhi sull’ impatto delle specie marine, portando al bio-accumulo in molluschi e pesci evidenziato in tutte le località costiere analizzate dalla stessa Arpa Toscana.