Leonardo, la maggiore impresa militare italiana con oltre il 70% del settore, è ormai una multinazionale integrata e subalterna alle compagnie Usa, piuttosto che europee, dedita all’export (75% dei ricavi), al centro di complessi reticoli azionari. Fa affari d’oro, ma detiene una quota relativamente bassa dell’occupazione manifatturiera italiana.
Con queste caratteristiche di subalternità, l’attuale aumento della spesa per acquisto di armamenti per le nostre Forze armate sarà caratterizzato – com’è avvenuto per i caccia F35 – da importazioni di prodotti finiti e/o componenti strategici dagli Usa.
Insomma , alte quotazioni di Borsa e maggiori dividendi per gli azionisti, fanno delle produzioni militari italiane un “cattivo affare” per l’economia e l’occupazione in Italia. Nel contempo non fanno che alimentare il riarmo e i rischi di estensione dei conflitti.
Al contrario, lo sviluppo di produzioni civili, con strategie di diversificazione e riconversione, potrebbe consentire una maggior espansione delle capacità tecnologiche e dell’innovazione della nostra industria, con ricadute positive sia in termini di produttività e qualità sull’insieme del sistema economico e manifatturiero, sia con un aumento di investimenti destinati alla messa in sicurezza del territorio e del patrimonio artistico e culturale, al miglioramento del sistema sanitario ed educativo, alla transizione ecologica e digitale.
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