Compriamo più armi a spese degli italiani a favore dei capitali americani.

Leonardo, la maggiore impresa militare italiana con oltre il 70% del settore, è ormai una multinazionale integrata  e subalterna alle compagnie Usa, piuttosto che europee, dedita all’export (75% dei ricavi), al centro di complessi reticoli azionari. Fa affari d’oro, ma detiene una quota relativamente bassa dell’occupazione manifatturiera italiana.
 
Con queste caratteristiche di subalternità, l’attuale aumento della spesa per acquisto di armamenti per le nostre Forze armate sarà caratterizzato   – com’è avvenuto per i caccia F35 – da importazioni di prodotti finiti e/o componenti strategici dagli Usa. 
 
Insomma , alte quotazioni di Borsa e  maggiori dividendi per gli azionisti, fanno delle produzioni militari italiane un “cattivo affare” per l’economia e l’occupazione in Italia. Nel contempo non fanno che alimentare il riarmo e i rischi di estensione dei conflitti. 
 
Al contrario, lo sviluppo di produzioni civili, con strategie di diversificazione e riconversione, potrebbe consentire una maggior espansione delle capacità tecnologiche e dell’innovazione della nostra industria, con ricadute positive sia in termini di produttività e qualità sull’insieme del sistema economico e manifatturiero, sia con un aumento di investimenti destinati alla messa in sicurezza del territorio e del patrimonio artistico e culturale, al miglioramento del sistema sanitario ed educativo, alla transizione ecologica e digitale.
 
Clicca qui una analisi completa. 

Pfas nei mangimi per allevamenti.

Nelle scuole andrebbe spiegata al completo la catena alimentare: partendo dalle aziende di produzione (in Italia: Solvay di Spinetta Marengo) e di consumo. Le quali  scaricano Pfas nelle acque potabili e in atmosfera: dalla quale ricadono al suolo sugli alimenti vegetali e animali (…oltre che direttamente nei polmoni). I mangimi sono un anello della catena alimentare.
 
I Pfas contenuti nei mangimi (foraggi verdi o secchi, semi o frutti, sottoprodotti di cereali e dello zucchero ecc.), insieme all’acqua eventualmente contenente Pfas, sono somministrati agli animali allevati (bovini, ovini, suini e polli): e carni e uova e latticini  contenenti Pfas sono infine  consumati dagli esseri umani  come letalmente tossici e cancerogeni.
 
Ebbene, il Bundesinstitut für Risikobewertung (BfR)l’Istituto Federale Tedesco per la Valutazione dei Rischi, ci prova a valutare i rischi dei Pfas nei mangimi (foraggio, becchime, pastoni), a calcolare i limiti da non superare. Modelli di tossico cinetica. In realtà, non esistono concentrazioni massime ammissibili, livelli sicuri per la salute umana: dal feto all’anziano, per le molecole “Forever Chemicals“, inquinanti eterni, ubiquitari, indistruttibili, indegradabili e bioaccumulabili. L’unico è il livello zero.

Pfas. Il Belgio non è l’Italia.

In Belgio, a differenza della Regione Piemonte per quanto riguarda Alessandria, la Regione Vallonia organizza una nuova campagna di screening affinché tutte le persone potenzialmente contaminate da Pfas possano beneficiare del monitoraggio medico a spese delle autorità valloni. La decisione dopo che 2.000 persone di Chièvres e Ronquières hanno ricevuto i risultati delle analisi del sangue: a Chièvres quasi una persona su tre supera la soglia massima di 20 microgrammi per litro di sangue raccomandata dal consiglio scientifico insediato dal governo vallone uscente.
 
Il responsabile della contaminazione, a differenza della Solvay per Alessandria, non è ancora stato identificato, perciò è pressante l’impegno degli amministratori “ad individuarlo rapidamente per poter applicare il principio chi inquina paga, i filtri al carbone piazzati dalla Société Wallonne Des Eaux si rifletteranno sulle bollette dei consumatori. E tutte le spese mediche a carico della comunità. I residenti pagherebbero due volte per l’inquinamento una volta per il portafoglio e l’altra per la salute. Una situazione che sarebbe intollerabile”. In Belgio, ma non in Italia.
 
Inoltre, il Partito del Lavoro chiede che la Vallonia adotti, entro la fine dell’anno, standard rigorosi per i PFAS nell’acqua del rubinetto: “Non dobbiamo aspettare che l’Europa agisca. La Danimarca ha già uno standard di 4 ng/L. Siamo disponibili a portare avanti la legislazione in questa direzione”.