Il professor Carlo Foresta, già ordinario di endocrinologia all’università di Padova e presidente della Fondazione Foresta ONLUS, ammonisce: “La priorità è limitare i danni provocati da queste sostanze”, ovvero eliminare i Pfas nella produzione e nei consumi. Non c’è altra soluzione una volta che i Pfas sono entrati nel corpo mano, non altrimenti -ad esempio- la sperimentazione di carbone attivo vegetale che trova impiego nel trattamento di intossicazioni da farmaci e avvelenamenti alimentari, nonché per il meteorismo intestinale. La sperimentazione consisterebbe nel drenare a livello intestinale i Pfas tramite incubazione con carbone attivo vegetale rendendoli parzialmente eliminabili con le feci. Il carbone vegetale sarebbe cioè il corrispettivo terapeutico della fallimentare tecnologia di filtraggio delle acque, basata sull’utilizzo dei filtri ai carboni attivi.
Resta dunque l’ammonizione del professor Foresta: “Le manifestazioni cliniche associate all’inquinamento da PFAS sono certamente evidenti nelle popolazioni esposte” Veneto, Piemonte, Lombardia, Toscana, Emilia Romagna ecc. “ma è interessante considerare che anche i bassi livelli di queste sostanze riscontrabili nella popolazione generale possono costituire fattore di rischio. Negli ultimi anni abbiamo evidenziato dal rischio cardiovascolare all’infertilità, dall’osteoporosi all’ipotiroidismo, fino alle alterazioni del sistema nervoso. Senza dimenticare che recentemente la Iarc, l’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro che fa capo all’Oms, ha inserito il Pfoa, il più diffuso composto della famiglia dei Pfas, nella lista delle sostanze cancerogene per il tumore al rene e testicolo”.
Altra “non soluzione”: E se i rubinetti fossero dotati di filtri Pfas?