“Una legge nazionale per mettere al bando i Pfas”.

Un disegno di legge c’è già: a firma dell’ex senatore Mattia  Crucioli, ma è rimasto sepolto nella precedente legislatura: vieta la lavorazione, l’uso, la commercializzazione, il trattamento e lo smaltimento, nel territorio nazionale, delle sostanze poli e perfluoroalchiliche (PFAS) e dei prodotti che le contengono; e detta  norme per la loro dismissione dalla produzione e dal commercio, per la cessazione dell’importazione, dell’esportazione e dell’utilizzazione dei PFAS e dei prodotti che li contengono, per la realizzazione di misure di decontaminazione e di bonifica delle aree interessate dall’inquinamento,  per la ricerca finalizzata alla individuazione di materiali sostitutivi, alla riconversione produttiva e per il controllo sull’inquinamento da PFAS.

Basterebbe convertire in legge questo disegno di legge: risponde pienamente all’appello che da Vicenza le “Mamme No Pfas” hanno rivolto a tutti i sindaci del Nord Italia affinché facciano approvare ai consigli comunali la richiesta al Parlamento di una legge che metta al bando i Pfas. Sarebbe bastato un solo appello rivolto al sindaco di Alessandria che avrebbe il potere, dunque il dovere: essendo la massima autorità sanitaria locale, di fermare le produzioni inquinanti della Solvay di Spinetta Marengo, avviando così a monte la soluzione dei Pfas in Italia. Ma questo appello al sindaco Giorgio Abonante entra da un orecchio ed esce dall’altro.

Il “DDL Crucioli” è conforme ai “sette principi” contenuti nell’appello: vietare in modo tassativo la produzione e l’impiego industriale di Pfas, mappando le aziende che li utilizzano;  limiti zero per l’emissione di composti Pfas e i controlli sulle aziende produttrici;  bonifiche delle  aree contaminate, destinando risorse per riparare i danni; limite zero con controlli e interventi per le acque  destinate all’uso potabile, all’irrigazione o che alimentano i pozzi privati;  monitoraggio degli alimenti, dove la presenza di Pfas deriva dall’uso dell’acqua di falda in agricoltura o zootecnia; screening  sanitario gratuito della popolazione;  finanziare la transizione a una economia e industria chimica sostenibile e toxic-free.

I PFAS aumentano la probabilità di morte per malattie cardiovascolari.

I PFAS possono influenzare il sistema cardiovascolare in diversi modi, innanzitutto perché producono livelli di colesterolo ostinatamente alti e pericolosi: livelli difficili da controllare perché non sono causati da scelte dietetiche o di stile di vita che possono essere affrontate con aggiustamenti, ma da cambiamenti ormonali che influenzano il metabolismo e la capacità del corpo di controllare la placca nelle arterie.

Lo studio del professor Annibale Biggeri con i ricercatori dell’Università di Padova ha esaminato i registri di morte della regione Veneto, dove molti residenti per decenni hanno bevuto acqua altamente contaminata dagli indistruttibili PFAS, confrontando i dati  con i vicini che non la bevevano.

Non solo, gli autori dello studio sospettano che anche il disturbo da stress post-traumatico causato dal disastro ambientale, che ha sconvolto la vita in tutta la regione, possa contribuire alle malattie circolatorie.

Inoltre, i dati “hanno mostrato chiaramente” che le esposizioni precoci nella vita hanno portato a livelli più elevati di mortalità: i Pfas si accumulano nella placenta e vengono trasmesse ai bambini durante la gravidanza… riducendone i livelli nel corpo della madre.

Impossibile eliminare i Pfas una volta entrati nel corpo umano.

Il professor Carlo  Foresta, già ordinario di endocrinologia all’università di Padova e presidente della Fondazione Foresta ONLUS, ammonisce: “La priorità è limitare i danni provocati da queste sostanze”, ovvero eliminare i Pfas nella produzione e nei consumi. Non c’è altra soluzione una volta che i Pfas sono entrati nel corpo mano, non altrimenti -ad esempio- la sperimentazione di carbone attivo vegetale che trova impiego nel trattamento di intossicazioni da farmaci e avvelenamenti alimentari, nonché per il meteorismo intestinale. La sperimentazione consisterebbe nel drenare a livello intestinale i Pfas tramite incubazione con carbone attivo vegetale rendendoli parzialmente eliminabili con le feci. Il carbone vegetale sarebbe cioè il corrispettivo terapeutico della fallimentare tecnologia di filtraggio delle acque, basata sull’utilizzo dei filtri ai carboni attivi.

Resta dunque l’ammonizione del professor Foresta: “Le manifestazioni cliniche associate all’inquinamento da PFAS sono certamente evidenti nelle popolazioni esposte” Veneto, Piemonte, Lombardia, Toscana, Emilia Romagna ecc.  “ma è interessante considerare che anche i bassi livelli di queste sostanze riscontrabili nella popolazione generale possono costituire fattore di rischio. Negli ultimi anni abbiamo evidenziato dal rischio cardiovascolare all’infertilità, dall’osteoporosi all’ipotiroidismo, fino alle alterazioni del sistema nervoso. Senza dimenticare che recentemente la Iarc, l’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro che fa capo all’Oms, ha inserito il Pfoa, il più diffuso composto della famiglia dei Pfas, nella lista delle sostanze cancerogene per il tumore al rene e testicolo”.

Altra “non soluzione”: E se i rubinetti fossero dotati di filtri Pfas?  

40mila abitanti salvati dai Pfas.

L’EPA e lo Stato di New York hanno avviato un progetto per garantire acqua potabile pulita a Hicksville, New York. Gli operatori del sistema installeranno un sistema per proteggere l’acqua potabile della comunità dai prodotti chimici PFAS. Il nuovo sistema di trattamento è progettato per soddisfare i nuovi standard finali dell’EPA sui PFAS. Questa parte degli sforzi per migliorare il sistema di Hicksville è finanziata con 2 milioni di dollari della legge bipartisan sull’infrastruttura e sui contaminanti emergenti attraverso il programma di New York Drinking Water State Revolving Fund.

I ritardi dell’Emilia Romagna sui Pfas.

Benchè al confine, separate dal fiume Po inquinato, con tre delle Regioni che denunciano i problemi più rilevanti: Veneto, Lombardia e Piemonte, si segnalano grossi ritardi della Regione Emilia Romagna per l’inquinamento da Pfas: ha già censito almeno 199  aziende che utilizzano nei processi produttivi queste sostanze tossiche e cancerogene, ma non ha provveduto a normare ed effettuare monitoraggi agli scarichi, se non alcuni campionamenti dell’acqua di rete per gli acquedotti tramite 60 stazioni .

La consigliera dei Verdi in Regione, Silvia Zamboni, ha presentato interrogazione alla giunta Bonaccini per avviare con urgenza delle contromisure: un programma di sorveglianza sanitaria della popolazione ubicata nelle zone a rischio mediante l’adozione di un piano ad hoc per la prevenzione, diagnosi precoce e presa in carico delle patologie cronico-degenerative associate ai PFAS.

Svizzera verso limiti zero Pfas.

Nel 2023, i Pfas sono stati trovati in quasi la metà dei campioni prelevati in 500 stazioni di misurazione delle acque sotterranee svizzere, le quali rappresentano la fonte per l’80% dell’acqua potabile usata nel Paese. Il valore limite di 0,3 µg/l per il PFOS e il PFHxS, in quel caso, era stato superato solo in Ticino (il Pozzo Prà Tiro, a Chiasso).

In una fase pilota dello studio svizzero sulla salute, commissionato dall’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP), è stata determinata l’esposizione di base della popolazione elvetica alle PFAS. In tutti gli oltre 700 campioni di siero di sangue esaminati, è stata rilevata la presenza di PFOA, PFHxS e PFOS. Le analisi in questione sono complessivamente paragonabili a quelle rilevate in studi simili in Europa e in Canada.

L’utilizzo di PFOA e PFOS è soggetto a severe restrizioni nell’Unione europea e in Svizzera, tuttavia, a causa della longevità di queste sostanze, si trovano ancora nell’ambiente e nell’uomo. Nella Confederazione, ad oggi, l’ordinanza sull’acqua potabile e sull’acqua per piscine e docce accessibili al pubblico prevede valori massimi soltanto per tre tipi di PFAS: 0,3 µg/l per il PFOS e il PFHxS, 0,5 µg/l per il PFOA. In seguito alle nuove direttive UE concernenti la qualità delle acque destinate al consumo umano, l’Ufficio federale della sicurezza alimentare e veterinaria (USAV) sta rivedendo i valori massimi legati alle PFAS. Dal 2026 saranno molto probabilmente sostituiti da un valore massimo di 0,1 µg/l per la somma di 20 diverse PFAS, in linea con i limiti UE.

Vietare i Pfas nella carta igienica.

Sull’impatto ambientale della carta igienica: nuova ricerca pubblicata su Environmental Science & Technology Letters e ripresa da The Guardian:   analizzati campioni dei 21 principali marchi a livello globale, riscontrando la presenza di sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) in tutti i campioni testati. Il rilascio di PFAS a causa della carta igienica contaminata nelle acque reflue rappresenta una potenziale minaccia per la qualità dell’acqua stessa. Questi composti resistono ai normali trattamenti delle acque reflue, finendo per contaminare falde acquifere, fiumi e laghi. 

Sono rare le marche di “Carta igienica pfas free”:

Meno del 9% della plastica è riciclato.

Coca-Cola, Pepsi, Nestlé, Danone e altre 60 multinazionali sono responsabili di quasi la metà dell’inquinamento mondiale di plastica, tra cui 6 aziende che da sole rappresentano un quarto del totale. E’ ciò che emerge da un nuovo studio condotto da un team internazionale di scienziati e pubblicato sulla rivista scientifica Science Advances: si è basato sul lavoro di decine di migliaia di volontari che hanno analizzato da spiagge, parchi e fiumi quasi 2 milioni di rifiuti di plastica raccolti in 84 paesi diversi per un periodo di 5 anni.

The Coca-Cola Company ha risposto promettendo l’impegno di rendere riciclabile il 100% degli imballaggi entro il 2025, Danone e Nestlé hanno affermato di aver ridotto significativamente l’utilizzo di plastica e di sostenere programmi per la raccolta e riciclaggio di rifiuti. Sta di fatto che la produzione di plastica è raddoppiata dagli inizi del 2000 e alcuni studi mostrerebbero che solo il 9% della plastica viene effettivamente riciclato.