Guardando questo video di Rai3 qualcuno potrebbe immaginare che sia stato girato quindici anni fa quando denunciai anche in magistratura che i Pfas della Solvay di Spinetta Marengo, tramite scarichi in aria-suolo-acqua, si accumulavano indistruttibili nelle falde acquifere e nel sangue dei lavoratori e dei cittadini di Alessandria.
Invece, nel 2024, si ascolta nel video un dirigente della Sanità del Piemonte affermare “quando sapremo se ci sono Pfas nel sangue, saranno prese delle misure di sanità pubblica”, anzi avanza già il dubbio che “le malattie non siano state contratte a Spinetta Marengo ma in altre sedi di lavoro”. Sembra uno che, malgrado l’età, negli ultimi 20 anni non abbia mai sentito parlare del polo chimico spinettese, dei Pfas e degli altri 20 inquinanti tossici cancerogeni, né delle indagini ambientali Arpa, delle almeno nove indagini epidemiologiche (l’ultima, del 2019, è citata dall’ex assessore), né dell’indagine dell’Università di Liegi, delle ispezioni ONU e del Parlamento, né dei miei 20 esposti, del processo penale fino alla Cassazione, del caso Miteni, né dell’allarme Pfas nelle Nazioni mondiali e nelle Regioni italiane, della sterminata letteratura scientifica, dell’espandersi della divulgazione giornalistica… ormai fin anche su Topolino.
O lo è, oppure lo fa. Lo fa, lo fa: perché già mette le mani avanti: è tutto da dimostrare che “le malattie siano state contratte a Spinetta Marengo oppure in altre sedi di lavoro”. Mica vogliamo incolpare Solvay. Lo fa, lo fa. E’ da venti anni che la Regione Piemonte, subalterna con i sindaci alla multinazionale belga, si oppone alla nostra richiesta di monitoraggio ematico di massa della popolazione alessandrina, onde evitare l’esibizione di un gigantesco delitto sanitario: la prova regina, “la pistola fumante” che costringerebbe Solvay a quella fermata delle produzioni incriminate che spettava al sindaco quale massima autorità sanitaria locale. L’avvio, obtorto collo, di un mini monitoraggio del sangue -un centinaio di persone discoste dall’epicentro urbano inquinato- è un altro lento espediente: “rallenty” utile alla giunta regionale per bypassare la scadenza elettorale ma soprattutto che serve strategicamente alla Solvay per prendere tempo per tirare a campare … e far tirare le cuoia alla gente. (clicca qui).
Nella strategia a medio termine di Solvay ci stanno una simulata fuoriuscita dai Pfas e alcuni snodi di carattere giuridico. Uno è il nuovo processo penale in coda alla sentenza di Cassazione, che prende avvio dal GUP il 4 marzo prossimo. L’altro è la partenza di cause civili e azioni collettive, anche inibitorie, con l’assistenza di un pool di legali di Alessandria e Torino. Queste azioni stanno dimostrando una efficacia sottovalutata in passato. Infatti, quando si trattava di reati ambientali e sanitari, gli avvocati in Italia non andavano oltre le cause in sede penale (peraltro con deboli benefici per l’ambiente), a differenza di altri Paesi, soprattutto degli Stati Uniti dove il fenomeno delle “class actions” costituisce uno dei punti fondamentali del sistema processuale perché fornisce valide forme di tutela alle varie situazioni a rilevanza sovra individuale.
Alle azioni collettive, alla class action, sollecitava il procuratore generale della Suprema Corte di Cassazione: «Mi auguro che seguano centinaia, migliaia di cause civili per toccare questa gente nel portafoglio”.