Tra i molti effetti negativi associati alle sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) ci sono le alterazioni degli equilibri ormonali. Di conseguenza, queste molecole interferiscono con la fertilità. I ricercatori dell’Università di Cincinnati hanno condotto uno studio durato diversi anni, i cui risultati sono appena stati pubblicati su Environmental Health Perspectives. Le bambine provengono da due regioni che differiscono sensibilmente per quanto riguarda la contaminazione da Pfas nelle acque e nell’ambiente in generale. La prima si affaccia sul fiume Ohio che è stato per anni il corso d’acqua dove il colosso della chimica DuPont, con sede a Parkersburg, in West Virginia, ha sversato le acque reflue della lavorazione degli Pfas, e dove si svolgono regolarmente le esercitazioni antincendio con schiume Pfas. La seconda è la zona della Bay Area, che comprende la Silicon Valley, che ospita invece molte aziende produttrici di semiconduttori che usano Pfas nelle loro lavorazioni.
Le bambine nate nelle due zone, in età prepuberale sono state poi seguite con dosaggi ormonali ogni sei mesi, volti a seguire lo sviluppo, così come attraverso la misurazione dei caratteri antropometrici e sessuali secondari come la comparsa del seno o dei peli pubici e ascellari. Il 99% aveva tracce più o meno rilevanti di Pfoa (vietato o limitato dal 2019) e quelle con le concentrazioni maggiori di Pfas avevano livelli ormonali più bassi delle altre e arrivavano al pieno sviluppo, cioè alla prima mestruazione, mediamente 5-6 mesi dopo le altre.