Abbiamo ricevuto obiezioni in merito al convincimento che, oltre la fine delle (auto)sanzioni e dell’invio di armi, si deve rivendicare al governo una iniziativa in campo europeo atta a favorire un percorso di compromesso negoziabile in ambito Onu. Cioè sulla base de
1) L’autodeterminazione. Dunque, effettuare nuovamente i referendum nelle regioni di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia sotto la supervisione dell’Onu, così da fugare ogni dubbio avanzato dall’occidente circa la loro validità. Eventualmente la Russia dovrà andarsene se questa è la volontà del popolo.
2) Il riconoscimento. Riconoscere formalmente la validità del referendum del 2014 dunque la Crimea come parte della Russia, come lo è stata dal 1783 (fino all’errore di Krusciov del 1954).
3) La neutralità. L’Ucraina continui a stare fuori dalla Nato, neutrale.
In particolare, il riconoscimento della Crimea. Nel 1954 la penisola a maggioranza russofona è stata donata a Kiev dal leader (ucraino) dell’Unione Sovietica Nikita Krusciov. Nel 2001 la popolazione della Repubblica autonoma di Crimea era per il 58,5% di etnia russa e per il 24,4% di etnia ucraina. La minoranza etnica dei tatari di Crimea formava il 12,1% della popolazione. Il processo di riannessione della Crimea alla Russia è iniziato de facto quando circa 20 mila militari russi privi di mostrine ne hanno preso il controllo. Il 16 marzo 2014, gli abitanti della Crimea hanno espresso mediante referendum la volontà di tornare sotto la sovranità di Mosca. La votazione – a cui ha partecipato l’81.3% degli aventi diritto con il 96.77% dei “sì”- è stato un vero plebiscito. La minoranza etnica dei tatari -turcofoni di religione musulmana – e i russofobi hanno boicottato il referendum, considerato illegale dalla corte costituzionale ucraina. Dopo il risultato plebiscitario del referendum, sono iniziate le procedure per incorporare la penisola nella Federazione Russa. La penisola ospita la base militare di Sebastopoli, che l’Ucraina aveva concesso in affitto a Mosca fino al 2042. Da qui la flotta russa accede velocemente al Mar Mediterraneo, alla penisola balcanica e al Medio Oriente. Secondo il principio dell’autodeterminazione dei popoli, la Crimea è russa.
Secondo un principio della sovranità nazionale, invece, “E’ necessario che la Crimea sia liberata perché si arrivi davvero alla vittoria, perché il diritto internazionale sia ristabilito: tutto è iniziato in Crimea e deve finire in Crimea”. Sono le parole di Zelensky del 23 agosto 2022. Però un invio di armi in Ucraina oggi non è più inquadrabile nella comoda giustificazione della “guerra di difesa“ ma si colloca in una ardita e sanguinosa operazione di attacco militare alla Russia. E se Zelensky ha il sostegno di tutta l’Unione Europea (e ovviamente degli USA) per “liberare” la Crimea dalle truppe russe, esso equivale soprattutto a far sloggiare la maggioranza della popolazione (russofila), oltre che le navi russe dalla base navale di Sebastopoli di insuperabile valore strategico dal punto di vista geopolitico perché consente di controllare il Mar Nero e da lì navigare nel Mediterraneo passando tramite il Bosforo e lo stretto dei Dardanelli.
In Ucraina la guerra sta cambiando radicalmente e le nuove armi fornite dagli Stati Uniti possono consentire uno sfondamento del fronte sud. E a sud c’è la Crimea. Lo scontro frontale con la Russia non potrebbe che essere nucleare.