Anche in Veneto si tende a confondere, come già in Alessandria, la messa in sicurezza con la bonifica. Dunque, a quasi dieci anni dalla deflagrazione dello scandalo Pfas che ha colpito Veronese Vicentino e Padovano, scarsi sono i progressi rispetto alla bonifica del sito dell’ex Miteni. Dopo l’incontro pubblico delle Mamme No Pfas con le istituzioni a Lonigo, è risultato chiaro che siamo ancora nella fase della messa in sicurezza e non della bonifica, perciò Alberto Peruffo di Pfas.land è stato chiaro: “La bonifica, se mai sarà eseguita a regola d’arte, appare collocata in futuro difficile da determinare”. Tre sono infatti gli aspetti da tenere in considerazione. Uno, la procedura per la messa in sicurezza, vista la unicità del disastro ambientale attribuito alla Miteni oggi finita a processo, è una procedura eminentemente «sperimentale». Due, la bonifica è una cosa diversa dalla messa in sicurezza: ma è solo a quest’ultima che attualmente si sta già lavorando. Tre, la bonifica effettiva, ovvero la rimozione definitiva delle cause alla base dell’inquinamento dei suoli e della falda è ben al di là da venire: non solo per ragioni di ordine tecnico.
Secondo le giustificazioni dei relatori del procedimento tecnico-amministrativo, il quadro normativo, che rende più o meno incisivo l’insieme degli interventi in capo al privato che si è accollato tale onere, è variegato. La legge, quando una bonifica per così dire totale è impossibile o inopinatamente onerosa, permette o permetterebbe il semplice contenimento perpetuo dell’inquinamento entro limiti previsti dalle leggi. Questa lettura non è stata condivisa dagli ambientalisti: quando si parla di messe in sicurezza e di bonifiche il quadro degli obblighi di legge è invece molto restrittivo. Insomma, chi inquina deve pagare, e la magistratura e i soggetti istituzionali o amministrativi sono chiamati ognuno a far rispettare le leggi.