I giornali continuano a pubblicare scoperte miracolose che, piuttosto che mettere al bando produzione/uso/consumo dei PFAS, li eliminerebbero dopo che sono stati immessi nella natura. Precisamente nelle acque, perché per le immissioni in atmosfera -le più pericolose- neppure si avanzano immaginazioni.
I ricercatori dell’ENEA, come è loro mestiere, ricercano. E ipotizzano di rompere il legame fortissimo tra fluoro e carbonio che è la caratteristica della nefasta indistruttibilità dei Pfas. E in laboratorio magari ci riescono bombardando i Pfas con fasci di elettroni di energia controllata. Il risultato è la loro degradazione, forse sì, in altre sostanze, sì, ma inquinanti. Perché i fluoruri sono inquinanti. E devono essere ulteriormente trattati, inceneriti? Già, si può tentare in laboratorio. Ma ci rendiamo conto che stiamo parlando di masse di acque enormi: falde, fiumi, terreni, e di nuovo nuvole, in un circolo vizioso infinito, che arriva fino ai mari. Bombardiamo il mondo con gli elettroni? Poi lo ribonifichiamo ulteriormente? A tacere tramite costi astronomici di energia elettrica, sulle spalle della collettività.
In altra parte del globo, sempre nel tentativo industriale di continuare a produrre i Pfas (12mila classi), nei laboratori si pensa che costerebbe meno tentare negli scarichi di farli bollire in acqua a 400 gradi associando solventi e soda caustica. Alla fine, ammesso e non concesso di aver neutralizzato i Pfas, resterebbero sul gobbo ecosanitario i reflui tossiconocivi, che si aggiungerebbero ai Pfas che stanno già navigando per l’eternità in acqua-terra-cielo.