Leopoli come Sarajevo trent’anni fa.

Parte dall’Italia per concludersi il 2 aprile, con destinazione Leopoli, la più grande manifestazione di solidarietà e impegno per la pace in Ucraina finora organizzata in Europa. Sullo sfondo, c’è un’idea a metà tra realtà e utopia: replicare in Ucraina quanto accadde a Sarajevo nel 1992, quando il popolo della pace marciò nella città assediata. Una grande carovana di veicoli – circa una sessantina tra furgoni, minivan e auto – provenienti da numerose città italiane varcherà la frontiera a Gorizia intraprendendo un lungo viaggio fino al confine polacco-ucraino per esprimere vicinanza alle vittime e invocare la mediazione politica per un cessate il fuoco immediato. A bordo del convoglio ci saranno oltre duecento esponenti della società civile non violenta in rappresentanza di decine di realtà della galassia del pacifismo e della nonviolenza che hanno aderito all’appello “Stop the war now” lanciato nelle settimane scorse dall’associazione Papa Giovanni XXIII. Nel gruppo ci sono organizzazioni cattoliche come i Beati costruttori di pace, Pax Christi, Comboniani, Focolari e la Pro civitate christiana di Assisi ma anche laiche come Cgil, Arci, Un ponte per, Libera e Gruppo Abele. Inizialmente era prevista anche la partecipazione di un gruppo di deputati e senatori del Parlamento italiano, ma poi non si è concretizzata.

La missione di pace porterà aiuti per la popolazione sotto forma di beni alimentari e materiali sanitari per un valore complessivo che si aggira intorno al milione di euro. Tutto raccolto grazie alle donazioni. I sessanta autoveicoli della carovana faranno ritorno in Italia domenica 3 aprile con a bordo più persone possibile: la capacità di carico è di circa trecento profughi, tra bambini, donne e anziani. In queste ore sono in corso trattative con gli ospedali della città per far uscire dal Paese bambini malati da affidare alle strutture sanitarie italiane. L’iniziativa non avrà soltanto un carattere umanitario: «Vogliamo far vedere l’altra faccia dell’Europa, quella che non crede nell’invio di armi e strumenti bellici ma vuole portare aiuti di altro genere ». La cosiddetta “diplomazia dei popoli” si rimette dunque in moto, proprio come fece esattamente trent’anni fa a Sarajevo, con la marcia dei cinquecento che raggiunse la città bosniaca sotto le bombe.