Venti anni dal G8 di Genova. Senza memoria non c’è futuro: sentiamo il dovere, oltre che il diritto, di fare memoria di quel pezzo importante di storia dei movimenti sociali, tanto più perché è una ferita ancora aperta. Di farlo insieme, con l’attivismo sociale di diverse generazioni. Di farlo oggi, mentre c’è un terribile bisogno di futuro, di fronte alla possibilità che le dure lezioni della pandemia rimangano inascoltate.
Venti anni fa, una straordinaria convergenza di idee, esperienze, culture e pratiche in Italia e in tutto il mondo alimentò una grande speranza di cambiamento globale. Già conteneva la previsione dello scenario a cui si andava incontro: l’insostenibilità della globalizzazione neoliberista e i suoi pesantissimi impatti sociali, economici e ambientali. Le crisi che anno dopo anno si sono succedute a ritmi sempre più preoccupanti ci hanno dato ragione- fino alla pandemia, che ha messo in luce tutti i limiti strutturali del sistema e i pericoli che esso porta con sé.
Oggi, la necessità di una alternativa di sistema è ancora più evidente. Il potere economico finanziario, il sistema politico, i governi ci costringono da venti anni a fare le Cassandre: nessun passo è stato fatto verso quel mondo diverso rivendicato da un gigantesco movimento globale, nonostante la consapevolezza dei problemi sia ora molto più grande di allora. La reazione ai danni della globalizzazione liberista è stata finora cavalcata dalla destra in chiave razzista, reazionaria, identitaria. Ora un virus ha messo a nudo tutta la magnitudine del disastro – climatico, sociale, umano, di genere, ambientale, pandemico, sanitario. Un forte punto di riferimento anti-sistemico è oggi ancora più necessario.
E’ tutta aperta la grande questione dello spazio civico e dell’agibilità democratica, del diritto al dissenso, della legittimità del conflitto sociale, del ruolo degli attori sociali: elementi che sono la cifra della qualità di una democrazia e che invece si vanno restringendo anche in tutta Europa. Nel 2001 nelle strade di Genova, alla Diaz, a Bolzaneto subimmo “la più grande violazione dei diritti umani in occidente”, alla verità sull’uccisione di Carlo Giuliani non si è mai voluti arrivare, chiarezza sui mandanti politici non è mai stata fatta, giustizia ne abbiamo avuta ben poca, e nessuno si è mai degnato di una scusa. Genova è una delle macchie nere e oscure della democrazia italiana, non c’è archiviazione possibile – e tenere aperto lo spazio civico è una necessità anche oggi.
Genova ci parla della necessità della convergenza. Nel 2001 il movimento fu capace di resistere, di allargarsi ancora fino a realizzare nel 2003 la manifestazione più grande del mondo; seppe costruire una identità, una speranza, una cultura. Fu il risultato di un intreccio senza gerarchie fra provenienze, tematiche, soggettività diverse. In questi venti anni le idee di allora si sono fatte pratiche, conflitti, lotte, alternative concrete, si sono incarnate in tanti territori e comunità. Ma la pandemia ci dimostra che da solo non si salva nessuno, ci dice quanto siamo interconnessi e quanto bisogno c’è di ricostruire uno spazio pubblico nazionale, europeo e globale di lotta, di pensiero, di alternativa.