Questa sentenza rappresenta una svolta storica sul piano giudiziario per la città di Taranto. E non solo, speriamo. Questa sentenza è un macigno sulle azioni del Governo: non saremmo un Paese credibile e giusto se all’interno del PNRR, a partire dall’ex Ilva, non si avviasse una vera transizione ecologica che parta dalla chiusura immediata dell’area a caldo dell’acciaieria (confiscata dalla sentenza e in attesa della pronuncia del Consiglio di Stato).
Per l’Ilva di Taranto, al processo “Ambiente svenduto” durato cinque anni, per associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro, avvelenamento di sostanze alimentari, corruzioni in atti giudiziari, omicidio colposo e altre imputazioni, la Corte di Assise di Brindisi condanna a vario titolo: 22 anni di reclusione a Fabio Riva e 20 al fratello Nicola; 21 anni e 6 mesi a Girolamo Archinà responsabile delle relazioni istituzionali e definito dall’accusa come la “longa manus” dei Riva verso istituzioni e politica; 21 anni a Luigi Capogrosso direttore dello stabilimento; 18 anni e 6 mesi a Lanfranco Legnani, Alfredo Ceriani, Giovanni Rebaioli e Agostino Pastorino considerati una sorta di “governo ombra” dei Riva; 3 anni e 6 mesi a Niki Vendola ex governatore della Puglia accusato di concussione aggravata in concorso; 3 anni a Gianni Florido ex presidente della Provincia e a Michele Conserva ex assessore provinciale all’ambiente per concussione, 15 anni e 6 mesi a Lorenzo Liberti ex consulente della procura; 2 anni per favoreggiamento a Giorgio Assennato ex direttore di Arpa Puglia; 5 anni e 6 mesi a Francesco Perli avvocato dei Riva; eccetera per un totale di 47 imputati (44 persone fisiche e 3 società); trasmissione degli atti alla procura per l’ipotesi di falsa testimonianza per l’ex arcivescovo della diocesi di Taranto Benigno Papa. Insomma una bella associazione a delinquere industriale, politica, amministrativa, legale, ecclesiale.
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