Il piano di finta pace in Palestina di Trump elude tutte le risoluzioni Onu. Ai palestinesi sarebbe concesso di chiamarsi Stato ma a condizione che mai diventi uno Stato autentico. Non sarebbero edificate altre colonie, ma nessuna delle esistenti sarebbe smantellata o assoggettata al nuovo Stato: resterebbero parte di Israele e connesse ad esso tramite esclusive vie di trasporto controllate dalla potenza occupante. Israele avrebbe la sovranità militare sull’intera area palestinese, controllerebbe lo spazio aereo a ovest del Giordano e a quello aereo-marittimo di Gaza, nonché i confini del nuovo Stato. Le risorse naturali sarebbero cogestite. La futura Palestina dunque sarebbe una riserva per pellerossa, un Bantustan, una serie di enclave palestinesi incuneate nella Grande Israele. La valle del Giordano sarebbe comunque annessa ad Israele “per motivi di sicurezza”. Il piano inoltre negherebbe perfino il diritto al futuro Stato di fare appello alle istituzioni internazionali tra cui la Corte penale internazionale. Verrebbe vietato ai suoi cittadini di rivolgersi a qualsiasi organizzazione internazionale senza il consenso di Israele, e sarebbe bandito qualsiasi provvedimento, futuro o pendente, che mettesse in causa “Israele o gli Usa di fronte alla Corte penale internazionale, la Corte internazionale di giustizia o qualsiasi altro tribunale”. Questa pace dei vincitori, conclude Barbara Spinelli, dovrebbe essere respinta dagli Stati Europei, non solo a parole. Non limitandosi a ripetere “Due Stati-Due popoli”, mantra svigorito e ora accaparrato/pervertito da Trump. Bensì difendendo le leggi internazionali e rifiutando di considerare come antisemitismo ogni critica all’occupazione israeliana.