I primi sintomi di intossicazione sono rialzo termico più o meno elevato e affanno respiratorio, tosse stizzosa. Furono i primi, sintomi che nel gennaio 1962 avvertì il povero Giampiero Massa e gli altri due lavoratori che sfuggirono alla morte. Montedison fu condannata dal Tribunale. I primi sintomi possono essere confusi con una banale influenza. Così è stato nel novembre 1980 per il defunto Ezio Terroni. Una confusione tragica perché ricovero ospedaliero e ossigenoterapia con respiratori automatici possono salvare il 30-40% degli intossicati gravi. Ne basta poco di gas respirato per andare all’altro mondo. Due parti per milione. Secondo la perizia medico legale, 52 pagine, un documento impressionante per l’abisso fra analisi e conclusioni. Terroni, nella sala compressori dell’Algoflon, respirò dalle apparecchiature residui di “tetrafluoroetilene”liberati nell’aria a seguito dell’aumento della temperatura. Occorre fare un attimo di attenzione: si sta parlando di un incidente mortale in fase di manutenzione e non di lavorazione. Pochi grammi di tetrafluoroetilene. Un nulla a confronto di decine di quintali di altobollenti. L’ipotesi di catastrofe, una delle ipotesi, riguarda questo tipo di disastro mai verificatosi fino ad ora, di cui purtroppo il calcolo delle probabilità non può essere ridotto a zero. Nel caso di Terroni i periti scrissero che l’inquinamento era stato intenso ma localizzato, in stretta prossimità con le finestrelle del compressore. Ad un palmo di naso. In effetti si trattò di un piccolo incidente. Ben altra cosa sarebbe un evento di disastro. Sempre nel caso di Terroni, è documentato, i periti giudicarono inattendibili i sistemi di controllo ambientali effettuati dall’azienda, che infatti non avevano captato nulla di anormale. Trent’anni fa nel reparto erano allevati canarini e verdoni: quando le bestiole cadevano stecchite era il segnale perché gli operai se la dessero a gambe. Ne parlarono tutti i giornali, è stato scritto in un libro. Dall’epoca del canarino sono stati fatti passi in avanti, non ancora sufficienti. Ancora oggi si cammina troppo lentamente. L’Università di Pavia ha avviato, per la prima volta forse nel mondo, la sperimentazione di rilevatori ambientali affidabili, spille grandi come una moneta. Si tratta di “campionatori” cosiddetti “passivi” che assorbono i gas presenti nell’aria in zona respirazione. Non sostituiscono ma si affiancano ai sistemi tradizionali di rilevamento in funzione. Tutti assieme non danno la garanzia assoluta. Il reparto Algoflon è quindi un impianto super vigilato perché pericoloso, costantemente tenuto sotto controllo perché pericoloso, con le più minuziose precauzioni che la scienza ha saputo finora sperimentare (e come abbiamo visto ancora insufficienti). La sicurezza dell’incolumità dei lavoratori e della popolazione è garantibile attraverso le condizioni perfette dell’impianto e con la sua ineccepibile conduzione. Di ciò, va dato atto, hanno piena coscienza la stragrande maggioranza dei lavoratori del reparto. Le piastrine che si appuntano al petto, si affrettò a calmare gli entusiasmi il direttore della Clinica del lavoro di Pavia professor Capodaglio, anch’esse hanno un limite: non avvertono all’istante il gas (che resta una ipotesi del futuro) ma a posteriori la loro analisi segnala l’accumulo già avvenuto. Il vantaggio delle piastrine rivelatrici, evidenziò Capodaglio, è di ricostruire la storia individuale di ogni lavoratore. Ciò è assai importante perché degli effetti del gas di Algoflon sull’organismo umano non si sa molto. Non si conoscono nemmeno tutte le sostanze che possono manifestarsi nel corso delle lavorazione Non esistono neanche cure specifiche in caso di intossicazione. Lo Sanno bene alcune decine di lavoratori ricoverati per accertamenti. Sembra impossibile eppure è cosi, a trenta anni dalla nascita dell’ impianto e mentre se ne sono costruiti di nuovi a fianco. Capodaglio puntò il dito verso i limiti della scienza: la scarsa esperienza ha finora dimostrato che gli intossicati sono assaliti dalla cosiddetta “febbre da polimeri”, presentano ‘difficoltà di respirazione, nei casi gravi: lesioni ai polmoni con esiti anche mortali. Non si conoscono quali danni derivano ai reni e al fegato, tantomeno gli effetti cronici. Sono necessari studi e ricerche: invocava Capodaglio. Non basterebbe l’interessamento dell’USL (che finora comunque è completamente assente) ma è necessaria la Ricerca ad alto livello. la ricerca, diceva Capodaglio, è ancora ai primi passi, ha pochi mezzi. Occorrono finanziamenti, tanti finanziamenti. Che non ci sono stati. L’Algoflon è un materiale autolubrificante di inusitata resistenza chimica e fisica, un sofisticato risultato della più recente chimica fine che vede Montedison fra i pochi produttori nel mondo. (Per inciso: come prodotto-finito è pericoloso solo in particolarissime condizioni). Viene impiegato per fabbricare componenti di apparecchiature per l’industria chimica, meccanica, automobilistica, aerospaziale, elettrica, elettronica, alimentare e ,anche per produrre articoli da cucina. A sua volta l’Algoflon rappresenta il polo di sviluppo di altre linee produttive, le vie del futuro. Centinaia di miliardi. Quanti spesi per la salute? Pochi. Se si vuole garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori e della popolazione occorrono maggiori studi tecnologici e medici, di istituti, centri di ricerca,università. Montedison finora non ha dedicato soldi sufficienti alle ricerche per tutelare la salute, che resta una incognita che preoccupa tutti. Occorrono studi, personale scientifico che si occupi costantemente delle ricerche, lo stimolo delle organizzazioni sindacali, l’intervento delle autorità di governo locale, delle strutture sanitarie pubbliche, l’attenzione continua dell’opinione pubblica. Per finire, il dato più allarmante. Nella nostra città manca ogni tutela contro il grande rischio chimico. La popolazione alessandrina ignora addirittura di essere sotto posta a rischi simili a quelli che hanno sconvolto Bhopal. La municipalità alessandrina, al pari di quella indiana, non conosce i rischi e non ha informato le popolazioni sottoposte. In caso di catastrofe industriale la gente non saprebbe come comportarsi, ne .i mezzi di soccorso come intervenire, ne gli ospedali come curare. Sarebbe il caos. Dai 364 “impianti ad alto rischio” censiti dal Ministero della Sanità 36 dimorano in Piemonte, quarto nella speciale graduatoria delle regioni più pericolose. Appena 23 provincie non accolgono “bombe innescate” sul loro territorio. Fra le rimanenti 72 “città ad alto rischio” Alessandria occupa il non invidiabile 21° posto in classifica, con ben 6 impianti capaci di provocare catastrofe. Nel nostro territorio il più grosso complesso chimico piemontese, in assoluto uno dei più pericolosi della penisola, è ubicato immediatamente a ridosso della città. Follie urbanistiche ereditate da un passato senza cultura ecologica. L’Algoflon, prodotto e stoccato nello stabilimento, è un gas inodore, incolore e insapore, il più subdolo dei gas, uccide senza avvertire, arma chimica “pulita” che toglie solo la vita ma risparmia le cose. Numerosissime sono state le vittime fra i lavoratori per piccolissime fughe di questo gas. Mancando sistemi di allarme esterni alla fabbrica, migliaia di cittadini sarebbero coinvolti nel caso di catastrofe: scoppio degli impianti, dei depositi, caduta aereo, meteoriti ecc. Da “day after” sarebbe l’effetto combinato con una eventuale esplosione dei vicini Perossidi, se si pensa quanto sono stati terrificanti e luttuosi i recenti scoppi che pur si limitarono a piccole parti di quegli impianti. Ma la risposta a questo sconvolgente pericolo c’è, fa parte del mai decollato progetto verde di Osservatorio ambientale della Fraschetta, e si chiama:”piano di sicurezza ed emergenza”. Ovvero questo sarebbe il compito degli enti pubblici: prefettura, comune, provincia, Usl. Un’informazione capillare, un sistema di allarme tempestivo, un piano di sgombero sollecito, un programma di soccorsi adeguato, un piano di sicurezza insomma, potrebbe salvare dalla morte o dall’invalidità migliaia di persone come non è avvenuto in India, o a Città del Messico o a Seveso. Ad Alessandria non si conosce che esista un piano di emergenza per catastrofe industriale. Le responsabilità vanno ricercate fra governo e enti locali.
L’ ALGOFLON: Il Killer di cui si parla
Il gas di Algoflon è subdolo, omicida di morte invisibile, senza odore né sapore.
Così quasi trent’anni fa scriveva un rappresentante sindacale, non un sindacalista qualunque ma quello più in vista, Lino Balza. Il documento non fu mai contestato dall’azienda.
Al processo Terroni i sindacati, poi, ritirarono la parte civile contro Montedison.« Avete venduto il morto» denunciò Balza (a questo punto ex rappresentante sindacale) con una scandalizzata requisitoria pubblica. Seguì immediata la sua cassa integrazione (avallata dai sindacati e annullata infine dalla Magistratura): la prima delle rappresaglie culminate con il licenziamento (tutte annullate dai giudici).