Nel 1982 si aprono otto nuovi pozzi dell’acquedotto, a valle dell’industria, dove il fiume Tirino ha già imbarcato un bel po’ di veleni. Vent’anni dopo l’ASL certifica le sostanze inquinanti: tetracloroetilene, tricloroetilene e cloroformio, tossici e cancerogeni. Ma Asl (Azienda sanitaria locale, dà i giudizi di potabilità), Arta (Autorità regionale territorio e ambiente, fa le analisi in laboratorio), Aca (società pubblica di gestione dell’acqua), Ato (Ambito territoriale ottimale, ente pubblico che coordina la gestione dell’acqua), commissario straordinario del governo, una quarantina di Comuni, Provincia, Regione, si danno la consegna del silenzio. I cittadini continuano a bere ignari di tutto. Anzi, viene miscelata l’acqua inquinata con quella buona, per diluire i veleni. Nel 2004 una nuova relazione dell’Agenzia ambientale regionale aggrava il quadro: nella falda, diciannove molecole superano i limiti di legge. Tra queste anche il cromo esavalente, il micidiale agente tossico e cancerogeno. Il tetracloroetilene risulta schizzato fino a 4.800 volte superiori a quelli tollerati. E poi mercurio, piombo, nichel, cloruro di vinile. L’Agenzia… conferma il giudizio di potabilità dell’acqua. Vengono aggiunti dei filtri. Inutili. Nel 2007 si rilevano superiori concentrazioni di tetracloruro di carbonio (un composto tossico che colpisce fegato, reni, cuore e sistema nervoso). Fausto Croce, professore di chimica all’università di Chieti, vive proprio nella valle. Preleva campioni di acqua e li fa analizzare in laboratorio da un’equipe di colleghi. L’esito è sconvolgente: cancerogeni a livelli mai raggiunti in nessuna acqua potabile del mondo. L’ATO minimizza. Il Corpo forestale, guidato dal comandante provinciale Guido Conti, va a dare un’occhiata nelle viscere della valle. Comincia a scavare attorno al sito industriale e al fiume. Per chilometri. La terra è intrisa di sostanze inquinanti, che fino al 1963 erano scaricate direttamente nel fiume Pescara. Le stesse che hanno contaminato l’acqua. Una superficie grande come venti campi di calcio, per un totale di 500 mila tonnellate di rifiuti. La discarica abusiva di rifiuti pericolosi più grande d’Europa. I pozzi vengono chiusi. L’Acquedotto ricambia i filtri e i pozzi vengono riaperti. Poi si arrende. Sessanta tra associazioni e comitati spontanei organizzano una manifestazione con seimila persone. Un gruppo di giovani geologi e registi inizia a girare un documentario. Infine l’Istituto superiore di sanità fa giustizia di anni di ipocrisie. Dichiara l’acqua «non idonea al consumo umano» e certifica «un rischio per la salute umana». Dai primi allarmi sono passati sei anni, dalle prime analisi quattro. Quanti e quali danni alla salute dei cittadini si potevano evitare! Il pubblico ministero Aldo Aceto ha inviato 33 avvisi di garanzia a politici eccellenti (del PD), dirigenti Ato, Arca e Montedison: avvelenamento delle acque, disastro doloso, delitti colposi contro la salute pubblica, truffa, ecc. Cioè Montedison ha inquinato truccando le carte per farla franca mentre le autorità pubbliche insabbiavano. I dirigenti Montedison sono gli stessi responsabili dello scandalo rifiuti tossici della Montedison-Solvay di Spinetta Marengo (Alessandria). La prescrizione come sempre incombe. E dei rifiuti pericolosi ancora depositati nella valle? Per quelli ci sono ancor meno speranze. Bonificare la megadiscarica costa circa 150 milioni di euro. Per ora ne sono arrivati solo un paio e non sono bastati nemmeno per coprire i rifiuti con un telone. Così l’acqua piovana e il fiume continuano a trasportare veleni. In attesa della bonifica, a Bussi si guarda avanti. Una parte dello stabilimento chimico Solvay è in dismissione, ma è già pronto un progetto per insediare un nuovo impianto per il trattamento dei rifiuti industriali. Non quelli già abbandonati nella valle, ma altri provenienti da impianti petrolchimici, raffinerie e industrie chimiche di mezzo mondo, dagli Stati Uniti alla Polonia. Più o meno centomila tonnellate ogni anno.
Dirigenti Solvay sotto processo in tutta Italia: Bussi
Un canyon imponente, incastrato tra due parchi nazionali (Gran Sasso e Majella), che dall’Appennino si apre verso il mare Adriatico. Boschi a perdita d’occhio, cime imbiancate sullo sfondo, qua e là mucchi di case lungo i pendii. All’altezza del paesino di Bussi, sotto il ponte dell’autostrada e con il fiume che passa in mezzo, c’è un sito industriale. Un insediamento chimico sorto nel 1901 e finito nell’orbita Montedison.